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Don Tonino e la Sapienza operativa… 28 anni dopo
15 aprile 2021

Sono passati 28 anni da quel meriggio di primavera e noi di nuovo siamo qui, a scrivere di don Tonino. Non vogliamo celebrare un uomo, che pure lo meriterebbe. Siamo qui per pensare, per riflettere, guidati da un evento che nella vita di molti di noi ha rappresentato una svolta, come solo alcuni eventi fanno, quelli che segnano “un prima e un dopo”. Questo è stato il 20 Aprile del 1993: il giorno in cui siamo stati costretti a prendere coscienza che don Tonino non ci stava più accanto. Bisognava iniziare a camminare da soli: quel fratello premuroso, che ci indicava nuovi sentieri, che ci consolava nelle sconfitte e con noi gioiva delle nostre vittorie, quel fratello – vescovo, non c’era più. Ci lasciava un sorriso scolpito nel cuore, un sentimento agrodolce nello stomaco, un senso di smarrimento nell’anima: forse così successe agli amici del Maestro più di 2000 anni fa. Siamo stati fortunati: abbiamo avuto la possibilità di conoscere un profeta, di amarlo e di essere da lui amati. Abbiamo, grazie a lui, conosciuto altri profeti, altri maestri di vita che ci hanno indicato il futuro, ci hanno donato la fede, ci hanno condotto alle soglie del Mistero. Siamo stati increduli verso quanti non comprendevano, verso quanti erano lontani, verso quanti erano critici: e non erano pochi! Siamo felici perché molti fra questi sono oggi con noi per pensare, per pregare. Pensare e pregare in fondo per don Tonino non erano due verbi separati, due momenti distinti. Erano una sola cosa. Pensare e pregare per entrare nel segreto della Sapienza. Siamo così lontani da questa dimensione che giudichiamo i profeti come visionari, in senso dispregiativo: ma forse non ci accorgiamo che non volendo facciamo loro un complimento. Nascessero oggi altri visionari, in questo mondo senza orizzonti, in cui tutto è vecchio e il nuovo ancora non c’è! Ai profeti neghiamo anche il dialogo, non vogliamo parlare con loro, forse perché abbiamo paura. Loro ci indicano la speranza ma sperare non è facile perché sperare significa cambiare. E allora i profeti non disperano e parlano con l’Eterno: «…di questa speranza abbiamo bisogno. Mettiti, perciò al nostro fianco. Noi oggi stiamo vivendo l’epoca della transizione. Scorgiamo le pietre terminali delle nostre secolari civiltà. Addensàti sugli incroci, ci sentiamo protagonisti di un drammatico trapasso epocale, quasi da un’era geologica all’altra. [...] Le frontiere, insomma, nonostante il gran parlare sulle nostre panoramiche multirazziali, siamo più tentati a chiuderle che ad aprirle. Perciò abbiamo bisogno di te: perché la speranza abbia il sopravvento e non abbia a collassarci un tragico shock da futuro». Questo brano è tratto da Santa Maria donna di Frontiera: era il 12 aprile del 1992. Mancava solo un anno dalla sua dipartita ma lui ormai la morte la vedeva, la sentiva e il 22 novembre dello stesso anno (in Maria donna dell’ultima ora) scriveva: «Che la morte ci trovi vivi! Se tu ci darai una mano, non avremo più paura di lei». L’ultimo canto a Maria è del 14 febbraio del 1993: Maria donna innamorata: «Amare voce del verbo morire. C’è in lui sete di Infinito: «in quegli attimi di innamoramento con l’universo», ormai «sente giungere la sera», e «da una rotonda sul mare», estremo lembo della sua terra-finestra, si abbandona per pochi minuti ad una dolce melodia: «parlami d’amore, Mariù». Non c’ era in don Tonino nessun sentimentalismo sterile o vuoto: al contrario nella relazione con lui diventava palpabile anche il sentimento, l’affetto. Diventava tangibile la sua sapienza, perché era una sapienza operativa: la sorgente della sua Sapienza non era lo studio, che pure non mancava, ma il Vangelo. Con lui abbiamo capito che, come diceva Ernesto Balducci, Sapienza è «vedere il mondo con l’occhio di Dio. L’uomo che vive facendo suo imperativo il bene dell’umanità assunta come totalità nel suo insieme (non della sua patria, della sua classe, ma dell’umanità) costui ha la Sapienza. Sentiamo riflettersi, qui, qualcosa della Sapienza di Dio che ama ogni creatura, e soprattutto le creature che non sono amate, le creature che non sono amabili». Don Tonino appartiene a quella “nube di testimoni” che hanno vissuto con questa passione dell’universale e al contempo hanno avuto la grazia di cercare la Sapienza nel cuore degli ultimi. Se rileggiamo la vita di Don Tonino con questa chiave di lettura potremo accedere a messaggi molto significativi e capire la vera ragione che lo ha reso “attraente” non solo agli occhi dei credenti ma anche, e a volte soprattutto, agli occhi dei non credenti. Per Balducci infatti «la Sapienza scaturisce dal fondo in cui pensare e vivere sono la stessa cosa. Essa è testimonianza vissuta per cui molti sono sapienti anche senza saper parlare. Questa sapienza noi dobbiamo testimoniarla e dobbiamo salutarla ovunque emerga, fuori da tutti i confini». Cosi ci lasciava don Tonino: il messaggio era chiaro e forte. Dinnanzi a noi non la fine del mondo ma la fine di un mondo. Quello vecchio. Muoiono falsi miti: il confine, la patria, la guerra, le razze. Ciò che i filosofi, i politici, gli economisti non ci avevano mai fatto capire, Don Tonino lo aveva preannunciato e oggi ci è stato crudelmente spiegato da un virus. Dinnanzi a noi, per non morire, un mondo nuovo da costruire insieme con la Sapienza operativa. Presidente e socio Fondatore della Fondazione don Tonino Bello*

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