Comitando Molfetta: riforma o rivoluzione costituzionale?
MOLFETTA - L'articolo 1 della Costituzione recita: “L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione.” Ed è proprio perché la sovranità appartiene al popolo che gli italiani saranno chiamati a votare ad ottobre per dire SI o NO alla riforma costituzionale. Ma in cosa consiste effettivamente questa riforma? Se n'è parlato e discusso a Molfetta a Comitando, assieme al prof. Pasquale Martino, componente del Direttivo Provinciale Anpi Bari e alla prof.ssa Rossana de Gennaro.
“Molto spesso la critica che viene mossa alla nostra Costituzione è quella di essere stata un compromesso tra le parti dell'assemblea costituente, io direi invece di considerare il compromesso in un modo diverso: promettere insieme come base di qualcosa che si stava costruendo”, afferma la prof.ssa Rossana de Gennaro in un breve quadro storico introduttivo. “La nostra è una Costituzione voluta dal basso e scritta da tutti coloro che avevano lottato per l'unità. Il referendum costituzionale di ottobre delinea una costituzione dall'alto” continua Rossana de Gennaro. Ma il problema del referendum costituzionale non sembra essere solo questo.
La riforma costituzionale dovrebbe eliminare il bicameralismo perfetto, diminuendo i senatori da 315 a 100, per permettere sia di contenere i costi della politica (i senatori infatti non avrebbero più uno stipendio) sia di svuotare i processi democratici per permettere di velocizzare l'iter legislativo. Le firme necessarie per indire un referendum salirebbero da 500.000 ad 800.000 e non sarebbe più necessario il raggiungimento del quorum. Le modalità di elezione della corte costituzionale e del presidente della repubblica modificate (legge elettorale Italicum non ancora approvata ma è già stato fatto ricorso dagli stessi che lo avevano fatto contro la legge elettorale Porcellum). Una vera e propria rivoluzione costituzionale, con la quale ogni cittadino ha la possibilità di essere totalmente d'accordo (e quindi votare SI) o in totale disaccordo (e quindi votare NO), ma non può esprimere il proprio parere sui singoli punti.
E parlando di rivoluzione, il collegamento diretto è proprio alla resistenza. “Quel periodo storico non è UNA pietra miliare della storia, è LA pietra miliare” esordisce con occhi quasi sognanti il prof. Pasquale Martino (nella foto con Rossana de Gennaro), componente del Direttivo Provinciale Anpi (Associazione Nazionale Partigiani Italiani). L'Anpi afferma di essere contro al referendum costituzionale per una serie di motivazioni.
La prima motivazione è un grande orgoglio nei confronti della costituzione vigente, che è stata scritta da un'assemblea costituente ed è piena espressione di quella che è la nostra storia. L’articolo 1, per esempio, fissa in modo solenne il risultato del referendum del 2 giugno 1946, l'Italia è una repubblica e la forma repubblicana da quella monarchica si distingue per il titolare della sovranità: se nella monarchia la sovranità appartiene al re, nella repubblica la sovranità appartiene al popolo, in nome del quale si legifera e si giudica senza che nessuno sia posto al di sopra della legge.
La seconda motivazione è legato al fatto di voler mantenere quel carattere antifascista che negli anni hanno cercato di soppiantare: nel '91 con la preferenza unica e nel '93 con il referendum sul sistema maggioritario, fino ad arrivare alla revisione costituzionale berlusconiana.
Un'altra motivazione per essere contrari è il modo in cui è stato strutturato il referendum, in quanto introduce contestualmente modifiche sia alla forma di governo sia alla forma di Stato. Così facendo il decreto di legge viola gli articoli 1 e 48 della Costituzione - che proclamano rispettivamente la sovranità popolare e la libertà di voto - in quanto costringe l’elettore, in sede di referendum confermativo, a votare a favore o contro entrambe tali modifiche.
“L’Anpi sarebbe d'accordo sull’opportunità di aggiornare la forma di governo, magari con vero monocameralismo come quello verso cui propendeva Berlinguer, però così come è stato strutturato il d.d.l. vi sarebbe un accentramento di poteri in capo alla Camera. La Camera dei deputati, anche grazie alla sproporzione esistente tra i componenti della Camera (630) e i componenti del futuro Senato (100), potrebbe procedere praticamente da sola alla revisione della Costituzione, all’esercizio della funzione legislativa - tranne i pochi casi di esercizio collettivo di tale funzione -, all’elezione del Presidente della Repubblica, all’elezione dei componenti del Consiglio Superiore della Magistratura e all’elezione di tre dei cinque giudici costituzionali.” afferma il prof. Martino.
Sarebbe quasi un ritorno alla dittatura, quindi, in uno Stato in cui è in vigore la XII disposizione transitoria e finale che sancisce: “È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista…”.
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