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Auguri Molfetta!
31 dicembre 2011
MOLFETTA
- La fine dell’anno soddisfa idealmente quell’aspirazione ad un nuovo inizio, che attraversa il filo delle nostre attese, dei sentimenti, delle speranze, sempre esposto al ritmo del tempo.
E a scandire il tempo c’è ogni anno quell’unico giorno che è così carico di nuove speranze da farsi sinonimo di nuovo inizio, tanto riesce a penetrare noi stessi e gli altri, e il nostro mondo intero. E’ per tutti un’occasione per ricominciare, e questo basta per diffondere una luce nuova, sopra le cose, le situazioni e le possibilità, e per rimescolarle ed indebolirle, quando, prendendo coraggio, ci si rimette cautamente al centro di tutto, per provare a dire la propria su ciò che ci accade intorno e a rimettere le cose alle nostre decisioni. Sembrano rimescolarsi le carte, mentre facciamo capolino, incoraggiati da una spinta nuova, ormai dirompente, l’ultimo dell’anno, quando tutto è in procinto di ricominciare.
Quest’anno l’incubo della crisi ha immerso le persone in un limbo spettrale, perché sembra dover sprofondare inesorabilmente in vicoli ciechi, incuranti delle vite, delle famiglie, delle emozioni e dei bisogni. E tutto sembra aver formato un imbuto su cui non possono che scivolare via fono ad obliarsi tutte le speranze che fanno il nocciolo del nostro agire, il motore di ogni sforzo.
Quei sogni, soprattutto per le nuove generazioni, sono approdati su isole instabili, che fanno vacillare ogni nuovo proposito, respingendolo nell’incertezza ammorbante, dove tutte le nuove creazioni immaginarie crollano sotto il peso dei fatti, che dicono che la crisi attraversa ogni sogno, ogni ambizione, trascinandolo nella stasi più mortificante. Dove ogni movimento muore dietro forze impersonali, e per questo così tremende, senza volto e dunque inesorabili, prive di qualsiasi traccia di spirito. Con queste non è possibile alcuna complicità.
Eppure, in questo nuovo inizio, è possibile che le strutture stesse implicate in una crisi costitutiva, quasi incontrollabile, rivelino il loro carattere contingente, fragile come i progetti degli uomini in carne e ossa che, progettandosi, possono creare nuovi significati, rilanciando la sfida col reale. Perché il reale è sempre lì a definire l’ambito dei nostri sforzi e sentimenti, ed eccede qualsiasi tentativo di annullamento. Sta ad ognuno di noi ridargli significato, penetrare le categorie in cui è stato ingabbiato e, proprio nell’atto di comprenderle, rivelarne il fondo nascosto: noi stessi, con i nostri bisogni e la nostra identità, sempre esigente. Tocca a noi darle spazio, e non lasciarla soffocare sotto le macerie del passato.
Sarebbe importante, per Molfetta, prolungare quell’ansia delle ultime ore dell’anno, farne la stoffa di un nuovo modo di vedere le cose, rilanciandole all’orizzonte, contaminandole di nuove sfumature, fino a non farle essere mai più quelle che erano. Perché Molfetta stessa è gettata per natura su un filo sottile, fra la terra e il mare, dove ogni momento ha sempre il sapore dell’altro, si contamina di nuova luce, e rivela il suo sapore mutevole, che ha al fondo la nostra identità e la nostra libertà. Molfetta ha sempre avuto qualcosa d’altro rispetto a ciò che è, ha sempre vissuto al di là del presente, in quell’intervallo in cui, in queste ore, si ha l’impressione di vacillare, piacevolmente spaesati. In quella condizione in cui ogni cosa sta per impregnarsi del sapore di un nuovo inizio, quello delle nostre scelte.
Auguri Molfetta!
© Riproduzione riservata
Autore:
Giacomo Pisani
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Vecchio Scarpone
04 Gennaio 2012 alle ore 21:48:00
Che può fare un savio, altro che disperare compiutamente della "illuminazione" delle menti umane, e gridare: o Verità, tu sei sparita dalla terra per sempre, nel momento che gli uomini incominciarono a cercarti. (Zibaldone, pag.4208)
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Greatest Generation - Tink Tank
31 Dicembre 2011 alle ore 22:23:00
“E a scandire il tempo c'è ogni anno quell'unico giorno che è così carico di nuove speranze da farsi sinonimo di nuovo inizio, tanto riesce a penetrare noi stessi e gli altri, e il nostro mondo intero” – Per la stessa ragione che ci fa mettere al mondo i figli. Perché abbiamo paura della morte, del buio, e vogliamo vedere la nostra immagine ripetuta e immortale. Non vorremmo morire: perché la morte esiste e, poiché esiste, partoriamo figli che partoriranno altri figli, all'infinito, e questo ci regala l'eternità. Non dimentichiamolo: la terra può morire, può esplodere, il Sole può spengersi, si spengerà. E se il Sole muore, se la Terra muore, se la nostra razza muore con la Terra e il Sole, allora anche ciò che abbiamo fatto fino a quel momento muore. E muore Omero, e muore Michelangelo, e muore galileo, e muore Leonardo, e muore Shakespeare, e muore Einstein, e muoiono tutti coloro che non sono morti perché noi viviamo, perché noi li pensiamo, perché noi li portiamo dentro e addosso. E allora ogni cosa, ogni ricordo, precipita nel buio con noi. Salviamoli, dunque, salviamoci. Prepariamoci a scappare, scappiamo per continuare la vita su altri pianeti, per ricostruire su altri pianeti le nostre città: non saremo a lungo terrestri! E se davvero temiamo il buio, se davvero lo combattiamo, allora, per il bene di tutti, prendiamo i nostri razzi, abituiamoci al gran freddo, al gran caldo, all'acqua che non c'è, all'ossigeno che non c'è, diventiamo marziani su Marte, venusiani su Venere,, e quando anche Marte morirà, quando anche venere morirà, andiamo in altri sistemi solari, su Alfa Centauri, ovunque riusciremo ad andare, e scordiamo la Terra. Scordiamo il nostro sistema solare, scordiamo il nostro corpo, la forma che aveva, queste braccia queste gambe questi occhi, diventiamo non importa come, diventiamo licheni, insetti, sfere di fuoco, non importa cosa, importa solo che in qualche modo la vita continui, e con la vita continui la coscienza di ciò che fummo e facemmo e imparammo: la coscienza di Omero, la coscienza di Michelangelo, la coscienza di Galileo, di Leonardo, di Shakespeare, di Einstein! E il dono della vita continuerà in eterno.” (O.F. - Se il sole muore) AUGURI TERRESTRI!
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Jonathan Livingston - Volo Libero
31 Dicembre 2011 alle ore 21:43:00
"La luna, guarda la luna! Una nave spaziale con tre uomini a bordo sta orbitando la luna, presto altri vi sbarcheranno ad allargare i confini della nostra perfidia e del nostro dolore: guardala, eccola sullo schermo della TV. Ho amato molto la luna, ho invidiato molto chi ci sarebbe andato. Ma ora che la guardo, così grigia e vuota e priva di bene, di male, di vita, già sfruttata per farci dimenticare le colpe, le infamie di qui, per distrarci da noi stessi, ricordo una frase che tu mi dicesti, Francois: “La luna è un sogno per chi non ha sogni”. E preferisco questa palla verde e bianca e azzurra e brulicante di bene e di male di vita che chiamano Terra. E' una palla avvelenata, lo so, e a toccarla a starci si muore, lo so: la vita, Francois, è una condanna a morte. Però hai ragione a non dirmelo. E' proprio perché siamo condannati a morte bisogna attraversarla bene, riempirla senza sprecare un passo, senza addormentarci un secondo, senza temere di sbagliare, di romperci, noi che siamo uomini, né angeli né bestie ma uomini. Vieni qua, Elisabetta, sorellina mia. Un giorno mi chiedesti cos'è la vita: vuoi ancora saperlo? – “Sì, la vita, cos'è? – “E' una cosa da riempire bene, senza perdere tempo. Anche se a riempirla bene si rompe.” – “E quando è rotta?” – “Non serve più a niente. Niente e così sia.” (Oriana Fallaci – Niente e così sia)
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