Anni facili, anni difficili
L'ultimo libro di Beniamino Finocchiaro
Un paio d'occhiali e due occhi spalancati a guardare il mondo, un aggettivo, 'squinternato', quanto mai calzante per definire la natura di quest'auto-biografia: sono, già in copertina, i primi indicatori della natura di 'Anni facili anni difficili' di Beniamino Finocchiaro, pubblicato postumo, nel 2004, dalle Edizioni Mezzina (nella foto, la copertina del libro).
Ripartendo la materia in XIV capitoli e otto allegati, Finocchiaro ripercorre, in un ordine cronologico a maglie larghe, gli eventi più significativi della propria esistenza, dalla caduta del fascismo alle prime manifestazioni del cancro. In una sorta di appassionato autodafé, che si colora via via dei toni del romanzo picaresco, della commedia brillante, di nostalgica elegia e, più spesso ancora, di pamphlet politico od orazione giudiziaria, rivivono, passati in rassegna dal giudizio censorio, impietoso (e spesso, a dire il vero, discutibile) dell'autore, buona parte dei personaggi della storia del secolo scorso e dell'avvio del nuovo Millennio. Tommaso Fiore diviene così un 'antifascista puerilmente esagitato quanto innocuo', malato di 'bonomia pettegola', Aldo Moro si impelaga in predicozzi 'chiaramente parrocchiali', atti a suscitare 'ilarità contagiosa' e la grande Sofia Loren si riduce a un paio di 'belle tette' al seguito di Carlo Ponti.
Non mancano i momenti ilari, come quando Finocchiaro descrive una disastrosa gita in macchina con Angelica Balabanoff, a sentir lui una nonnetta dispotica e intransigente, capace di risvegliare i nascosti istinti omicidi di un giovane, 'che trafficava in gomme e pezzi di ricambio'. E ancora si parla e sparla di Pertini (imbarazzanti gli aneddoti sulle sue 'richieste' di quadri a Guttuso), di Benigni (che impazza volgarmente sul palcoscenico dell'Ariston), di Paolo Grassi (corteggiatore di segretarie e uscieri di via Del Corso!), reo d'essergli succeduto alla presidenza della Rai... Forse ciò che fa difetto (o compare sporadicamente) è l'auto-critica. La prosa è asciutta, estremamente gradevole, a tratti vibrante; emergono, con assoluta evidenza, l'acume, la cultura multiforme, le doti affabulatorie, la passione politica di Finocchiaro.
Eppure i momenti migliori di “Anni facili anni difficili” sono proprio quelli in cui la storia fa da sfondo, indubbiamente cogente, alle vicende esistenziali del protagonista. La passione per Boika, una studentessa d'architettura, bulgara, conosciuta a Roma, compagna, insieme a un gruppo di albanesi 'antifascisti', di giovanili vagabondaggi per la Capitale... Il mesto, penoso lasciarsi alla Stazione Tiburtina in 'una confusione fatta di bagagli'... Finocchiaro sembra perdere la sua consueta verbosità, per immortalare, con rapidi tratti, questa sfuocata, ma affascinante, figura di donna, i cui connotati sono 'le lacrime' e 'il muto sorriso'.
Altro momento topico è quello del sopraggiungere della vecchiaia, del rifiuto della serena prospettiva con cui Bobbio l'ha descritta, col progressivo, inarrestabile avanzare della malattia. L'autore si rifugia nelle letture e nello scrivere, per non lasciarsi cogliere dal terrore del buio che l'attende, dell'addio da Elena (la moglie, dedicataria dell'opera). Le ombre perturbanti della morte si proiettano anche su luoghi abitualmente rasserenanti, come la villa di Scanno; la nostalgia di Parigi e dei bei tempi andati rivela il lato umano del gladiatore.
Mi piace, in conclusione, soffermarmi ancora un po' sull'immagine degli occhiali in copertina e sulle parole di una canzone a metà tra geniale esistenzialismo e filosofia spicciola: “Tutto dipende da che punto guardi il mondo”. Possiamo indossare le medesime lenti di Finocchiaro e solidarizzare col suo punto di vista o scaraventarle in terra con indignazione e sdegno. Al lettore delle note auto-biografiche squinternate la scelta...
Gianni Antonio Palumbo
gianni.palumbo@quindici-molfetta.it