Come inventarsi un lavoro produrre taralli molfettesi
L'idea di due giovani imprenditrici
Non c’è amore più sincero che quello per il cibo. Potrebbe sembrare l’incipit di una poesia di Trilussa o Boudelaire. Invece no. È il motto che, dipinto sulla parte con colori vivaci e variegati, accoglie chiunque entri nel laboratorio Delizie Italia a Molfetta. Dopo la grande soddisfazione per la possibilità di promuovere la locale cicoria puntarella ad EXPO 2015, la creazione e la divulgazione del famoso dolce La Molfettese e il grande riscontro ottenuto da aziende locali per l’eccellente produzione di prodotti sott’olio, in città si sta affermando con forza un’altra importante iniziativa imprenditoriale: la produzione di taralli. Nato dalla passione per la cucina tipica pugliese, il progetto nasce dalla voglia di recuperare le antiche ricette utilizzando prodotti di prima scelta e coniugando l’eccellenza della tradizione con le possibilità offerte dall’innovazione e dalla sperimentazione. Alle redini di un disegno così ambizioso due giovani donne, Monica Gallo e Livia Panunzio. Si tratta di due giovanissime imprenditrici – o come amano definirsi – artigiane di appena 21 anni che hanno avuto il coraggio di mettersi in gioco e costruirsi un’opportunità non solo professionale ma anche di crescita personale. Fondamentale è stato il supporto dei genitori, Vincenzo Gallo e Pietro Panunzio, che entusiasti del nuovo progetto hanno deciso di prenderne parte sposando l’idea di un viaggio volto alla riscoperta, recupero e degustazione di sapori ormai dimenticati. Quindici ha intervistato Monica Gallo e Livia Panunzio. Come è nata questa iniziativa e quando? «L’idea di creare un laboratorio artigianale per la produzione e la commercializzazione di una delle tipicità alimentari della città di Molfetta nasce essenzialmente dalla necessità di doverci inventare qualcosa che potesse regalarci un’opportunità di lavoro, vista la situazione economica sconfortante che sta attraversando il nostro Paese. Di qui la voglia ed il coraggio di avviare un’attività in proprio che ha preso forma esattamente ad ottobre del 2013. Abbiamo deciso di iniziare quest’avventura insieme e provare a capire se il prodotto potesse essere apprezzato dai clienti e darci quindi un riscontro positivo. Non abbiamo fatto altro che puntare ad un prodotto di qualità andando incontro, sotto il profilo economico, al consumatore». Perche tra tanti prodotti tipici del territorio, avete puntato la vostra attenzione proprio sul “tarallo scaldato”? «Innanzitutto vorrei fare una precisazione: il tarallo comunemente in commercio è differente sotto molti aspetti rispetto al tarallo scaldato. Il primo è quasi del tutto prerogativa dell’industria alimentare, mentre il nostro prodotto è artigianale e recupera interamente la tradizione genuina molfettese. Di fatti la nostra scelta è stata assolutamente segnata dall’idea del recupero dei sapori di un tempo per evitare che una delle prelibatezze del nostro territorio andasse perduta». Dunque, qual è la differenza sostanziale tra il comune tarallo in commercio e il tarallo scaldato molfettese da voi prodotto? Cosa ne denota l’unicità di sapore e la fragranza? «La differenza risiede sostanzialmente nella bollitura. Ecco perché si chiama “tarallo scaldato”. Di fatti mentre il prodotto industriale viene realizzato attraverso la semplice cottura dell’impasto, il nostro tarallo prevede un procedimento più lungo: viene prima bollito e poi cotto. Naturalmente questo doppio passaggio garantisce un sapore e una fragranza unici e ne preserva la friabilità. Altro elemento fondamentale che garantisce l’eccellenza del prodotto è l’utilizzo dell’olio extravergine d’oliva, sostituito da olio di sansa o da scarti oleari nella maggior parte dei taralli in commercio. Anche l’utilizzo di un ottimo vino costituisce senza dubbio un valore aggiunto». La vostra produzione riguarda solo il tarallo puramente tradizionale oppure vi siete aperte all’innovazione e alla sperimentazione di altri gusti? «La produzione è molto ampia e spazia dai taralli semplici e più tradizionali con e senza seme di finocchio, rigorosamente con olio extravergine di oliva, sino alla produzione più innovativa che comprende altri gusti come cipolla, peperoncino, sesamo, speck, bacon, pizzaiola, pesto genovese, peperoni, campagnola, curry, cereali, integrali, vino primitivo, rapa di Puglia, pepe nero, aroma di funghi porcini, uva sultanina e cipolla, capperi, tartufo, paprika, speck paprica e cipolla e infine anche quelli alla nutella. Di certo non ci manca la fantasia di sperimentare nuove possibilità produttive». Avete riscontrato una differenza di approccio al prodotto a seconda del range di età dei vostri clienti? «Sì, abbiamo notato che i più tradizionalisti non rinunciano ai famosi taralli con la “semenza” di finocchio mentre i più giovani preferiscono il tarallo più particolare. Di fatti vanno per la maggiore i taralli al curry che rappresentano una vera novità. E anche da quelli che possono sembrare degli errori delle volte nascono delle idee innovative. Ad esempio una volta dimenticammo di mettere nell’impasto dei taralli al vino primitivo il sale: li assaggiamo e da quel momento ci venne l’idea di commercializzare un prodotto senza sale. E contro ogni aspettativa si vendono benissimo». Chi sono i destinatari del vostro prodotto? Vi state muovendo su una rete locale o avete avuto l’opportunità di allargare il vostro orizzonte commerciale? «Ci stiamo facendo conoscere in primis in Puglia ma anche in tutta Italia. Oggi esportiamo persino all’estero, in particolare a Parigi e a Montecarlo. A Molfetta ci stiamo muovendo attraverso la divulgazione del prodotto in gastronomie di qualità, attività ristorative e supermercati». Che riscontro state avendo dopo poco più di un anno di attività produttiva e di commercializzazione del prodotto? «Inizialmente è stato faticoso perché c’è stato bisogno di tempo per far conoscere il laboratorio e soprattutto il prodotto ma oggi possiamo dire di avere ottenuto un riscontro assolutamente positivo». Quali sono i vostri progetti per il futuro? «La nostra ambizione è divulgare il prodotto e venderlo anche in Cina. Chiaramente bisogna sondare il territorio e la ricettività che il prodotto esercita. Una simile analisi è stata da noi condotta in Germania ma non è andata come speravamo nonostante i nostri taralli siano stati apprezzati moltissimo. In realtà bisognerebbe andare sul posto e pian piano creare una rete per far conoscere il prodotto. Poi c’è da considerare che siamo una start up e andare fuori costituisce un grosso investimento non solo a livello economico ma soprattutto riguardo lo scompenso derivante dall’impossibilità di condurre il lavoro nel laboratorio. In realtà vogliamo rodare ancora un po’ e fare un grande passo come questo più in la. Più vicina e più fattibile, al momento sarebbe l’idea di poter servire anche una clientela con problemi di celiachia, anche se al momento la nostra priorità è orientare la produzione nella direzione del biologico. Anche in questo caso, però bisogna capire che tipo di risposta ci restituisce il mercato perché c’è molta concorrenza industriale con prezzi decisamente inferiori».