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Covid, storie interrotte quando gli anziani diventano numeri
15 maggio 2020

Ci sono cose del tramonto che l’alba non conosce (cit.). Ci sono stagioni della vita vissute più intensamente, considerate più preziose, prive di quella meravigliosa sfrontatezza della gioventù. Ci sono stagioni che gridano istintive e poi ci sono quelle della riflessione meditata, delle parole sussurrate ed infine del silenzio. C’era un prima e c’è un dopo. C’è una generazione che non c’è più, di visi rugosi e di capelli candidi, di occhi che hanno visioni sfocate ma di udito selettivo nel percepire solo suoni e parole più terapeutici delle medicine prescritte. Spazzate, cancellate e restituite in un’urna, senza il calore delle persone care, senza il conforto della vicinanza, senza un corpo da accarezzare, ancora, un’ultima volta. E cosa rimane di quei ragazzi che hanno lavorato, che hanno amato una donna con cui si “sono fatti una famiglia”, che sono stati padri severi e loro malgrado, lontani per lavoro, ma nonni amorevoli e presenti per i loro nipoti, che hanno fatto conoscere il potere contagioso della dolcezza, cosa rimane di loro, se non il ricordo? Dentro un corpo stanco, piegato dai malanni, battono cuori giovani, pregni di ricordi di battaglie, di sopravvivenza, di guerre, della più grande tragedia, dell’olocausto, perché se la conoscenza oggi è a portata di un click, essi rappresentano la coscienza della memoria, impegnati nel passaggio del testimone di una storia che non deve essere cancellata. Penetrano come lame le immagini degli ospiti deceduti nelle RSA, con l’ultimo respiro riservato alla video chiamata di addio, ti voglio bene, mi raccomando, pensa ai bambini, dai un bacio a tua madre e dille che l’ho sempre amata. Figli che scoprono genitori che hanno lottato contro se stessi, contro la propria incapacità di dimostrare affetto, perché hanno insegnato loro che i figli propri non si lodano, si baciano solo di notte quando dormono, ma che poi tornano essi stessi bambini fragili, bisognosi di lasciare un segno di quell’amore incondizionato che li ha portati lontani per un lavoro che garantisse loro il diploma, la laurea, la festa di matrimonio, tutto ciò che loro non hanno potuto avere. Storie interrotte, senza possibilità di replica, senza un dopo il riassunto delle puntate precedenti, senza poter recuperare. I nostri anziani, tanto amati e rispettati nel passato, oracoli viventi, consiglieri, giudici imparziali, garanti di legalità e onore. I nostri anziani che non ci sono più, che hanno vissuto il secondo tempo della loro vita aspettando. Come lui, bello ed elegante nella sua giacca da camera, i folti capelli più bianchi della neve, gli occhi azzurri. Aveva in mano un prezioso orologio e faticava a metterlo al polso. “Mi permette di aiutarla’’, gli ho chiesto. Sì, grazie, ma dopo pochi minuti l’orologio era di nuovo tra le mani. “Lo mettiamo nel taschino?”. Grazie signora, sto aspettando mio figlio, devo darlo a lui. Mia madre ci ha raggiunti nella sala comune della struttura di riabilitazione ortopedica ove entrambi erano ricoverati. Ho raccomandato a mia madre di assicurarsi che il prezioso orologio giungesse nelle mani del figlio. ‘‘Figlia mia, lo aspetta ogni sera, con l’orologio tra le mani, ma lui non è mai venuto’’. Mia madre è stata dimessa prima di quest’uomo che ha continuato ad aspettare. Sembrava felice quando gli hanno detto che suo figlio non poteva andare a trovarlo per il timore di contagio da COVID 19, aveva trovato una giustificazione alla sua assenza. Mia madre è stata dimessa e di lui non so più nulla. Storie di COVID, storie di un prima e di un dopo, di uomini e donne che sono diventati numeri, statistiche, perdite imputate a fattori di rischio, patologie pregresse, quasi a giustificare una strage di persone che avevano ancora tanto da dare e la cui mancanza sarà più invadente della loro silenziosa presenza. Anziano, decano, veterano, vecchio, erano vite, erano amati ed amavano. Ci sono cose del tramonto che l’alba non conosce e ci sono tramonti per i quali vale la pena di aspettare, per vivere tutte le variegate sfumature. Un ringraziamento a Mauro Germinario, amico e fotografo di “Quindici”, per aver affidato a me i suoi pensieri più profondi, affinché li trasformassi in un doveroso omaggio ai nostri anziani. © Riproduzione riservata

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