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Covid, il ruolo importante delle farmacie
15 gennaio 2022

Covid, Covid, Covid e ancora Covid. Ma non se ne parla abbastanza? Tra chi ritiene che se ne parli troppo e chi ritiene che è giusto dare ampio spazio a questo stato di cose che perdura da due anni, noi scegliamo di dare voce a chi ogni giorno con professionalità, umiltà e instancabilmente si spende nella lotta a questo virus che ci ha cambiati irrimediabilmente, a chi ha dovuto farsi carico di nuove incombenze senza dimenticare il fine primario: la salute del paziente. Il dott. Leo Stanzione, titolare di una farmacia nel quartiere Cecilia a Modugno, è, senza ombra di dubbio, tra coloro a cui, a pieno titolo va riconosciuto il merito di essersi prodigato, con generosità, per gli altri non facendo mai mancare il proprio contributo senza mi perdere l’elemento più importante: l’empatia. A lui “Quindici” ha rivolto alcune domande. Nella farmacia di cui lei è titolare non si effettuano tamponi rapidi test Covid. E’ una scelta? Da cosa è dettata? «Quando, anche se un po’ in ritardo rispetto ad altre Regioni, la Regione Puglia ha autorizzato le farmacie ad effettuare Tamponi Antigenici, io, ma penso tanti miei colleghi, ci siamo prima di tutto dovuti interfacciare con i requisiti tecnici che la farmacia avrebbe dovuto soddisfare per poterlo fare. Un ambiente idoneo di dimensioni non trascurabili. Doppio ingresso per evitare contatti fra clientela diretta agli acquisti al banco e gente in coda per fare il tampone. Stanzetta dedicata, aerazione adeguata dell’ambiente... solo per citarne alcune. Ecco perché molte farmacie si sono organizzate eseguendo i tamponi in locali adiacenti o in farmacia, ma in orari diversi da quelli di apertura. Alla mia farmacia mancano alcuni di questi requisiti e sin da subito abbiamo rinunciato. Nel vedere oggi quel che sta succedendo, lo riferiscono quotidianamente i telegiornali, il contributo dato dalle farmacie che hanno potuto aderire è lodevole perché è sotto gli occhi di tutti che con l’improvviso aumento dei contagi e le paure dei cittadini, le farmacie sono state prese d’assalto e la mole di lavoro è diventata enorme. Solo ora qualcuno se ne è accorto e stanno riaprendo altri centri designati dalle Asl». Cosa pensa dell’evoluzione della figura del farmacista, da dispensatore di farmaci, consigli, a certificatore, del carico immane che è piombato su una mansione, di per sé, già gravosa? «Pensare che il farmacista da essere dispensatore di farmaci e consigli ora sia cambiato, chiederlo ad un farmacista come me, figlio di farmacista e che da bambino ha condiviso gli insegnamenti di un papà che tornava a casa ogni sera stanco ma sereno e soddisfatto, può avere una sola risposta. “In qualsiasi gesto fatto da un farmacista, qualsiasi nuova mansione gli venga affidata, burocratica o non, bisogna sempre vedere lo spirito col quale si fa”. Ci è stato affidato il compito di fare le prenotazioni dei vaccini, a volte quasi 100 al giorno. Ebbene, io sono contento perché so che grazie al mio contributo quelle 100 persone hanno fatto solo pochi metri dalle loro case. In farmacia sono state accolte col sorriso, gli è stato dedicato tutto il tempo necessario. Caso contrario sarebbero andate al Cup di qualche ospedale, in un ambiente freddo in tutti i sensi, puzza di sigarette di quelli che son fuori in attesa e, soprattutto, non sempre nelle strutture pubbliche si trovano operatori gentili, perdonate la mia spontaneità. Nella mia farmacia abbiamo stampato e stampiamo ancora migliaia di Greenpass. Dietro ogni stampa c’è un nuovo vaccinato... ben venga. Se il nostro compito apparentemente gravoso viene svolto con lo spirito giusto, tutto diventa più leggero». Cosa è cambiato dall’inizio della crisi pandemica? Trova maggiore senso di responsabilità da parte degli “utenti”? «Sono ormai due anni che viviamo in compagnia di questo virus. Ci segue nel nostro lavoro e nel lavoro di tutti. Ha cambiato le nostre abitudini e i rapporti fra le persone. All’inizio eravamo tutti inconsapevoli di quel che stava succedendo, attendevamo le dirette di Conte per saperne di più, seguivamo le famose regole: distanziamento, mascherine, mani sempre igienizzate. Avevamo una speranza, un sogno che si chiamava vaccino e abbiamo accettato con fermezza e diligenza ciò che ci dicevano di fare. Io ho avuto persino l’impressione che nella difficoltà, fossimo diventati tutti più buoni, più umili, più socievoli e più ben disposti ad aiutarci. Poi il sogno si è realizzato. E’ arrivato il vaccino che ha rotto l’isolamento, ci ha portati in una dimensione quasi normale e la gente ha dimenticato i buoni propositi. Quelli che erano contrari alle varie vaccinazioni dei bambini, zitti per alcuni mesi, hanno trovato un nuovo appiglio per far valere le proprie teorie dividendo gli italiani in buoni e cattivi, fra vaccinati e no vax, fra vittime e carnefici. In questo vortice però sta prevalendo il senso civico della maggior parte dei cittadini e sarà proprio questa l’arma, oltre al vaccino, che ci permetterà di sconfiggere il virus. Mi si chiede di fare una riflessione... eccola. I cittadini hanno percepito in questi due anni l’impegno svolto dal farmacista. Le consegne a domicilio ai malati Covid, le prenotazioni delle vaccinazioni, la stampa dei Greenpass, la vaccinazione in farmacia. Ecco quindi che la figura del farmacista, a volte un po’ trascurata dalle Istituzioni e dalla politica, è stata rivalutata dalla gente della strada e il peso specifico della loro stima e considerazione è di gran lunga maggiore di chi siede su una poltrona. Essere farmacisti non vuol dire avere una laurea da esporre su una parete ma cercare tutti i giorni di entrare nella vita delle persone quasi come uno di famiglia, convincere tutti che ci sarà sempre qualcuno pronto ad ascoltarti. Il farmacista deve fare breccia nei cuori della gente e alla farmacia Stanzione in questo siamo specialisti». Chapeau dott. Leo, null’altro da aggiungere. © Riproduzione riservata

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