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Don Ciotti a Molfetta: studiare, amare e servire il mondo "La nostra sfida educativa in un'epoca di grave crisi"
14 aprile 2011

MOLFETTA - «Educare, oggi, vuol dire portar fuori quello che c’è nell’altro» è questo il fine fondamentale dell’educazione, secondo don Luigi Ciotti, relatore della conferenza «Sfide educative per l’Italia di oggi». Don Ciotti racconta che, quando fu nominato sacerdote da Padre Pellegrino, questo gli disse: «la tua parrocchia sarà la strada». Impegnato costantemente ad affrontare i duri problemi della realtà di oggi, come la droga e la mafia, don Ciotti ha sempre avuto la strada come suo punto di riferimento. Nel 1986 partecipa alla Fondazione della Lega italiana contro la mafia, negli anni’90 intensifica la lotta contro la mafia e diventa direttore del giornale «Narcomafia», nel 1985 nasce «Libera», l’associazione contro la mafia, presieduta proprio da don Ciotti. La strada, come lui stesso afferma, è la realtà più difficile, più complessa, è luogo d’incontro, accoglie le storie, le persone, i volti, è teatro di tutte le problematiche che tormentano la nostra società.

 È in una realtà difficile come la nostra che l’educazione deve acquisire un ruolo centrale. Il testamento lasciatoci da Paolo VI è il documento che esprime in modo significativo il vero senso dell’educazione, parlando del mondo dice: «non si creda di giovargli assumendo i pensieri, i costumi, i gusti, ma studiandolo, amandolo e servendolo».Ciò è proprio quello che siamo chiamati noi a fare: dobbiamo studiare il mondo, leggerne i cambiamenti, le trasformazioni; amarlo perché è il luogo che ci permette di crescere, di diventare veri e soprattutto amarlo«. Il mondo non è una realtà solo da fuggire, ma anche da amare» ribadisce don Ciotti. Questa deve diventare la nostra sfida educativa da trasmettere ai nostri giovani.
Con tutte le difficoltà che caratterizzano i nostri tempi, tutti noi abbiamo una grande responsabilità educativa. «Dobbiamo stimolare gli interessi, le aspirazioni dei nostri ragazzi, favorirne la creatività, il protagonismo. Questo significa educare» sostiene don Ciotti. I giovani oggi hanno bisogno di adulti non perfetti, ma veri, autentici, che non dicano loro cosa fare, ma li aiutino a capire i problemi e a cercare insieme delle vie d’uscita. «Educare è un atto d’amore, mai di potere, ci si educa insieme, facendo prevalere la dimensione del “noi”» dichiara don Ciotti.
In quest’epoca di grande smarrimento c’è bisogno di creare un nuovo patto educativo: «tutti noi dobbiamo sentire una passione nel processo educativo come energia trainante» .In un’ enciclica Benedetto VI riassume in sette elementi tutti i problemi da affrontare nell’età della globalizzazione: fame sete e disuguaglianza, precarietà del lavoro; emigrazioni; finanza speculativa; omologazione culturale; svalorizzazione della vita e mancanza di libertà religiosa. È un quadro preciso in cui leggere la realtà di oggi.
La nostra società è tormentata da un grande impoverimento sociale. Come ricorda don Ciotti, sono stati cancellati recentemente fondi per gli asili nido, per le pari opportunità, sono stati chiusi molti dormitori a Torino. L’impoverimento sociale è aggravato dall’impoverimento della cultura. Oggi assistiamo a una stagnazione della cultura,« oggi ci si accontenta di un sapere di seconda mano, per sentito dire, non autentico» tuona don Ciotti. A tutto ciò si aggiunge l’impoverimento della moralità pubblica: l’indignazione oggi, secondo il relatore, è diventata una moda, non basta più essere indignati, bisogna provare disgusto. Tutto ciò porta a tre ricadute psicologiche: limitazione, sfiducia e ribellione. È nostro dovere intercettare questi segnali e trasformare le ribellioni in impegno, ma soprattutto è nostro dovere incentivare la cultura, la conoscenza, la documentazione seria e attenta, mai faziosa e demagogica, perché, come afferma il relatore, senza verità non si costruisce la giustizia.
Ad acuire tale situazione di crisi concorre l’impoverimento della speranza. In questi ultimi anni si è triplicato l’uso degli antidepressivi, il consumismo ci sta divorando: l’anno scorso sono state sprecate 25.000.000 di tonnellate di alimentari, precisa don Ciotti, oltre 3.000.000 di persone sono attualmente coinvolte in gravi problemi come l’anoressia e la bulimia. Tutti chiari segnali di sofferenza e fragilità.
Per tutti questi motivi, secondo don Ciotti, deve assumere un ruolo centrale nella nostra vita il valore della libertà, «la vita affida un impegno a ciascuno di noi che è impegnare la nostra libertà per liberare chi libero non è». Oggi ci sono migliaia di persone non libere: gli immigranti, i disoccupati, gli anziani malati. Tutti noi dobbiamo impegnarci per difendere non solo la libertà, ma i diritti fondamentali di ogni persona. Il Vangelo e la Costituzione devono costituire i nostri riferimenti assoluti. «La nostra Costituzione deve diventare la nostra cultura e il nostro costume »chiarisce don Ciotti. Altro elemento imprescindibile dal nostro tempo, secondo il relatore, è la legalità: il rispetto e la pratica delle leggi, fondamentali per la costruzione del bene comune e della vita sociale.« Non c’è legalità senza uguaglianza» afferma don Ciotti. Se ognuno di noi non è riconosciuto nei suoi diritti e doveri, la legalità diventa una forma di potere, di discriminazione. Le leggi sono un mezzo per costruire la giustizia, per questo diventa necessario educarci alle responsabilità.
«Il Vangelo è incompatibile con l’illegalità, con la mafia, con la violenza» tuona don Ciotti e ricorda le parole di don Tonino Bello: «la Chiesa è per il mondo, non per se stessa». Anche la Chiesa deve impegnarsi, dunque, per la giustizia, deve combattere le violenze, deve interferire nella mafia. Sono queste le grandi sfide educative di oggi, le quali devono sempre avere come riferimenti imprescindibili il Vangelo e la nostra Costituzione.
 
© Riproduzione riservata
Autore: Loredana Spadavecchia
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Il potere dell'educazione è pressoché illimitato: non esistono inclinazioni naturali che essa non sia in grado di domare, e, se necessario, di distruggerle col farle cadere in disuso. La vittoria più notevole che si ricordi, riportata dall'educazione sul complesso delle inclinazioni naturali di un intero popolo fu dovuta in minima parte, se pur lo fu, alla religione: giacchè gli Dei degli Spartani erano gli stessi degli altri paesi greci, e pur credendo, indubbiamente, ogni Stato greco che la sua particolare costituzione poggiasse inizialmente su qualche sanzione divina non sorgevano quasi mai difficoltà per ottenere la stessa sanzione, od una altrettanto potente, se si facevano dei cambiamenti. Non fu la religione che diede forza alle istituzioni spartane: alla radice del sistema vi era la devozione di Sparta all'ideale della Patria o dello Stato: il che trasformato in devozione ideale a un paese più grande, il mondo, potrebbe produrre simili risultati, ed anzi assai più nobili. Per i Greci in generale, la moralità sociale era assolutamente indipendente dalla religione. Anzi era piuttosto il contrario: il culto degli Dei veniva inculcato principalmente come dovere sociale, in quantochè, se essi venivano trascurati, od insultati, si credeva che la loro ira non si scagliasse maggiormente contro il singolo offensore che non contro lo Stato o la comunità che lo aveva allevato e tollerato. L'insegnamento morale esistente in Grecia aveva ben poco a che fare con la religione. Non si riteneva che gli Dei si occupassero molto della condotta degli uomini l'uno verso l'altro, salvo quando gli uomini costringevano gli Dei ad essere parte in causa col porre un'asserzione od un impegno sotto la sanzione di un solenne appello a loro, mediante un voto o un giuramento. Fa fortemente presumere che, l'insegnamento religioso impartito nei primi anni debba il suo potere sugli uomini non tanto all'essere religioso quanto all'essere impartito nei primi anni: chiaramente la Storia.
1° Parte. - In una società sempre più globalizzata, sempre più multietnica, multiculturale, anche l'educazione si globalizza, e quindi parlare di educazione nazionale, locale, cittadina, diventa un eufemismo. Il voler educare e mantenere le identità “locali” diventa quasi impossibile: questa “conservazione” a tutti i costi potrebbe portarci a un feroce scontro di identità, sociali e religiose. Perché non cercare, a livello teorico una risposta che darebbe senso compiuto ai movimenti di liberazione, da quelli della classe operaia a quelli delle nazioni colonizzate, delle donne e delle varie minoranze, affermando che in questo mondo, che non può costruirsi intorno alla conquista e alla gestione delle tensioni più forti, è la ricerca di sé, la resistenza del sé di fronte alle forze impersonali a permetterci di conservare la nostra libertà? La vita sociale si è ridotta a un mercato senza regole in cui ognuno di noi cerca di appropriarsi di un prodotto che definisce un buon affare. Questa concorrenza generalizzata sostiene gruppi di interesse e corporativismi che non si preoccupano più dell'interesse generale. Le nostre società potrebbero allora diventare mercati, bazar, in cui ogni gruppo cercherà di vendere ciò che produce e di comprare al miglior prezzo i beni di cui ha bisogno (“Avete fatto della mia casa una spelonca di ladri” – Lc 19, 45-48). Questo ha determinato l'emergere di due fenomeni contrapposti: la disgregazione dell'io, definito come un insieme di ruoli, e l'avanzata di un individualismo consapevole, ponderato definito come la rivendicazione, da parte di un individuo o di un gruppo, di una libertà creativa che è fine a se stessa, che non è funzionale al raggiungimento di nessun obiettivo sociale e politico. (continua)
2°Parte. - L'individuo smette allora di essere un'unità empirica, un personaggio, un io, e, con un movimento inverso, diventa il fine supremo che si sostituisce non solo a Dio, ma alla società stessa (“Date a Cesare ciò che è di Cesare e a Dio ciò che è di Dio” la frase termina con “…a me ciò che è mio” – Matteo 16-22, Marco 11, 13-17). L'individuo era prodotto dalla società, lo erano i suoi comportamenti, lo erano i suoi pensieri; ora è vero il contrario. Tipico della modernità è non fare appello ad alcun principio, ad alcun valore al di fuori di se stessa. La modernità è veramente auto creatrice, secondo una modalità che può essere apprezzata dagli agnostici, ma anche da alcune forme di religione, quelle che sottolineano la relazione diretta del fedele con Dio, indipendentemente da qualsiasi attributo sociale. Per molti il mondo ha perso senso e il nonsenso può suscitare solo sentimenti di puro odio – odio verso di sé e verso l'ambiente circostante – o causare un'agitazione senza scopo in una cultura di massa ossessionata dalle immagini di violenza. Le religioni hanno tentato di colmare il vuoto che si annuncia con la morte. Ma tutte le religioni hanno fallito: alla vita si può rinunciare, alla morte non si può sfuggire. Scrive Elias Canetti: “Con così tante parole non si diventa immortali: tutto l'agire degli uomini ruota e deriva dall'inutile tentativo di schivare la morte”. Costituzione e Vangelo, Fede e Politica. Non fu Gesù di Nazareth il primo a separare fede e politica? Non è stata l'unificazione “forzata” di questi due “sacri principi” a non permettere quel “crogiuolo” di civiltà tanto desiderato e bramato, ancora oggi chiamato a gran voce nella speranza di porre termine alle numerose disuguaglianze umane? Siamo forse alla fine della civiltà, vista grottescamente: “Quando si arriva al punto in cui la metà del mondo guarda alla TV l'altra metà che muore di fame, la civiltà è giunta alla fine”. (fine)
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