"Buonanotte Mezzogiorno" nell’illusione del localismo virtuoso
Esiste ancora una “questione meridionale”? E quali sono gli effetti socio-economici, culturali e politici della disuguaglianza tra Nord e Sud? Sono queste le domande attorno a cui ruota il lavoro di ricerca condotto dai sociologi baresi Onofrio Romano e Daniele Petrosino, che ha avuto come esito il libro “Buonanotte Mezzogiorno”, edito da Carocci. Il libro si suddivide in tre parti. La prima, curata da Tonino Perna, analizza il divario Nord/Sud dal punto di vista socio-economico, fornendo interessanti dati su occupazione e sviluppo dei diversi comparti produttivi nelle regioni meridionali. La seconda, affidata al sociologo leccese Stefano Cristante, presenta i risultati di una ricerca legata alla rappresentazione del Sud nei mass media (telegiornali, fiction, serie tv, film) e si centra sulla genesi degli stereotipi collettivi legati al meridione nella formazione dell’immaginario collettivo. La terza e ultima parte, elaborata da Romano e Petrosino, restituisce i risultati di una ricerca quali-quantitativa svolta su un campione di “elites medionali”, ovvero esponenti di classe dirigente diffusa, sia del mondo amministrativo che accademico, economico e politico. Il libro è stato presentato a Molfetta nella sede dell’Associazione Comitando dal coordinatore Mimmo Favuzzi, con la presenza dell’autore Onofrio Romano e dell’ex sindaco Paola Natalicchio. “Il Mezzogiorno è tornato e non sta affatto bene”. Con questa parole Onofrio Romano apre la sua relazione e ci consegna immediatamente una riflessione sulla necessità di un dibattito strutturale sul tema del Mezzogiorno d’Italia. Non servono solo politiche istituzionali e incentivi economici: serve una nuova visione complessiva. Uno degli obiettivi del lavoro, evidenzia Onofrio Romano, è il tentativo di capovolgere il paradigma della stagione in cui la questione meridionale ha perso centralità nel dibattito pubblico nazionale. In particolare, Romano ha evidenziato come gli approcci post-moderni si siano serviti di espedienti narrativi per promuovere un’ideologia che ha ribaltato la subalternità del Mezzogiorno. Sia il filone anti-utilitarista (che fa capo a Serge Latouche) che il Nuovo Meridionalismo (vera e propria “filosofia” elaborata da autori come Franco Cassano) hanno tematizzato la “policentricità del Sud”, sdoganando una visione secondo cui esistono Sud diversi, con specificità culturali proprie, in cui le virtù prevalgono sui vizi. Il “paradigma della dipendenza”, elaborato nelle scienze sociali negli anni Cinquanta, che annovera Andre Gunder Frank e Fernando Henrique Cardoso tra i suoi autori di riferimento più noti, è stato nel tempo sostituito dalle teorie del “localismo virtuoso” che spiegano i rapporti centro-periferia eliminando la centralità delle dinamiche economiche come causa della diseguale distribuzione delle risorse tra Nord e Sud. Le teorie del sistema mondiale, dunque, cedono il passo a quelle legate alla vivacità dell’azione dei contesti e degli attori locali, dentro uno spazio politico neutro e privo di rapporti di forza. Secondo Romano, il “localismo virtuoso” ha mostrato nel tempo i suoi limiti. Uno su tutti: punta sulla rinascita dei territori, ma aggrava i divari presenti tra i Nord e i Sud del mondo. E’ necessario tornare a guardare le cose dall’alto, dice Onofrio Romano, per dare nuovo vigore a un pensiero che rimetta al centro i rapporti di forza e di egemonia presenti tra le due parti del Paese: un Nord sempre più ricco e moderno e un Sud sempre più sfruttato e povero. “Un Paese a due velocità”, ha ribadito Paola Natalicchio, in cui sul Mezzogiorno si stanno però riaccendendo i riflettori della politica nazionale, dopo il lancio del Masterplan da parte del Governo Renzi e l’attivazione dei “Patti per il Sud”, che hanno assicurato finanziamenti cospicui alle regioni del Mezzogiorno, per la realizzazione di imponenti interventi e opere pubbliche. Eppure la pioggia di finanziamenti e il lavoro diffuso sulla infrastrutturazione non basta, senza un rilancio culturale di una nuova questione meridionale. Il Sud non si allena allo sviluppo da decenni, dice Onofrio Romano, quindi oggi non riesce a competere né con i Paesi in via di industrializzazione che hanno un costo del lavoro molto basso, né con il Nord del paese, che ha un grado di sviluppo maggiore soprattutto nel settore delle innovazioni tecnologiche. Questa situazione di schiacciamento condiziona la “coscienza collettiva” delle classi dirigenti e determina un blocco del loro immaginario e, conseguentemente, del loro intervento. Indagare sull’immaginario delle classi dirigenti del Mezzogiorno d’Italia ha lo scopo di utilizzare le loro risposte come proxy per ricostruire l’intero immaginario collettivo del Mezzogiorno. L’assenza di coerenza, forza interna e adeguatezza alla realtà che produce “depressione e disillusione” nelle classi dirigenti del Sud, dice Onofrio Romano, può essere inferita all’intera popolazione meridiona-virtuoso non ha trovato terreno di deposito nella coscienza collettiva in quanto non ha pensato ai modi con i quali le risorse devono essere redistribuite. Si può dunque constatare il fallimento di questo paradigma, sostiene Romano, perché alla domanda “cosa fare?” le classi dirigenti rispondono che bisogna rimboccarsi le maniche, dunque considerano lo sviluppo come determinato esclusivamente da fattori di carattere esogeno. Paola Natalicchio interviene dicendo che, a suo parere, il paradigma dello sviluppo non vada considerato solo nella sua componente economicista sia perché, ormai, i fattori di carattere culturale entrano a pieno titolo nella determinazione della struttura, sia in quanto condizionano la vocazione di crescita e sviluppo di un intero territorio. In effetti, a guardar bene quello che è successo in Puglia nel decennio vendoliano, sembra che le “politiche di localismo virtuoso” messe in campo abbiano cambiato la percezione del territorio da parte dei pugliesi e del resto d’Italia. La Puglia è stata considerata uno dei posti di riferimento della cultura e della creatività in Italia, seppur i dati statistici relativi alle catene del valore della cultura, dei servizi creativi e del turismo globale la vedono ancora in una posizione periferica. Distribuzione, comunicazione, promozione, accesso al mercato di musica e cinema sono ancora funzioni detenute prevalentemente dai mercati del Nord e gli imprenditori pugliesi che entrano in queste catene sono una minoranza e si trovano nelle posizioni più basse (Aaster 2015). Il ruolo della programmazione politica locale e del programma di policy adottato per attuarla sembrano, dunque, elementi che possono contribuire a dare slancio e vigore all’azione delle classi dirigenti del Mezzogiorno. Certamente, le politiche di sviluppo locale, da sole, non sembrano riuscire ad affrontare la questione relativa al riequilibrio dei rapporti di forza centro-periferia, ma un’attenzione alla “biodiversità culturale” delle classi dirigenti diffuse nel Mezzogiorno può, a parere di chi scrive, indicare una strada per ragionare su dinamiche di sviluppo meno astratte e più legate alle vocazioni e specificità storiche e culturali dei territori. L’analisi sociologica relativa alle risposte date dalle classi dirigenti locali al “come usciamo dalla crisi” potrebbe porsi come obiettivo, forse, anche quello di costruire nuove occasioni di interpretazione della realtà e, dunque, di produzione di immaginari. Rintracciare fattori di coerenza, forza interna e adeguatezza alla realtà negli immaginari già presenti è una delle possibilità che la sociologia fornisce, ma non è evidentemente l’unica.