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Da Gaza a Molfetta, don Nandino Capovilla presenta "Un parroco all'inferno"
19 novembre 2009

MOLFETTA - C’è un desktop nel quale c’è tutto. Si vedrà solo qualcosa: tante, troppe delle immagini catturate a Gaza, non sono mostrabili, sono troppo terribili.
Don Nandino Capovilla, coordinatore nazionale di Pax Christi Italia (movimento che a Molfetta ha
messo radici grazie a don Tonino Bello, che ne è stato presidente) ha presentato così, nel teatro dell’ oratorio S. Filippo Neri a Molfetta,  attraverso le immagini e attraverso la sua voce non sempre atona, a volte commossa, a volte rabbiosa, i suoi giorni a Gaza.
“Siamo stufi di sentire parlare di Palestina, siamo nati sentendone parlare, eppure non ne sappiamo abbastanza” afferma don Nandino, rientrato solo poche settimane fa in Italia. “Da quando sono entrato a Gaza, ritornano immagini terribili, ancora più terribili di quel muro che corre come un serpente, per 700 km”.
“Un parroco all’inferno”, si chiama il suo ultimo libro, e racconta della sua intervista, mostrata anche ai presenti, a Abuna Emanuel, parroco di Gaza. I giorni sono quelli immediatamente successivi al massacro iniziato il 27 dicembre, l'operazione militare israeliana nota come "Piombo fuso" che causò 1400 morti, e una devastazione totale, che non risparmiò né ospedali, né scuole. “La più piccola striscia di terra è la più grande prigione del mondo, a cielo aperto. La situazione non è migliorata, e la guerra ha solo moltiplicato l’odio. Non riesce a passare un solo sacco di cemento per la ricostruzione, e i media portano a conoscenza solo della minima parte di ciò che accade”. I particolari sono cruenti, orribili.
Fonti dell’ ONU riferiscono che vi fosse l’ordine per i guerriglieri, a Gaza, in quei giorni, di sparare a qualsiasi cosa si muovesse. Fonti dell’ONU oggi ammettono l’impotenza totale, di fronte ad un crimine terribile.
E allora cosa resta ? Cercare, come don Nandino ha cercato, a inizio 2009: “andare alla ricerca dei costruttori di pare, nei luoghi in cui nel diluvio sta nascendo l’arcobaleno. Anche in un inferno c’è la possibilità di costruire un’alternativa”.
Poi, sono le parole di Abuna Emanuel a raccontare quello che fu in quei giorni, giorni in cui in 3 minuti furono trucidati 60 poliziotti, giorni che portarono in dote 5000 feriti, e che prolungheranno un embargo che dura da mesi, da anni. “Hanno cercato di ucciderci perché stiamo cercando di vivere”, dice Abuna Emanuel, con la testa alta, verso l’obiettivo della telecamera.
Il 20 dicembre 2009, Abuna Emanuel chiede agli italiani, a migliaia di km di distanza, con il corpo, o soltanto con la mente, di festeggiare il Natale assieme alla popolazione di Gaza, dove la nascita di Gesù si celebra cinque giorni prima. Chiede di pensare, di riunirsi, di parlare, di non scordare Gaza: Christmas in Gaza 2009.
Perché, se è vero come confessa don Nandino, che da qui non possiamo far nulla, forse da qui possiamo pensare molto. Forse da qui possiamo far pensare molto.
 

Autore: Vincenzo Azzollini
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Oriana Fallaci intervista Golda Meir, primo ministro d'Israele.- 14 novembre del 1973. - Signora Meir, il terrorismo arabo esisterà finchè vi saranno i profughi palestinesi? Non è vero, il terrorismo è una malattia che non ha nulla a che fare coi profughi palestinesi. Non ci sono solo i profughi palestinesi al mondo: vi sono quelli pakistani, indù, turchi... Ma il caso dei palestinesi è diverso, signora Meir, perchè.... Certamente. Perchè quando c'è una guerra e la gente scappa, di solito scappa verso i paesi di lingua diversa e religione diversa. I palestinesi,fuggirono verso i paesi dove si parlava la loro stessa lingua. Gli egiziani che presero Gaza non permisero ai palestinesi nemmeno di lavorare per usarli come arma contro di noi. E sempre stata la politica dei paesi arabi: usare i profughi come un'arma contro di noi. . Signora Meir, non sente almeno un po' di pena per loro? - Certo che la sento. Ma la pena non è responsabilità, e la responsabilità è degli arabi. Noi in Israele abbiamo assorbito circa un milione e quattrocentomila arabi. Gente che arrivando qui era piena di malattie e non sapeva far nulla. Li prendemmo e costruimmo per loro ospedali e li curammo.............. Signora Meir, e se Israele permettesse ai profughi palestinesi di tornare qui? Golda Meir: Impossibile. Per vent'anni sono stati nutriti di odio per noi. I loro bambini non sono nati qua, sono nati nei campi, e tutto ciò che sanno è che bisogna uccidere gli israeliani: distruggere Israele. Abbiamo trovato libri di aritmetica, nelle scuole di Gaza, che ponevano problemi del genere: "Hai cinque israeliani. Ne ammazzi tre. Quanti israeliani restano da ammazzare?" Quando insegni simili cose a creature di sette o otto anni, ogni speranza svanisce.......... L'importante è che non nasca un terzo Stato arabo tra noi e la Giordania. non lo vogliamo. Non possiamo permettercelo.- 2009 - Possiamo fare ancora molto?
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