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Don Lorenzo Milani, dalla parte degli ultimi Uno spettacolo di Antonio Ragno con la Filodrammatica dello Scientifico
15 maggio 2001

Giovedì 17 maggio ho assistito, presso il teatro don Bosco, alla drammatizzazione “Don Milani” per la regia di Onofrio A. Ragno, che ha diretto la Filodrammatica del L. Scientifico ”Einstein” di Molfetta. Solitamente non scrivo sul teatro giovanile molfettese, forse perché lo realizzo anch’io da molti anni, ma questa volta l’impianto ideologico del lavoro, assolutamente atipico, mi ha spinta ad esprimermi in merito. In un’epoca in cui, sempre più, ci si omologa (e il teatro non fa eccezione) a standard scenici e visivi (penso ai mass-media) legati al “balletto” che fa tendenza, all’esibizionismo fisico-motorio, alla parola giocata in doppio senso equivoco, al divertissement senza altri fini, il coraggio di Tonino Ragno è stato grande nel proporre un testo “nudo” di attrattive costumistico-musicali-fisiche, fondato esclusivamente sulla parola tagliente e profonda, ricavata con accurato lavoro filologico dagli scritti autografi di don Milani “povero prete tra due fuochi: comunisti da una parte, dall’altra una Chiesa vecchia, vecchia”. A questa sua eresia ontologica si aggiunge l’esperienza di professore assolutamente controcorrente, che insegna ai suoi ragazzi non la viscida umiltà dei “Pierini-primi della classe”, ma la dignità ed il coraggio della critica. Allora, come ora, una figura simile non poteva che risultare perdente a tutti i livelli, infatti del sacerdote di Barbiana, novella Eboli di Levi, si sente tutt’oggi parlar poco, la sua “trasversalità” gli è valsa la damnatio memoriae. Anche per questo, Ragno ha voluto ed osato riproporlo, accostandolo non casualmente alla figura di Pier Paolo Pasolini, l’altro grande eretico. In una scuola competitiva e manageriale, legata ad una serie infinita di protocolli ed ordinanze da non trascurare (vae victis!), in cui spesso vale più l’apparire che l’essere, l’eresia di don Milani è quella di noi che ci riconosciamo in lui, noi suoi alunni “diversi”, attenti al riscatto umano, al lavoro discusso insieme, all’aiuto psicologico ad affettivo per chi è meno “dotato”. Per noi “essere scuola” è questo, con o senza ordinanze ministeriali che lo sanciscano. E gli studenti-attori del dramma devono aver colto fino in fondo l’importanza dei valori e non valori che sul palcoscenico si scontravano (da sempre, per sempre) perché con amore, attenzione, rispetto, hanno rappresentato la loro parte, minore o maggiore che fosse. La posta in gioco era alta. La solitudine, l’antiretoricità del sacerdote sono state coraggiosamente rese dal bravissimo Francesco Ragno, che ha scavato dentro di sé, con sofferenza e rabbia, per “entrare” nella complessa figura. Forse, don Milani ed il suo messaggio audace sono il simbolo del Liceo Scientifico, forse gli interrogativi che poneva non hanno ancora trovato una risposta da parte del Potere, forse sarebbe bene riproporre il dramma alle scuole, di mattina, facendo seguire la rappresentazione da un dibattito critico tra i giovani ed i loro docenti. Maria Teresa Mezzina
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