Antropologia dell'immondizia
MOLFETTA - Ormai articoli, foto, lettere di protesta sull'argomento rifiuti abbandonati rimbalzano da ogni parte. In queste ultime settimane anche su altri giornali locali on line.
Qualcuno nei commenti diceva che chi legge gli articoli ed esprime la propria indignazione non è, ovviamente, colui che sporca, e credo sia vero, perché altrimenti il problema non esisterebbe.
Le dettagliate denunce fotografiche evidentemente vengono ignorate dalle autorità che dovrebbero agire con controlli, multe e pulizia periodica.
Cosa rimane? Magari, per quello che serve, tentare di capire cosa c'è dietro questa inveterata abitudine che caratterizza tutte le regioni del meridione, isole comprese.
Il problema nasce soprattutto dalla qualità del rifiuto che si abbandona, poi dalla quantità. Nessuno mai si sogna di tacciare di inciviltà un contadino che lascia sul campo residui di ortaggi o un sacco di iuta dopo la raccolta. O anche se getta nel terreno il manico in legno dello strumento che ha usato per lavorare nei campi. Sarà un'osservazione banale, ma tutto nasce lì: le cose inservibili l'uomo le ha sempre lasciate sulla sua strada, o nei dintorni di dove abitava. Ma dai depositi di cocci di argilla dei tempi antichi, ai nostri cumuli maleodoranti ce ne passa.
Allora cosa è successo? Abbiamo perso un passaggio, ossia da che gli oggetti sono diventati di plastica, metallo, eternit(!!!) etc., noi abbiamo continuato a considerarli “biodegradabili”, non perché ignoriamo che la plastica non lo sia, ma perché nel nostro cervello ciò che non serve più torna “fuori” da dove é (o meglio, dovrebbe essere) venuto.
Se vogliamo è un passaggio naturale, l'argilla alla terra, il legno pure, ma....l'homo (post) sapiens sapiens ha perso la capacità di percezione materica e gli è rimasto solo il desiderio di disfarsi, nel modo più sbrigativo, di ciò che non serve. Per cui alla terra torna pure il frigo vecchio, la poltrona e il vecchio scaldabagno.
Una seconda questione: perché questa cattiva abitudine è più diffusa da noi a Sud. Direi anzi che ne abbiamo l'esclusiva.
Qualcuno parla di eredità borbonica, contrapponendola ad una “austriaca” del Settentrione.
Altri non attribuiscono la colpa alla cultura franco-spagnola di cui siamo (anche) figli ma al sistema del latifondo che ha frustrato le masse contadine determinando una sorta di rabbia atavica per ciò che è “fuori” della nostra piccola proprietà. Il “fuori”, per il contadino che sudava nei campi, era del padrone che lo vessava, e non meritava altra cura se non quella dovuta per lavoro. Scomparso quel sistema, la struttura mentale non si è modificata. Questo spiegherebbe l'eccessiva cura per le nostre case che finisce sulla soglia, in qualche caso arriva sino al portone. Ma già la strada non ci appartiene più e ci getto quello che voglio.
Ho letto anche di un'altra teoria che attribuisce alla mancanza, qui da noi, dell'età comunale che ha invece determinato nel Centro Italia una maggiore crescita culturale e civica, appunto.
Sarebbe edificante conoscere maggiori dettagli storici o antropologici da chi per lavoro studia queste dinamiche.
Oramai, fermarsi alla sterile indignazione non basta più.
La parola agli esperti....".