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Con Giuseppe Saverio Poli all'Upm: viandante con l'eterno biglietto di ritorno
15 febbraio 2014

Lasciare la propria città e andare via, indugiare a guardare i posti più cari per meglio imprimerli nella memoria: una casa, un tratto di strada e poi partire per un lavoro, per seguire la persona amata o per rincorrere un sogno. Improvvisamente ti ritrovi ad essere un viandante, come è capitato al dott. Giuseppe Saverio Poli che ha voluto fissare su carta questa sua esperienza attraverso un racconto. Ospite dell’Università Popolare Molfettese, Poli ha dipinto questa condizione esistenziale che, sebbene comune a molti, è stata da lui percepita e descritta in maniera del tutto personale. Brani del racconto, intitolato “I viandanti con l’eterno biglietto di ritorno”, sono stati letti durante la serata dalla prof.ssa Emanuela Pansini. A presentare l’oratore è stata la presidente dell’Upm di Molfetta, prof.ssa Ottavia Sgherza Altomare. Quest’opera non è altro che una bellissima metafora sul male di vivere, sulla nostalgia che tedia l’intellettuale migrante, stanco di vivere la condizione di viandante sradicato dalla terra madre. Tale sentimento corrosivo spinge chi ne è colpito, in questo caso il protagonista alterego dell’autore, al ritorno nella patria natia in un viaggio notturno. La notte è infatti quella parte della giornata più consona all’autoanalisi e alla ricerca interiore. La chiave di volta di questa storia sta nella scelta che il protagonista compie in stazione a Milano, di fronte al dilemma Vienna – Molfetta, che vede la moglie e le due figlie in partenza per la capitale da una parte e il ritorno alla sua lontana terra dall’altra. L’implacabile desiderio di rivedere Molfetta è più forte, forse il mondo di cui ha memoria non esiste più, ne è consapevole, ma per lui quella città rappresenta un rifugio e l’unica alternativa certa al presente, incarnato dalla caotica Milano, perciò la decisione è presa e sale sul treno. Ed è qui, nello scompartimento, che avviene un incontro tra anime gemelle, nato in modo casuale ma realmente accaduto, in questo viaggio sentito dal dott. Poli più come un pellegrinaggio. Il giovane che gli siede di fronte ha circa ventott’anni e una visione pessimistica del futuro. Si domanda a cosa siano servite le rivoluzioni se a distanza di decenni la storia torna a ripetersi. Lui, un ragazzo con i sentimenti di ieri, ritorna alla sua città natale, mentre la maggior parte dei suoi coetanei, in mancanza di lavoro fuggono all’estero senza nessuna voglia né intenzione di rimettere piede nelle loro terre. Secondo il giovane il destino dell’uomo è quello di tornare all’origine, agli affetti e alle memorie domestiche e da nostalgico si trasforma in stoico quando riprende il pensiero di Benedetto Croce sulla sorte delle piccole patrie fagocitate dalle grandi città. Dopo otto ore di viaggio il binomio umano giunge al termine, il ragazzo si congeda e prima di scendere a San Severo, la sua patria tanto sognata, pronuncia le parole “Ego sum in Arcadia”, venendo scambiato dagli altri passeggeri per un turista straniero. Ora il viaggio prosegue in solitudine per il nostro protagonista che viene accolto da paesaggi familiari fino al sospirato arrivo. L’alba colora dei suoi tenui colori Molfetta che sonnacchia ancora. Il viandante posa i piedi sul suolo come fossero radici che rinvigoriscono a contatto col terreno fertile. È finalmente nella terra che gli appartiene, nel suo Eden.

Autore: Marianna Palma
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