Baccanti illustri e all’inferno Orfeo…
“È un mondo che non ha altra serietà, se non quella che gli dà l’immaginazione; le passioni sono emozioni, gli avvenimenti sono apparizioni, i personaggi sono ombre; la vita danza e canta, e non si ferma e non puoi fissarla”. Questo Francesco De Sanctis scriveva della Fabula di Orfeo di Agnolo Poliziano, la prima opera drammatica di teatro profano in volgare in Italia! Mostrava di non averne pienamente compreso il significato eppure riusciva a imprigionarne verbalmente il fascino. Poliziano evidenziava come quella poesia dal potere straordinario, che può smuovere i sassi e suscitare vita interiore in chi non ne possiede, nulla riesca a fare contro l’eterno limite posto agli uomini, la Morte, e allo stesso tempo si rivela inerme al cospetto della violenza. Era il suo tutt’altro che un mondo di pura immaginazione E legato al culto della forma nell’indifferenza del contenuto. Spesso, nell’affrontare la trattazione di quest’opera, si sorvola su un punto non irrilevante nella comprensione del suo significato generale. Nulla che non fosse già nei modelli latini a cui Poliziano attinse. Orfeo, dopo aver tentato invano di riportare Euridice alla vita dal regno dei morti, dichiarava di non voler amare più nessuna e di volersi dare a cogliere “la primavera del sesso migliore”, l’amore che Giove aveva nutrito per Ganimede ed Ercole per Ila. Le sue parole attiravano l’ira e l’ingresso delle Baccanti che, dopo aver ucciso e straziato il corpo del poeta, esibivano la sua testa quale macabro e muto trofeo. Mi è capitato spesso di pensare ad Agnolo Poliziano, cultore della bellezza, il cantore di Simonetta che “pur col ciglio le tempeste acqueta”, di Iulio che rifiuta l’eros e viene punito, innamorandosi, per opera di Cupido, della bella Cattaneo. A prescindere da quello che potesse essere il suo (sempre discusso) orientamento sessuale – che a noi peraltro non interessa – e anche dal carattere repentino e quasi psicologicamente incoerente della confessione di Orfeo (e trascurando le interpretazione filosofiche, soprattutto neoplatoniche, della Fabula), colpisce come l’uomo che ammetta di provare attrazione per il proprio stesso genere debba andare incontro, consapevolmente e con grande applauso del pubblico, a una punizione. Orfeo deve essere annientato, dilaniato, perché ha ammesso la sua impurità. Ed è giusto che questo avvenga per opera delle Baccanti, in preda all’ebbrezza suscitata dal vino, in un’atmosfera festosa, goliardica. Provate a sostituire alle Baccanti le cricche di uomini alticci che ammiccano alla stereotipica effeminatezza dell’omosessuale e avrete dinanzi agli occhi secoli di violenze da strada, di lapidazioni da parte di bulli esaltati, di ragazzi uccisi per quella colpa infamante. E cerchi Orfeo e ti cade sotto gli occhi – aldilà di tutte le teorie sulla sua morte – Pasolini. Le ho riviste le Baccanti. Avevano giacca e cravatta. Erano vestite da senatori, ma poco ci mancava che esclamassero – come le loro amiche polizianesche – “Chi vuol bevere?”, per brindare al grande merito di aver spedito Orfeo nell’Ade, dove è giusto che se ne stia. E non si discute in questo momento del Ddl Zan, che poteva avere aspetti da revisionare: a destare sconcerto e tristezza infinita è il “disordine bacchico” di un’esultanza fuori luogo. Festeggiavano la vittoria di una nuova maggioranza formata in Senato, come qualcuno ha scritto? La sconfitta dell’arroganza del Pd e del Movimento 5 Stelle, come uno a caso ha dichiarato? Perdonate l’ingenuità, ma cosa di grazia hanno a che fare con le beghe tra partiti le rivendicazioni di diritto contro la violenza? Cosa ne è stato dei tempi in cui gli oratori che si presentavano al cospetto del Senato avevano l’eloquenza vibrante di Cicerone? O di quelli in cui i nostri deputati e ministri si chiamavano Francesco De Sanctis? Cosa ne è dell’Italia, in cui un nomask-nopass-nocovid privo di istruzione è accarezzato e corteggiato dall’opinione pubblica più dell’insegnante, del letterato, dello scienziato, dell’intellettuale? Non meravigliamoci che nelle nostre città imperversi il caos. Che i ragazzini crescano selvatici perché tanto hanno imparato dalla televisione e dal nostro miserevole dibattito politico che vince chi grida meglio. Non meravigliamoci delle bande in conflitto, che non hanno nemmeno la statura di quelle di Clodio e Milone. Del Covid, ch’è una storia infinita non perché ci sia dietro un complotto internazionale dei poteri forti, ma in quanto non abbiamo abbastanza spirito di sacrificio per fare qualche rinuncia e assumere comportamenti corretti. E rispediamolo all’inferno con tanti saluti questo imbarazzante Orfeo. Ma prima domandiamoci se siamo migliori di lui. © Riproduzione riservata