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Discussioni sulla Cina a Singapore. Featuring C.M e D.X.
12 gennaio 2011

“Singapore vado a Singapore, benedette care signore..Singapore vado a Singapore..che mania di fare l’amore” recitava la hit dei “Nuovi Angeli”, datata 1972.
Con la gioia che questa canzone trasmette torno a scrivere, dalla Cina con furore, dalla Cina a Singapore. A brand new life, a brand new job and new sensations con la costante degli occhi a mandorla.
Singapore, calda domenica di novembre, sono le 18 e mi trovo al Raffles Palace, palazzo coloniale fatto costruire da Sir Stamford Raffles nel 1887, avamposto inglese nelle terre Orientali durante il periodo del colonialismo anglosassone di due secoli fa. Sono in pieno centro nella città del Leone (il simbolo della città ed il significato di Singapore), vicino al Palazzo del Governo e alle torri della city, è umido, 31 gradi, l’autunno più caldo della mia vita. Sono in Asia da quasi due anni e da due mesi vivo e lavoro a Singapore dopo la lunga parentesi pechinese che conservo ancora nel cuore, indelebile.

Seduto ad un elegante tavolino in radica nel salone dell’edificio in stile neoclassico assaporo il cocktail inventato nel 1915 da tale Ngiam Tong Boon, barman del Raffles, il Singapore sling, bevanda locale dal gusto dolciastro, esotico, un composto rossastro ottenuto da un miscuglio ben ponderato di gin, granatina, cherry, cointreau e ananas. Come dire, paese che vai, cocktail che trovi.. e che bontà questo miscuglio dolciastro e tropicale!

Ho sempre sperimentato le usanze ed i prodotti dei posti in cui ho viaggiato, credo siano il miglior modo e la porta di accesso per entrare e conoscere nuove culture, storie e tradizioni. Questa storia poi ha dell’incredibile ed ora ve la racconterò. È a metà tra il reale e l’onirico, mi ha lasciato perplesso e pensieroso, vorrei capire cosa ne pensate quando terminerete la lettura.
Eccomi seduto al tavolo del grande salone circolare in stile neoclassico che osservo interessato i movimenti dei commessi dai turbanti colorati, studio con attenzione i dettagli dei vestiti e dei volti degli avventori dell’albergo cercando di indovinarne le origini, la classe sociale, la motivazione del loro arrivo nel palazzo che un tempo era la sede centrale della Compagnia inglese delle Indie Orientali e che oggi si è trasformato in un albergo lussuosissimo con bar annesso dove è possibile provare il cocktail più famoso di Singapore del quale, sorso dopo sorso, apprezzo il carattere speziato, ricco di storia e tradizione e la sua gradazione alcolica che a poco a poco si fa spazio nel sangue e nella mente.
Gustando questo nettare rosa vedo sfilare ricche signore inglesi imbellettate, sono testimone del passaggio di importanti signori malesi con copricapo d’altri tempi e valigie dorate provenienti dai paesi d’eldorado, osservo l’entrata di ricche famiglie indiane con abiti sfarzosi e coloratissimi, con servitù annessa. Mi diverto ad inventare storie sulle loro origini, a percepire i loro discorsi, a sognare sulle loro storie e sulle motivazioni dei loro viaggi. D’altronde, anche se sono qui per lavoro, sono un viaggiatore anche io. Singapore poi è così, un porto di mare, un mix coinvolgente di storia e cultura, un Paese che vede convivere diverse razze, culture e religioni sotto un’unica bandiera rossa e bianca.
Sorseggio e sorseggio, ho quasi terminato il mio drink che ecco, qualcosa di strano avviene all’esterno del palazzo. Un forte soffio di vento scuote le palme che sono aldilà della grande finestra che dà sulla piazza, l’Esplanade, dove oggi si corre il Gran Premio di Formula 1. Pare il principio di un temporale, e qui ce ne sono parecchi tanto improvvisi quanto brevi ed inconsistenti, ma questo è diverso, è una raffica diversa che, repentina, scompare e si sostituisce con l’immagine, all’entrata del palazzo di due signori bislacchi, la cui apparenza quasi fuori dal tempo è contrastante, il primo un anziano occidentale, accigliato ma con due occhi come il fuoco che nascondono una certa soddisfazione innata, un lungo barbone bianco e due sopracciglia candide ed arruffate, vestito con contegno e senza sfarzo; il secondo un piccolo signore, con una divisa che mi sembra militare, occhi a mandorla che esprimono le sue origini asiatiche, volto sereno e pacifico, con un’apparenza che mette pace e voglia di ascolto, sul petto una spilletta dai bordi dorati con all’interno una bandiera rossa a stelle gialle che significa solo una cosa: Cina. Sono loro due che quasi a braccetto colpiscono la mia attenzione e annullano i viaggi che stavo percorrendo con la mente.
Quasi istintivamente termino il Singapore Sling e con mia stesso stupore (devo ammettere che ho sempre avuto difficoltà a prendere per primo la parola) li invito ad accomodarsi al mio tavolo e chiedo loro di intrattenere una discussione col sottoscritto, sperando di far loro cosa gradita. Sarà l’atmosfera magica del posto, sarà la mia situazione di naufrago e viaggiatore solitario, sarà l’effetto della mia bevanda, sento il bisogno di parlare e conoscere. I due signori accettano e si accomodano con grande contegno, non mostrandosi disturbati, ha inizio una delle esperienze più interessanti della mia vita..
 Il signore con la barba ordina una birra, una bionda tedesca, mi dice sbuffando che prende sempre quella del posto in cui vive, la Kneitinger e suppongo dunque si tratti di un teutonico doc, della Renania mi dice quando nota che ho difficoltà a riconoscere il nome della bevanda appena ordinata. Il secondo prende un the verde, figuriamoci, pura tradizione e canone orientale. Io ordino un altro Sling, assuefatto dal suo sapre inconfondibilmente dolce ed esotico. Offro loro il giro e pago il conto in Singapore Dollars. Il tedesco si accende un buon sigaro che estrae da una custodia molto elegante che conservava nella tasca interna della sua giacca un po’ logora, mi chiede cosa ci faccio in questo posto, come mai sono qui al Raffles tutto solo.
Mi presento con molta modestia, parlo di me, del mio nuovo lavoro con la mia nuova società italiana, gli dico come sono arrivato a Singapore e di cosa faccio in un Paese cosi lontano dall’Italia. Parlo della mia parentesi di quasi due anni in Cina e, rivolgendomi al signore orientale, di quanto mi manca quel paese cosi interessante quanto sconosciuto ai miei conterranei. I due si guardano e sorridono tra di loro mentre io tesso le lodi dello sviluppo cinese, inizio a discutere con veemenza dei cambiamenti del nostro tempo e del ruolo dell’Italia e dell’Europa nel mondo, esprimendo la mia preoccupazione per l’economia che non va, per la crescita lenta, per la crisi e la mancanza di opportunità per noi giovani italiani. Un turbine di pensieri e parole che forse loro nemmeno si aspettavano.
Ma ne sono compiaciuti e il loro volto risplende, felici della mia esperienza cinese mi comunicano che sono appena arrivati da Pechino e vedendomi sorridere incanalano la discussione su un terreno ad entrambi comune, iniziamo a parlare delle meraviglie e degli sviluppi economici incredibili che entrambi stiamo ed abbiamo sperimentato nella terra di mezzo (La Cina, Zhong Guo, terra di mezza appunto); loro con sorriso beffardo e compiaciuto ascoltano ed annuiscono alle mie affermazioni, sembrano sapere di cosa sto parlando. E’ sempre bello, vi sarà capitato, incontrare gente con cui è possibile colloquiare di argomenti concreti, condivisi, sperimentati; si tratta di un gioco di sguardi, di parole e confronto, il discorso diventa un mezzo verso la costruzione di teorie e modi di vedere che col confronto dialettico, sembrano quasi prender forma e ancora più contenuto. E con i due avventori mi sento a mio agio, beviamo e discerniamo in un’atmosfera amichevole e cordiale. Argomento: la Cina e da ciò la situazione economica mondiale, l’Europa, l’Italia.
Arrivano le loro ordinazioni, un boccale di bionda e frizzante cervogia teutonica e un fumante e salutare the verde che inebria per qualche istante l’atmosfera del tavolo al quale siamo seduti. Afferro il mio cocktail e sorseggio la sua schiuma tropicale sulla parte superiore del bicchiere. Il bianco tedesco dopo la prima boccata di birra si presenta, con la lunga barba ancora schiumata dal sorso profondo, afferma di essere un economista e politico, con lo sguardo basso mi dice di essere stato un “non compreso” dai suoi contemporanei per la forza e la modernità dei suoi pensieri.
Il secondo, il calmo e pacifico anziano dice di essere stato uno statista cinese, ammiratore ed esecutore della dottrina dell’economista tedesco, di cui ne tesse le lodi e con le cui teorie, mi dice, ha salvato e creato ricchezza nel suo Paese, la Cina, che oggi è uno dei maggiori player dello scacchiere macroeconomico mondiale. Il discorso si approfondisce, sono sempre stato interessato a parlare di politica economica e macroeconomia e conseguentemente dello sviluppo sociale che deriva dallo sviluppo economico. E la Cina è un argomento attuale, interessante, un perfetto terreno di studio.
Faccio loro presente che il velocissimo sviluppo della Cina oggi riguarda non solo la sua economia ed export, ma anche la cultura, la società civile, il mercato e la domanda interna. Perché, affermo, laddove si verifica lo sviluppo economico, nello stesso tempo si verifica di sicuro lo sviluppo culturale e sociale. E la Cina nel tempo ha assunto sempre più interesse per tutti, inizialmente per alcuni pionieri industriali che andavano in oriente per investire ed aprire fabbriche, poi per i cittadini del mondo globale che compravano e comprano ancora oggi merce cinese, poi per i curiosi che oggi mangiano cibo e comprano arte cinese. Se 20 anni fa si parlava della Cina come paese al di la della grande muraglia, sconosciuto a tutti ed idealizzato grazie alle immagini e i racconti de “Il Milione” di Marco Polo oggi si pensa alla sua cucina, alla sua arte, alla sua cultura millenaria, alle Olimpiadi di Beijing e all’Expo di Shanghai e anche a tutti i lati negativi fornitici dalle nostre televisioni, l’inquinamento, il partito unico, i diritti umani non rispettati.
La Cina, dico loro, inizia dunque ad avere una sua identità nell’immaginario europeo ma forse quello che non riusciamo a spiegarci fino in fondo è come mai questo sviluppo cosi improvviso ed eccezionale sia avvenuto sotto la firma di un Partito Unico, irrispettoso dei diritti umani, coercitivo nelle azioni e nelle leggi, poco interessato all’ambiente, un partito che tra l’altro è comunista! Riassumo in poche parole tutti i dubbi e le paure che noi europei abbiamo nei confronti di questo paese, di cui allo stesso tempo dobbiamo accettarne ineluttabilmente la forza e la potenza.
Il signore cinese, quasi risentito per le mie affermazioni “occidentali” ed anticinesi, mi fa una dichiarazione molto forte che ben stona con l’espressione del suo volto e con molta tranquillità, tipica orientale.
Con pacatezza afferma che lo sviluppo economico non deriva per forza dallo sviluppo democratico e che questo è il paradigma più forte che i politici cinesi, negli ultimi decenni, con il loro modo di governare e gestire la cosa pubblica, hanno sfatato. Sorseggia il suo the, fa una pausa, alza il braccio e traccia con l’indice una retta diagonale in salita, da sinistra verso destra affermando al contempo che il modello cinese è la via alternativa allo sviluppo e alla crescita economica del 21esimo secolo. Lo dice indicando il signore tedesco, suo compagno di viaggio, affermando che è proprio lui, qui accanto, che ha permesso loro di intraprendere questa strada con le sue teorie politiche ed economiche. “Un europeo che ha fatto grande la Cina!” mi dice guardandomi dritto negli occhi.
Frasi alquanto oscure che iniziano a prendere forma quando prende la parola il tedesco, che infervorato, quasi tentasse di dover dimostrare la correttezza delle sue affermazioni, denuncia il fatto che noi occidentali abbiamo continuato a seguire per lungo tempo solo una convinzione, quella che solo attraverso il liberismo in economia avremmo raggiunto il benessere e la libertà individuale, convincimento giustificato nella pratica da eventi quali il crollo del muro di Berlino, le politiche antistataliste ed anticomuniste della Thatcher e di Reagan, il continuo bombardamento mediatico anticomunista della nostra propaganda politica, il fallimento dell’economia socialista dell’Unione Sovietica. I fatti di quei tempi ci han reso consci che solo attraverso il capitalismo, l’antistatalismo ed il liberismo avremmo ottenuto la libertà economica e sociale dei popoli. Ci è andata bene, mi fa ironico, finché il castello di carte dell’economia liberista è crollato su se stesso, sulle sue menzogne, sul credito che non c’era, sulle speculazioni finanziarie, sul debito pubblico che ha portato molti Paesi alla bancarotta. È questa la libertà che tanto cercavamo? Mi chiede.. rimango basito in attesa di una risposta che purtroppo non riesco a dare.
Non abbiamo mai considerato forme politiche alternative, mi dice, sbuffando con il suo sigaro, la Cina è oggi la dimostrazione che siamo vittime di un grande abbaglio! L’abbaglio del non aver considerato che la via dello sviluppo economico è percorribile anche attraverso un sistema politico differente, una forma di governo alternativa che fa leva sull’unità di un popolo guidato da un partito unico che si fa garante dello sviluppo economico della sua gente. Utilizzando entrambe le leve, il comunismo e lo Stato da una parte, il liberismo dall’altra, alleati e non più nemici!
Sono alquanto sbigottito, qui si sta mettendo in dubbio tutto quello che a scuola, in famiglia, in società ci hanno insegnato, stiamo parlando pericolosamente di un modello alternativo che mai avevo considerato. 
Il saggio cinese continua, incurante del mio stupore, affermando che quello che sinora, per noi occidentali, è stata un’assurdità, un no-sense, un ossimoro bell’e buono, il binomio capitalismo-comunismo, per i cinesi è un dato di fatto. Il tedesco rincara la dose facendosi garante di fronte a me della novità di questa teoria spiegandomi che il segreto della Cina è l’aver riconsiderato il concetto di profitto come leva per lo sviluppo collettivo, sociale, con un’unica guida (il Partito Comunista Cinese) che ha guardato e perseguito, come fine ultimo e missione politica, l’interesse del popolo ed il bene collettivo, lo sviluppo economico come leva per l’affermazione sociale dei cittadini. La teoria comunista, tengono a sottolineare, non ha mai negato il concetto di profitto come leva di sviluppo nell’equazione economica! E che il fine, per i cinesi, giustifica sempre i mezzi. Lo diceva anche Machiavelli.
I fatti di Tian An Men sono stati l’esempio lampante di come la popolazione cinese con quelle proteste, non reclamava democrazia ma reclamava apertura economica, profitto e la possibilità di arricchirsi. Ed è qui, dopo la repressione di Tian An Men che il Governo cinese ha capito che le cose dovevano cambiare, che bisognava intraprendere un’altra strada, fatta di confronto interno al partito, di ridiscussione dei valori del comunismo e di una nuova reinterpretazione, un nuovo modello economico capi-comunista, un comunismo riformato! (mi rimbombano nella mente a tal proposito le stesse parole che il nostro Capo di Stato Giorgio Napolitano ha espresso durante la sua visita in Cina qualche settimana fa, trovando infatti l’approvazione ed il compiacimento del governo cinese). I due uomini di fronte a me mi spiegano una nuova verità, un’affascinante teoria e re-interpretazione della realtà. Ne sono affascinato..
Ed ecco perché la Cina di oggi ha quei tratti che per noi occidentali sono incomprensibili, ecco perché non accettiamo i problemi dei diritti umani, l’inquinamento selvaggio, la pena di morte, la censura, lati certamente negativi ma che giustificano il fine ultimo del Partito, lo sviluppo e la crescita economica. Il fine giustifica i mezzi.
Non sono convinto, controbatto dicendo che preferisco vivere in un Paese democratico e più povero che in un regime senza scrupoli. Il cinese sorride e mi chiede se credo davvero di vivere in un paese democratico e libero e purtroppo riluttante, non riesco a dirgli di si, da italiano poi..
Chiedo loro venia, mi allontano per recarmi alla toilette, prendo tempo per pensare un po’ su a quello che ho sentito dire da questi due personaggi un po’ bislacchi che mi hanno riempito il cervello di assurde teorie! Ma sono poi cosi assurde? Sono sconvolto…e se avessero ragione? Sono passati tre minuti, torno al tavolo per riprendere la conversazione, fuori è il calare della sera, il sole tramonta in direzione Indonesia..lo vedo morire dietro le tre torri del marina Bay Sands. Un forte soffio di vento spazza via le ceneri lasciate da grandi ramoscelli fatti bruciare da alcuni passanti che erano poco prima per strada a benedire chissà quale dio.
Rientro nel salone principale, il cameriere mi si avvicina e mi dice che i due signori sono dovuti scappare e che hanno lasciato un messaggio per me. Ci sono due biglietti sul tavolo. Prendo il primo, piegato diligentemente, lo apro, è del tedesco, mi scrive che è stato un piacere conoscermi, spera di avere occasione di incontrarmi di nuovo in Europa, quando le cose saranno cambiate, in meglio si augura. Si firma Carl, Carl M. per l’esattezza.. Il bigliettino del cinese è accanto al suo, scritto in caratteri cinesi, in fondo leggo ???, Deng X.
Potete ben immaginare il mio sbigottimento, la mia frustrazione, i miei sentimenti contrastanti, la perdita della rotta.. quando leggo quei nomi.. Ero a colloquio con il teorico del comunismo e con il politico creatore della Cina moderna!
Rimango seduto da solo al tavolino, il bicchiere è mezzo vuoto, mi rendo conto, perplesso, molto perplesso che potrei riconsiderare tutto quello che mi è stato detto ed insegnato finora, l’importanza del binomio democrazia-sviluppo economico, il ruolo dei media nei nostri paesi, l’arroganza e la chiusura mentale dei nostri politici e la poca voglia di rischiare ma soprattutto la poca autocritica di chi ci governa, di chi è ancora impantanato nei retaggi post guerra fredda, di chi non ha capito come sta girando oggi il mondo. E mi chiedo se noi, oggi, non viviamo in una dittatura della democrazia, con un’oligarchia al potere che fa i propri interessi senza guardare al popolo, alla crescita, e di come possiamo permetterci di poter giudicare un paese che, certo con i suoi metodi e modelli non ortodossi ai nostri occhi, sta guadagnando il rispetto e i primi posti dell’economia mondiale.
Credo dovremmo riconsiderare i nostri sistemi che, ammettiamolo, sono ormai antiquati. Uno spettro si aggira per l’Occidente, lo spettro del comunismo capitalista cinese. Volenti o nolenti dobbiamo farci i conti..e forse confrontarci ed imparare la lezione con molta umiltà e spirito critico. Il mondo sta cambiando con uno spin diverso, non facciamoci trovare impreparati, penso alzandomi per uscire dalla sala.
Ho bevuto troppo, inciampo in una gamba del tavolino e cado. Mi sveglio, sono a casa, è mattina di lunedi, devo andare a lavoro. Era solo un sogno... sarà meglio rimanere desti...
 
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Autore: Vincenzo De Laurentiis
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......invece no, caro mio!Non riusciamo più a restare desti e nemmeno attenti. Più che addormentati, ci siamo fatti anestetizzare da miraggi in realtà sempre più desertiche e irreali se non innaturali. L'individualismo ha trasformato non solo la società civile, ma anche i conflitti sociali. Non è vero che i conflitto sociali individualizzati siano più facili da affrontare (da regolare)delle lotte con classi organizzate o di altre battaglie; è vero, anzi, il contrario. Essi dimostrano che la gente non ha nessun senso di appartenenza, nessun senso di impegno sociale e quindi nessuna ragione per rispettare la legge o i valori che l'hanno ispirata. Se sei disoccupato perché non fumare marijuana, partecipare ai droga-party e andarsene in giro con automobili rubate? Perché non rapinare vecchie signore, battersi con bande rivali e, se necessario ammazzare qualcuno? L'espressione “legge e ordine” copre una moltitudine di peccati e non è sempre facile attribuirle una base concreta. Ma sembra alquanto difficile contestare l'osservazione che la disintegrazione sociale va di pari passo con un certo grado di disordine attivo. Persone più o meno giovani (tra cui anche donne, di età via via più bassa) non vedono nessuna ragione per continuare ad attenersi alle presunte regole generali del gruppo di cui fanno parte; per loro esse sono le regole degli altri; preferiscono dissociarsi da una società che le ha già confinate ai margini e per la quale esse diventano una minaccia. Coloro che se lo possono permettere pagano per la propria protezione. I servizi di sicurezza stanno conoscendo una crescita che non ha l'eguale in nessuna attività professionale. Coloro che non possono permettersi una protezione diventano vittime. La sensazione che si va diffondendo è quella che stia venendo meno ogni certezza: senso di anomia, tramonto di ogni regola, e profonda insicurezza.-


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