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Coraggio speranza verità, libertà Don Tonino nel cuore
15 aprile 2023

Coraggio, speranza, verità, libertà, sono le quattro parole che mi ricordano don Tonino e che porto nel cuore. Le parole che lui ripeteva spesso e che per me sono la sua eredità. Mi diceva sempre: “nel tuo prezioso lavoro di giornalista il Signore ti dia la gioia di servire la verità”. Chiedeva a tutti di “essere uomini fino in cima”, ad essere “uomini di parte”, dalla parte dei poveri, dalla parte degli ultimi. Lui “Vescovo del grembiule”, come lo definì Mons. Bettazzi, quando accolse nel suo episcopio sfrattati, gente senza fissa dimora, immigrati e dette una “casa” ai tossicodipendenti. Era il vescovo di tutti che ascoltava tutti: le storie, i problemi, le sconfitte e aveva una parola per tutti. Ha lasciato pagine ricche di umanità, soprattutto quelle rivolte a Massimo ladro ammazzato, a Gennaro l’ubriaco, ad Antonio il pescatore. Ecco il costruttore di speranza, il pastore della convivialità delle differenze, l’uomo di Chiesa che insegue il modello di società fondata sulla pace e costruita sull’umanità e sulla giustizia. Straordinarie le sue “provocazioni fatte pietre”. Già nel novembre 1982, pochi giorni dopo il suo ingresso a Molfetta come vescovo diceva: “Caro popolo di Dio in cammino, date al mondo un fiotto di speranza perché ho l’impressione che ci sia tanta disperazione nel mondo. Noi cristiani siamo chiamati ad essere gli enunciatori della speranza, piuttosto che metterci anche noi a fare geremiache lamentazioni sulla perversità del mondo, i pianti su questo mondo che va male, che va in rovina”. E aggiungeva: “Allora guardiamoli questi segni di speranza, moltiplichiamoli, annunciamoli agli altri: la storia si evolve verso i segni positivi e non verso i segni della morte”. In merito al coraggio, ho anche un riferimento personale che ho già raccontato, ma che mi piace ricordare, perché offre la dimensione del personaggio e della sua capacità di entrare in sintonia con gli altri. E perché – come diceva Lui – c’è il dovere della testimonianza. Ebbene, don Tonino, oggi Venerabile per la Chiesa, in uno dei colloqui che periodicamente avevo con lui, mi chiese una cosa incredibile: “dammi coraggio!”. La richiesta mi lasciò stupefatto: “Come – gli risposi – io, semplice cronista, devo dare coraggio a un vescovo che di coraggio ne sta dimostrando tanto ogni giorno (e ne dimostrerà poi tantissimo, durante la sua malattia andando anche a Sarajevo per la pace, ndr)?”. “Sì, mi rispose, perché anche un vescovo che si trova in una città non sua ad affrontare tanti problemi e a incontrare tanti ostacoli, ha bisogno di coraggio. Non pensavo di ricevere tanta ostilità”. Ma le sue parole non erano di sconforto, non era abbattuto, era semplicemente amareggiato dalla reazione, soprattutto dei politici, alle sue parole e ancor più alle sue azioni. “Avevi ragione – aggiunse – quando ci conoscemmo e mi descrivesti la città e i suoi abitanti, le sue paure e le sue ipocrisie, le sue vanità e le sue miserie”. Naturalmente non potevo sottrarmi al suo affettuoso invito e cercai, nel mio piccolo, di dargli quel “coraggio” che mi chiedeva. Poi, poco dopo ho capito che era un modo tutto suo di dare “coraggio” agli altri, a me in quel momento nel mio lavoro di giornalista (Lui credeva molto nel ruolo e nell’importanza dei mass-media), perché nel nostro discorso si intrecciarono, inevitabilmente, anche i riferimenti personali: “Vedi, don Tonino, anche a me è capitato, ecc…”. Per lui era un modo per non farti perdere la speranza, per renderti “protagonista”, attore e non spettatore della vita sociale e politica. Era un personaggio straordinario, capace di essere discreto anche quando voleva darti coraggio senza fartelo pesare, senza darti l’impressione di voler invadere la tua sfera personale o di offrirti un aiuto non richiesto o infonderti un invito ad andare avanti senza avere paura. La speranza. Quella che manca alla nostra comunità cittadina, che ha dimenticato i suoi insegnamenti “scomodi”, il vero modo di celebrare la sua santità. «Alla nostra comunità cittadina – mi disse in un’intervista per La Gazzetta del Mezzogiorno” in occasione della sua nomina a presidente di Pax Christi – manca la decisione di passare armi e bagagli sulla sponda della speranza. C’è troppa paura, si è troppo legati, manca l’audacia, non c’è manco intenzione. Manca la poesia, nel senso di fare, inventare, creare, fare affidamento sul futuro in termini di speranza, significa progettare, significa scavalcamento dei limiti, delle piccole barriere delle nostre paure, dei nostri condizionamenti culturali, capacità di tentare altre strade inedite». Don Tonino pacifista, nonviolento, poeta. Ma anche riformatore sociale. Del Sud. Anzi, l’ultimo grande riformatore sociale del Mezzogiorno, come mi disse Guglielmo Minervini, suo discepolo e amico, in un’intervista. «Ha infranto le regole del buon costume episcopale, frantumato le sbarre invisibili (chi si ricorda di Pasolini?) dell’esclusione sociale, sovvertito l’ordine dei valori dominanti. Come tutti i grandi riformatori ha misurato la fatica del cambiamento prima sui problemi concreti, strutturali, quelli che si toccano. La casa, la disoccupazione, il disagio, le criminalità, lo sviluppo. La polvere e la strada. E poi le cose che non si toccano, la culture, le relazioni. Lo scetticismo. Le coscienze. E’ stato poco nei ranghi, specie da vescovo». A 30 anni dalla morte, don Tonino Bello è sempre di attualità, soprattutto perché la guerra – a 30 anni da Sarajevo e dalla sua marcia con 500 coraggiosi pacifisti nella capitale bosniaca – si è affacciata in Europa con l’invasione russa dell’Ucraina e il nuovo scenario di distruzione e morte. “La strada senza ritorno della guerra”. E la pace non è nemmeno all’orizzonte. E i messaggi di pace li affidava soprattutto ai giovani che ha tanto amato. Mi piace ricordare le sue parole in un incontro inedito con gli studenti ad Altamura il 25 marzo del 1991 (pubblicato su “Quindici” nell’aprile 2003). «Attenzione! Non affittate la vostra coscienza agli altri! Non regalatela impunemente agli altri! All’interno della vostra coscienza deve avvenire la sintesi tra la vostra libertà e il comando che vi viene dal di fuori. I comandi che vi vengono dallo Stato devono essere ascoltati. E voi dovete obbedire alle leggi. Dobbiamo obbedire alle leggi. Però quando c’è qualche comando, che viene dallo Stato, che è in netto contrasto con una legge superiore, noi dobbiamo dare ascolto a questa legge superiore. Se avvertiamo questo dramma interno. Se non lo avvertiamo, pazienza. Ma se lo avvertiamo, dobbiamo dare ascolto a questa legge che risuona dentro di noi. Questo non è disfattismo e non è neppure diserzione. Ma obiezione di coscienza. Che è tutt’altra cosa». E’ stato la vera “ala di riserva” per tutti, profeta nel suo essere veramente libero, come quelle pagine del Vangelo, che il vento sfogliava al suo funerale. «Verranno tempi difficili, ma noi li dobbiamo affrontare con grande speranza. Perché se ce la mettiamo tutta le cose dovranno cambiare... Non abbiate paura, quindi, carissimi fratelli. Chiediamo al Signore, chiediamo alla Vergine santa che faccia traboccare nel nostro cuore la speranza in tempi migliori”... “Vi faccio tanti auguri per la vostra vita, per i vostri sogni, per il vostro futuro. Non abbiate mai ad avere paura di essere carichi di utopie, carichi di queste idealità purissime, soprattutto quelle che si rifanno ai grandi temi della pace, della giustizia, della solidarietà che, tutto sommato, son temi che si stringono in quella parola: freedom. Oh freedom, libertà!». © Riproduzione riservata

Autore: Felice de Sanctis
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