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Antropologia dell'immondizia
07 agosto 2008

MOLFETTA - Ormai articoli, foto, lettere di protesta sull'argomento rifiuti abbandonati rimbalzano da ogni parte. In queste ultime settimane anche su altri giornali locali on line. Qualcuno nei commenti diceva che chi legge gli articoli ed esprime la propria indignazione non è, ovviamente, colui che sporca, e credo sia vero, perché altrimenti il problema non esisterebbe. Le dettagliate denunce fotografiche evidentemente vengono ignorate dalle autorità che dovrebbero agire con controlli, multe e pulizia periodica. Cosa rimane? Magari, per quello che serve, tentare di capire cosa c'è dietro questa inveterata abitudine che caratterizza tutte le regioni del meridione, isole comprese. Il problema nasce soprattutto dalla qualità del rifiuto che si abbandona, poi dalla quantità. Nessuno mai si sogna di tacciare di inciviltà un contadino che lascia sul campo residui di ortaggi o un sacco di iuta dopo la raccolta. O anche se getta nel terreno il manico in legno dello strumento che ha usato per lavorare nei campi. Sarà un'osservazione banale, ma tutto nasce lì: le cose inservibili l'uomo le ha sempre lasciate sulla sua strada, o nei dintorni di dove abitava. Ma dai depositi di cocci di argilla dei tempi antichi, ai nostri cumuli maleodoranti ce ne passa. Allora cosa è successo? Abbiamo perso un passaggio, ossia da che gli oggetti sono diventati di plastica, metallo, eternit(!!!) etc., noi abbiamo continuato a considerarli “biodegradabili”, non perché ignoriamo che la plastica non lo sia, ma perché nel nostro cervello ciò che non serve più torna “fuori” da dove é (o meglio, dovrebbe essere) venuto. Se vogliamo è un passaggio naturale, l'argilla alla terra, il legno pure, ma....l'homo (post) sapiens sapiens ha perso la capacità di percezione materica e gli è rimasto solo il desiderio di disfarsi, nel modo più sbrigativo, di ciò che non serve. Per cui alla terra torna pure il frigo vecchio, la poltrona e il vecchio scaldabagno. Una seconda questione: perché questa cattiva abitudine è più diffusa da noi a Sud. Direi anzi che ne abbiamo l'esclusiva. Qualcuno parla di eredità borbonica, contrapponendola ad una “austriaca” del Settentrione. Altri non attribuiscono la colpa alla cultura franco-spagnola di cui siamo (anche) figli ma al sistema del latifondo che ha frustrato le masse contadine determinando una sorta di rabbia atavica per ciò che è “fuori” della nostra piccola proprietà. Il “fuori”, per il contadino che sudava nei campi, era del padrone che lo vessava, e non meritava altra cura se non quella dovuta per lavoro. Scomparso quel sistema, la struttura mentale non si è modificata. Questo spiegherebbe l'eccessiva cura per le nostre case che finisce sulla soglia, in qualche caso arriva sino al portone. Ma già la strada non ci appartiene più e ci getto quello che voglio. Ho letto anche di un'altra teoria che attribuisce alla mancanza, qui da noi, dell'età comunale che ha invece determinato nel Centro Italia una maggiore crescita culturale e civica, appunto. Sarebbe edificante conoscere maggiori dettagli storici o antropologici da chi per lavoro studia queste dinamiche. Oramai, fermarsi alla sterile indignazione non basta più. La parola agli esperti....".
Autore: Lucia Binetti
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Non sono un esperto e neanche un addetto ai lavori,cerco solo di ricordare. Sono vere quelle differenze di cultura nord-sud riguardo a domini e occupazioni diverse: a nord l'Impero Austro-Ungarico, a sud Arabi e Borbonici. Poi sotto i ponti acqua ne è passata:il Risorgimento, l'Unità d'Italia, la prima guerra mondiale, l'avvento del fascismo con l'indottrinamento di quasi una intera generazione con l'appoggio di una Chiesa confusa e autoritaria a conservare i propri previlegi nepotisti e di parte, la ricostruzione di un paese distrutto, la grande immigrazione di milioni di cittadini dal sud verso il nord. Faccio delle considerazioni strettamenti personali. Si velocizzò la ricostruzione del territorio per paura di un spostamento politico a sinistra, con l'aiuto degli americani, dimenticando quella che doveva essere la priorità: la giustizia. Il fascismo ne aveva oscurato il senso e il valore, gli italiani la dimenticarono e, dopo anni di dura dittatura, si volle parlare solo di libertà. Ci fu una vera apologia della libertà. Questo fu un errore. Nessun uomo è libero senza giustizia.In un paese che cresceva in libertà senza giustizia, iniziarono i poteri illeciti, speculazioni, uomini di malaffare che protetti da un liberalismo senza regole e da politici assetati di potere, si sostituivano allo Stato. Gli anni passavano, si velocizzarono le differenze generazionali, i cambiamenti sociali e culturali si contropponevano sempre più nell'ingiustizia totale, bloccati da un potere politico nepotista e arrogante. Mentre l'Europa correva, l'Italia camminava. La Chiesa continuava a sonnecchiare e a difendere le proprie posizioni dogmatiche, rigide e intransigenti. Le nuove realtà bussavano alla porta invano e inascoltate. Si era sempre più liberi,sempre meno giusti. Poi il boom industriale e tecnologico. Qui fu commesso un altro errore: fu confuso il progresso per civiltà. Ce lo fecero credere. Milioni di persone necessitavano ancora di educazione civica, istruzione di base, furono catapultati alla conquista di quei beni che non erano la dimostrazione di civiltà. Si risolse il tutto con l'obbligo della terza media. Una scuola primaria e secondaria sempre più confusionaria e di basso valore: fu la televisione la vera cattiva maestra. L'avere sostituì l'essere, il possesso, l'amore.Scrisse E.Fromm:"L'amore non è soltanto una relazione con una particolare persona: è un'attitudine, un orientamento di carattere che determina i rapporti di una persona col mono,non verso un oggetto d'amore.Se una persona ama solo un'altra persona ed è indifferente nei confronti dei suoi simili, il suo non è amore, ma un attaccamento simbiotico,o un egotismo portato all'eccesso. Eppure la maggior parte della gente crede che l'amore sia costituito dall'oggetto, non dalla facoltà di amare.Infatti, essi credono perfino che sia prova della intensità del loro amore il fatto di non amare nessuno tranne la persona amata." Gli intellettuali.Dopo Pasolini, Moravia e tanti altri a cui chiedo scusa per non menzionarli, ci fu la decadenza dell'intellettualismo. La televisione diventò il loro e unico palcoscenico. Spettacoli buffoneschi e di fattura a dir poco fatiscente, per grosse somme di denaro che sostituì il decoro e la dignità. Una televisione senza controllo, popolare, sempre più diseducativa "perchè la gente vuole così". Una delle funzioni primarie dell'istruzione, sia a casa che a scuola, è di collegare il passato con il futuro, dimostrare in che modo il presente discende da ciò che lo ha preceduto, e in che modo il futuro è collegato ad entrambi. La televisione è regolata dall'orologio.La televisione ci insegna a essere furbi,essere sexy,essere capaci,essere belli,essere forti.Poche volte e di sfuggita o a orari impensabili ci dice di aiutare gli altri, saper perdonare, essere tolleranti. Non voglio demonizzare la TV, cose buone sono state fatte ma va tenuta sotto controllo.Karl R.Popper:"Una democrazia non può esistere se non mette sotto controllo la televisione, o più precisamente non può esistere a lungo fino a quando il potere della televisione non sarà pienamente scoperto. Dico così perchè anche i nemici della democrazia non sono ancora del tutto consapevoli del potere della televisione.Ma quando si saranno resi conto fino in fondo di quello che possono fare la useranno in tutti i modi, anche nelle situazioni più pericolose.Ma allora sarà troppo tardi"

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