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Confusioni senza passioni
15 novembre 2001

Hic Rodhus, hic salta, diceva un’antica favola di Esopo, ed è questo il consiglio che potremmo dare al centro-sinistra (e ancor più alla sinistra) che da qualche tempo continua a vagare nella disperata ricerca di una linea di opposizione, che possa permettere di superare lo choc dell’ultima sconfitta elettorale e nello stesso tempo ricreare il consenso. Non c’è bisogno di andare fino a Rodi per saltare, qui è Rodi e qui devi saltare cara sinistra. Girare attorno al problema non serve, occorre affrontarlo seriamente e decisamente. Questo non è avvenuto all’indomani della débacle, quando non è stata fatta una seria analisi del voto e soprattutto una concreta autocritica che non fosse quella dello scambio reciproco di accuse. Qui c’è il problema e qui bisogna affrontarlo. E il problema è quello della scelta di un’opposizione che contrasti seriamente una maggioranza di centro-destra molto forte numericamente, ma debole qualitativamente e soprattutto culturalmente in senso lato. Di fronte a una classe dirigente di basso profilo, che punta a demolire il sistema delle regole stabilito nel recente passato e a far prevalere in modo sfacciato ed evidente gli interessi di bottega rispetto a quelli collettivi, l’opposizione non trova di meglio che abbandonare l’aula del consiglio comunale o piangersi addosso con qualche manifesto dal contenuto ermetico che lascia indifferente chi lo legge, perché incapace di comprenderne il senso. L’opposizione manifesta una comprensibile difficoltà ad esprimere le proprie posizioni in consiglio comunale perché è schiacciata dalla prepotenza di una maggioranza che fa valere la forza dei numeri e le impedisce perfino di parlare. Basti considerare quello che è avvenuto in alcune sedute quando in uno scontro tra il capogruppo dei “Democratici”, Piergiovanni e il sindaco, Tommaso Minervini. Mentre il primo lamentava il fatto che il sindaco avesse definito “figuri” alcuni consiglieri di minoranza, il secondo considerava questa osservazione un “atto di provocazione” e minacciava di portarlo in tribunale. Che dire poi della seconda circostanza in cui sempre il sindaco dopo aver sostenuto che alcuni consiglieri di minoranza “non avevano capito” le sue parole, si irritava con il consigliere dei Ds, Corrado Minervini, che a sua volta lo invitava ad essere più educato nel rivolgersi all’opposizione (“ci hanno insegnato fin dalle scuole elementari che non si dice mai ad una persona ‘non hai capito’, ma ‘non mi sono spiegato’) e chiedeva addirittura una commissione d’inchiesta sul consigliere diessino, reo di avergli dato del maleducato. E, dulcis in fundo, il presidente del consiglio, Pino Amato, pronto in difesa del sindaco sosteneva testualmente: “lei non può permettersi di imparare l’educazione al sindaco”. Insomma, dall’arroganza alla farsa. In questo clima è difficile fare opposizione, ma alla città queste cose vanno dette, occorre raccontare quello che è stato definito lo “scandalo del censimento” con mogli, figli, cognate dei consiglieri comunali (anche di un consigliere di centro presente nell’opposizione, che predica bene e razzola male e su questo argomento tace) assunti come rilevatori con discutibili criteri di selezione. Ma la sinistra oscilla tra “passioni” e confusioni e finisce per votare in modo diverso su alcuni provvedimenti (non ultimo quello della convenzione con i frati della Madonna dei Martiri, dove i “Democratici” si sono rimangiati una linea politica portata avanti per tutta la scorsa legislatura). Perché non raccontare alla città quello che sta avvenendo per le cooperative edilizie, dove i soci, poveri illusi rimasti in attesa per anni di una casa, resteranno gabbati, in quanto è stato deciso che è la concessione va data alla cooperativa, a prescindere dai soci, in modo che questa possa poi decidere autonomamente a chi dare la casa? Non ricorda forse ai molfettesi questa scelta del centro-destra, le famose cooperative fasulle degli “anni d’oro” dell’edilizia speculativa? Perché non sono stati allegati alle concessioni gli elenchi dei soci? Per avere le mani libere? E nella nuova zona artigianale che succede? E’ vero che le concessioni vengono date anche all’ultimo venuto? Sono soltanto alcuni esempi di come si possa fare opposizione nella città: occorre tornare a parlare con la gente, spiegare cosa sta avvenendo e cosa potrà avvenire a Molfetta e in Italia con un centro-destra che non ha senso dello Stato e delle istituzioni, non ha un progetto, non ha cultura di governo, ma solo una “cultura del fare” (cosa e come?) che finisce per non identificarsi con l’interesse collettivo. Dovete dire qualcosa di sinistra ai vostri elettori, come sosteneva Moretti, c’è una metà del paese che non si riconosce in questa maggioranza e attende una rappresentanza che non appare ancora definita. Ci sembra che solo Rifondazione comunista tenti qualche volta un attacco, ma poi la cosa finisce nel nulla: colpa dell’inesperienza del giovane consigliere Zaza? Colpa di un partito che vuole andare da solo e finisce col danneggiare l’intera coalizione? Colpa di un partito come i Ds ancora alla ricerca di una politica comune con tutta la sinistra e con l’Ulivo? A proposito l’Ulivo a Molfetta che fine ha fatto? E la Margherita? Vanno bene le battaglie di principio sui diritti delle donne, ma accanto a queste è indispensabile parlare della casa, della sanità, del lavoro: sono questi i problemi con cui i cittadini si confrontano ogni giorno e su questi temi si misura la capacità della sinistra di rispondere ai bisogni reali e di creare consenso. Su questi temi e soprattutto su come vengono affrontati, sui metodi, sul modo, si fa la differenza. E, invece, si sente dire in alcuni ambienti di sinistra che il sindaco Tommaso Minervini è un uomo di sinistra (c’è ancora chi lo crede), che il suo programma, a ben vedere, si può sovrapporre a quello del candidato del centro-sinistra Nino Sallustio e quindi …”lasciamolo lavorare” perché farà una città di sinistra (!?). E’ allucinante che ci siano persone che ragionino in questo modo. Allora prendiamoci in giro e non turlupiniamo la gente: diciamo loro che destra e sinistra sono uguali: il voto va dato a chi è più simpatico. Al di là delle provocazioni, non si può essere motivati solo quando si sta al governo e sentirsi svuotati all’opposizione, un ruolo che le sinistre hanno ben interpretato nel passato. Né si possono concedere sconti a una maggioranza che, come dice Michele Salvati, “va combattuta non perché è di destra, ma perché è inaccettabile sulla base di valori che vengono prima della divisione tra destra e sinistra”. Non c’è fair play o bipartisan che tenga. Siamo di fonte a una società di individui e a questo individualismo senza valori occorre contrapporre una politica capace di collegare il ruolo istituzionale con “le masse” come si diceva una volta, o più semplicemente con la gente, con i suoi problemi, con i suoi bisogni, con le sue povertà. Solo così si crea la cultura del consenso. I movimenti sono stati utili e determinanti per la svolta avvenuta nel ’94 in questa città, ma dal movimento non si è passati a una struttura organizzata, a una macchina-partito capace di incidere nelle politiche sociali. Cosa fare? Soprattutto ricostruire quell’Ulivo sempre bistrattato, che oggi resta l’unico soggetto che potrebbe essere in grado di aggregare diverse realtà in un unico progetto di libertà, solidarietà e uguaglianza. Questo vuol dire essere sinistra oggi, più di ieri.
Autore: Felice de Sanctis
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