Brigantaggio e rivolta di classe. Le radici sociali di una guerra contadina
Il libro di Enzo Di Brango e Romano Valentino, Nova Delphi, Roma 2017, Euro 14,00
Coerentemente alla perdita d’incidenza della storiografia accademica sulla costruzione del senso storico comune, negli ultimi anni anche il dibattito storiografico sul Sud d’Italia ha travalicato gli ambiti strettamente universitari per coinvolgere registi, giornalisti, blogger e studiosi di varia formazione e di diverso orientamento politico-culturale.
Che la ricerca storica conosca una notevole moltiplicazione dei soggetti, dei luoghi e delle forme della comunicazione che la promuovono e la divulgano, indubbiamente, è un dato positivo in una società aperta e pluralista quale deve essere una società democratica in cui tutti i cittadini sono chiamati non solo ad acculturarsi ma anche a partecipare in modo diretto ed attivo al dibattito pubblico, all’incremento ed alla diffusione delle conoscenze.
Che questo avvenga prescindendo dal rigore critico-metodologico della ricerca, invece, è un aspetto negativo, che, tuttavia, non va contrastato con abiure e scomuniche da parte degli accademici nei confronti di coloro che sono bollati come ‘neofiti’, ‘dilettanti’ ed ‘usurpatori’ di quella che viene considerata una prerogativa professionale di ‘casta’ (?), ma deve essere fronteggiato sul terreno specifico della ricerca storica con dettagliate ricostruzioni, solide documentazioni e rigorose argomentazioni aperte al confronto critico, entrando nel merito e nel metodo delle questioni e non già screditando sul piano personale o su quello ideologico – si veda l’utilizzo a mo di grimaldello della categoria omnicomprensiva di neo-borbonici – i sostenitori di tesi opposte.
La monografia Brigantaggio e rivolta di classe di Enzo Di Brango e Valentino Romano risponde ai requisiti di rigore critico-metodologico, in quanto i due studiosi, già autori di altri testi sull’argomento in questione, espongono la loro tesi circa la matrice socio-economica delle “insorgenze” contadine nel Mezzogiorno post-unitario sulla base di una precisa prospettiva storiografica, la teoria del conflitto tra classi, desunta sia dalla “marxiana” e non “marxista” concezione materialistica della storia incentrata sui rapporti socio-economici sia dalla teoria dahrendorfiana, che fa leva sui rapporti di autorità. Dunque, una prospettiva storiografica il cui perno consta in un’articolata teoria del conflitto socio-economico-politico da loro correttamente utilizzata come metodo di ricerca e non come prontuario ideologico-politico da cui dedurre aprioristicamente cause e conseguenze degli eventi storici, prescindendo, così, dalla loro attenta e scrupolosa ricostruzione su base documentaria.
Chiarita la prospettiva da cui analizzano e ricostruiscono gli aspetti del brigantaggio post-unitario, per una loro adeguata comprensione e valutazione storiografica, Di Brango e Romano collocano gli avvenimenti del decennio 1860-1870 in un arco temporale molto più vasto, dalla rivoluzione napoletana del 1799 alla rivolta di Palermo del 1866, facendo leva sui principali contributi critici sull’argomento in questione, tra gli altri, numerosi i riferimenti ai testi di Molfese e Pedìo, e su un uso intelligente d’inedite fonti di archivio, quali quelle militari, giudiziarie e prefettizie, di cui sono preliminarmente vagliate criticamente la credibilità e l’attendibilità tramite la chiarificazione della collocazione prospettica degli estensori e, soprattutto, la congruenza o meno al contesto storico di riferimento.
Ne segue che la tesi dei due storici circa le origini sociali del brigantaggio da loro interpretato nei termini di una “guerra contadina”, si contrappone sia alla lettura neo-borbonica sia a quella delinquenziale degli stessi avvenimenti, con argomenti non ad nominem, bensì ad questionem, evidenziandone limiti e contraddizioni, come quando, ad esempio, la precisazione della collocazione geografica delle insorgenze contadine post-unitarie nelle aree agricole in cui predominava la proprietà latifondista ne dimostra la radice sociale e ne smentisce quelle identitarista ed antropologico-criminale, che, invece, avrebbero dovuto provocare le insurrezioni e gli atti di banditismo delinquenziale anche nelle zone urbane meridionali se non in modo omogeneo nell’intero Sud d’Italia.
In sintesi, di contro alle letture faziose e pregiudiziali degli ultimi anni, la documentata monografia di Di Brango e Romano è un’accurata ricostruzione critico-storiografica della genesi, degli sviluppi e della conclusione del brigantaggio, che si pone come un testo fondamentale sull’argomento in questione, offrendo anche dei notevoli spunti sia per capire le origini storiche del familismo e del privatismo meridionali, ed oggi non solo meridionali, sia per rilanciare una prospettiva di ricerca incentrata sull’analisi dei conflitti tra classi. Prospettiva finalmente sottratta alle letture dogmatiche e faziose datane in passato più per esigenze di giustificazione ideologica di scelte di potere che per un’effettiva ricostruzione rigorosa del passato tesa alla comprensione critica del presente in vista della costruzione condivisa e libertaria del futuro.
Salvatore Lucchese