Caso Englaro, scrive un medico di Molfetta: si trattava di vita
MOLFETTA - Sul caso che ha sconvolto l'Italia in questi giorni, e promette di far discutere per i prossimi, la morte di Eluana Englaro dopo la sospensione della alimentazione ed idratazione forzata, ci scrive per esprimere un parere professionale, ma ancora di più etico ed umano un medico molfettese. Pubblichiamo la sua opinione integralmente.
"Cara Redazione,
In un momento di grande senso di impotenza e sconforto, permettetemi di usare l'ospitalità delle vostre pagine per esprimere il mio parere, di semplice uomo e di modesto medico, di fronte alla tragica morte di Eluana Englaro.
Una morte ancora più tragica della sua ultima parte di esistenza, vissuta in coma vegetativo per diciassette anni.
Vissuta, perché di vita si tratta. E come ogni vita è stata una grande testimonianza. Testimonianza di come la vita è anche dolore, accudimento, speranza cristiana nel miracolo e amore.
Come padre ho provato ad avvicinarmi al dolore del sig. Beppino. Ho provato a capire la disperazione di chi vede quotidianamente sua figlia in uno stato apparentemente non stato. Non ricevere il suo sorriso, il suo abbraccio, a non poter ascoltare la sua voce.
Ma come padre credo di aver voluto comunque che al mio cuore arrivasse, ancora ed ancora, il suono del respiro di mia figlia, del suo alito vitale, che caparbiamente non voleva abbandonare il suo corpo e la sua anima.
Se come uomo non posso e non devo giudicare l'operato di questi anni dei genitori di Eluana, come medico mi corre l'obbligo di affermare fortemente che da parte dei sanitari di Udine questo non è stato un caso di “buona morte” o di eutanasia.
Anche il medico più laico e cinico, facendo solo per un attimo mente locale alle motivazioni che lo hanno portato ad abbracciare questa professione-missione, non può interrompere l'idratazione e l'alimentazione, in qualsiasi forma, del proprio assistito.
Quello che Udine è stato perpetrato, con calcolo e metodo, è stato un omicidio su commissione.
Se provo compassione e dolore per il mandante non posso provare che sdegno e disprezzo per chi si è prestato, violentando il senso dell'etica e dell'arte medica, a compiere il più grave dei reati".