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Carcassa di capodoglio si spiaggia sulla costa barese
30 settembre 2014

POLIGNANO – Un capodoglio di circa otto metri di lunghezza si è spiaggiato a Polignano in zona S. Vito. Il cetaceo in avanzato stato di decomposizione potrebbe far parte del gruppo dei sette capodogli spiaggiatisi a Vasto la prima decade di settembre. Al momento diventa difficile conoscere le cause della morte così come sarà difficile sottoporre la carcassa ad esame necroscopico. Continuano senza sosta lungo tutta la costa adriatica gli spiaggiamenti di cetacei, delfini e tartarughe.

Nel caso dei capodogli sotto accusa rimangono ancora le tecniche invasive come l'air-gun che producono un rumore fortissimo che spaventa e disorienta non solo i capodogli ma i cetacei in genere. Questo trauma porta i cetacei ad una riemersione troppo rapida con conseguente permanenza di gas nei vasi sanguigni per una mancata decompressione. Sul posto sono intervenuti li attivisti del Centro di Recupero Tartarughe Marine di Molfetta, personale medico veterinario dell'ASL e militari della Capitaneria di Porto di Monopoli.
Per Pasquale Salvemini, responsabile del centro tartarughe marine di Molfetta, l'episodio è l'ennesima testimonianza di come l'uomo e le sue azioni siano la causa della "morte del mare". Un mare malato di inquinamento e di cui viene interrotto il silenzio con pratiche di ogni genere.
Lo spiaggiamento di decine di tartarughe negli ultimi giorni lungo tutta la costa adriatica (Monopoli, Molfetta, Barletta, Margherita) e del capodoglio è senza dubbio l'ennesimo campanello d'allarme che il mare ci sta dando. Salvemini prosegue chiedendo al Governo di cessare le pratiche di ricerca del petrolio con tecniche invasive che al momento confermano la loro pericolosità nel preservare la fauna marina continuare a sostenere la biodiversità.

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Per non parlare poi della pesca e della distruzione degli habitat naturali dei “disgraziati” abitanti del mare o dei mari. Perché il costante incremento del pescato, che tra il 1950 e il 1970 si aggirava attorno al 7 per cento annuo, è venuto a cessare? Oggi noi fatichiamo a mantenere un buon ritmo di crescita e, comunque, per riuscirci dobbiamo ricorrere ad artifizi, modificando sensibilmente la composizione del pescato, che ora dipende in gran parte dai piccoli pesci utilizzati per trarne farina di pesce. Il risultato è stato che il valore alimentare per tonnellata è anch'esso sceso. La triste verità è che la pesca sfrenata sta distruggendo le riserve del pianeta. Mentre negli anni '50 c'erano stati solo rari fallimenti in alcuni settori dell'attività ittica, negli anni '60 e '70 hanno visto un numero sempre maggiore di crolli nelle tradizionali attività pescherecce, alcuni dei quali assai spettacolari. La colpa in parte è della tecnologia: le grandi flotte pescherecce che operano lontano dalle basi hanno fatto ricorso (fanno) a particolari tecniche, con reti a maglie finissime per “setacciare” il mare. In parte, è dalla nostra ignoranza degli ecosistemi marini. La causa principale però, è stata sempre la maggiore richiesta di pesce e dei derivati (mangimi e fertilizzanti) da parte dei popoli dell'area Nord del pianeta. Nel Nord Atlantico, americani e europei occidentali hanno contribuito per un 40 per cento all'impoverimento delle riserve di aringhe, per un 90 per cento al declino di halibut e varie specie pregiate come haddock, merluzzi e altre ancora per un totale di 27 su 30. Ma c'è di peggio, perché queste nazioni, dopo aver utilizzato e sfruttato le proprie risorse locali, si sono avventurate lontano dalle loro coste per attingere alle riserve che si trovano al largo delle c oste occidentali dell'Africa, e di altri paesi tropicali. – Allora? Rispondiamo alla domanda: perché avvengono queste “tragedie marine” come spiaggiamenti di capodogli, balene, delfini, tartarughe etc., etc.?


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