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Allarme per le cattive abitudini alimentari: quanti danni ai bambini
15 febbraio 2009

Se fino a qualche anno fa pareva fosse solo un problema dell'America opulenta, adesso il fenomeno dell'obesità si è esteso a macchia d'olio, fino a coinvolgere gli abitanti della vecchia Europa e noi italiani, da sempre sovrani della dieta Mediterranea, ma ora alle prese con i guai della vita sedentaria. L'argomento del nuovo forum di Quindici, allora, è stato: “le abitudini alimentari degli studenti e l'obesità, la nuova malattia dell'era moderna” e a discuterne sono intervenute alcune figure chiave: insegnanti di scuola dell'infanzia, primaria, scuola media inferiore e superiore, medici e un preparatore atletico. L'obesità giovanile è un argomento molto dibattuto, non ha ancora una soluzione univoca a causa della moltitudine di fattori che concorrono a questa patologia, ma anche a causa del fatto che gli studi a riguardo sono ancora in corso d'opera. Ci si è chiesti, per cominciare, se nella società attuale c'è stato un effettivo cambio nell'alimentazione dei piccoli e quanto le giovani generazioni siano interessate a ciò che mangiano, se siamo di fronte ad un consumatore attento o distratto, disinteressato o informato. A dare il via al confronto, moderato da Adelaide Altamura, l'insegnante della scuola dell'infanzia Elisabetta de Leo, che subito sottolinea il ruolo della famiglia in tale problematica, distinguendo due tipologie: le famiglie molto attente al problema e quelle che credono di esserlo. L'attenzione sul tema “cibo” è maggiore rispetto agli anni passati, tant'è che le mense della scuola dell'infanzia sono controllate dai genitori, dai nutrizionisti e dalle docenti stesse, in un lavoro di squadra volto soprattutto al benessere dei bambini. Ci sono guide didattiche dedicate al tema e progetti educativi interamente dedicati all'alimentazione, e tutto questo testimonia che sicuramente la scuola fornisce tutti gli strumenti necessari per una buona cultura alimentare, nonché un servizio mensa equilibrato. Gli errori, parrebbe chiaro, deriverebbero da una cattiva alimentazione nell'ambito familiare e quello più comune è la preoccupazione continua sul quantitativo di cibo, piuttosto che sulla qualità. L'insegnante Elisabetta Tangari, docente di scuola primaria, aggiunge una nota curiosa e inconfutabile: di questi tempi il grande merito della salvaguardia dell'alimentazione sana va dato soprattutto ai nonni come è emerso dai risultati di un progetto di continuità portato avanti dalla scuola elementare “Cesare Battisti” e la scuola media “S.D. Savio”. Nella guida che è stata presentata “Molfetta città sana” si evince che le mamme hanno sempre meno tempo e preferiscono cibi precotti mentre le nonne sono depositarie della tradizione. Per quanto riguarda l'impegno della scuola, in questi anni gli alunni hanno acquisito l'abitudine a consumare in classe una merenda a metà mattinata sana ed equilibrata: c'è frutta a pezzi, yogurt, ma molto spesso si nota un comportamento imitatorio nei confronti dell'insegnante a cui il bambino guarda come riferimento ed esempio. Le merendine son lasciate, forse, al consumo casalingo. Ma, allora, il problema non è nella educazione alla sana alimentazione? Reduce dal progetto “Città sane dei bambini”, volto proprio all'educazione alla salute per i bambini, l'assessore ai servizi educativi del Comune di Molfetta Luigi Roselli, pediatra, riporta un suo studio di quasi 10 anni fa, sulla popolazione infantile a Molfetta nel quale era stata calcolata una percentuale pari all'8 per cento di bambini obesi, dato già allarmante di per sé, che denunciava un problema preesistente. Egli sottolinea che punto nevralgico della buona educazione alimentare infantile è la colazione, che non solo deve essere equilibrata per un discorso di corretta alimentazione, ma deve diventare anche momento di socialità con la propria famiglia, un momento da ritagliare nel tran tran quotidiano. Invece, da questa indagine, è emerso che poca importanza viene attribuita alla colazione, spesso frettolosa, inadatta o insufficiente, mentre poi nel corso della giornata i genitori non hanno alcun modo di stabilire “quanto” mangino i loro figli. Può sorgere il dubbio che il problema del sovrappeso infantile stia anche nella sedentarietà? Qui si inserisce l'esperienza di Mimmo Altomare, professore di educazione fisica e preparatore atletico di ragazzi di scuola media, che nota oggi una maggiore consapevolezza in quei genitori di bambini in sovrappeso e il loro conseguente correre ai ripari. Se per una mamma è difficile stabilire quanto il suo bambino debba mangiare “Come si fa a dirgli di no; basta con le merendine”, c'è poi la voglia di trovare un rimedio e quindi lo stimolare il figlio ad una necessaria attività fisica, che va a sostituire il campo di gioco di una volta: la “strada”. Non sono nemmeno tanto lontani i tempi in cui si finiva il pranzo e il richiamo della strada era irresistibile: orde di ragazzini giocavano ad arrampicarsi, a rincorrersi, e questo contribuiva a bruciare e smaltire grassi. I danni di una vita sedentaria erano solo uno spauracchio per i più grandi. Invece, oggi è opinione comune, e ha un fondo di verità incontrastabile, che oramai molti bambini hanno l'abitudine fin troppo consolidata di stazionare davanti alla televisione e al computer dopo i compiti, e il movimento è concesso solo a chi ha i genitori più volenterosi e pazienti e forse hanno anche la possibilità di pagare il corso di calcio o la palestra per fare atletica. Il professor Giuseppe de Gennaro, docente di Scienze dell'alimentazione, fa notare che l'intelligenza sta nell'adeguare l'alimentazione al proprio stile di vita e ai propri ritmi e per fare questo è necessario che i genitori stessi siano informati sulle quantità caloriche corrette sia nel caso di poco movimento, che nel caso di bambini coinvolti in attività sportive. Ci sarà, allora, un momento dello sviluppo del bambino in cui comincia questa superalimentazione, forse lo svezzamento? Roselli smentisce subito questa ipotesi, e sottolinea, invece, come i primi 24 mesi di vita siano controllati dal pediatra ad intervalli regolari e monitorati in maniera precisa. Pertanto non è più tempo di cercare delle colpe, ma piuttosto entrare nell'ottica che ci sono responsabilità condivise e non solo imputabili alla famiglia. Il dott. Enrico Pansini, medico di base e cardiologo, spiega l'evoluzione del problema di questi anni: l'obesità è diventata una malattia a se stante, quasi una pandemia, e nell'ultimo decennio molti sono stati gli studi indirizzati a comprendere le origini e le conseguenze di uno stile di vita sregolato. Uno dei parametri più controllati per definire un soggetto obeso è l'indice di massa corporea, cioè il rapporto fra massa e altezza dell'individuo, che, confrontato con opportune tabelle, risulta essere indicatore fondamentale dello stato di forma di un individuo. Attualmente sta subentrando, però, la misura della circonferenza addominale, più strettamente correlata con il rischio di infarti e di malattie dell'apparato circolatorio; secondo una stima risulta che il fattore di rischio sia più elevato con misure superiori a 102 cm per l'uomo e 88 per la donna. E' come se il grasso addominale fosse un organo a sé stante che, in caso di dimensioni particolarmente critiche, innesca una serie di reazioni a catena strettamente legate ad un numero di patologie impressionante. La FIMMG, federazione italiana Medici di Medicina Generale, in tal senso, ha avviato una serie di progetti volti ad un'attività di counseling, una ulteriore connessione coi pazienti per una informazione corretta e continua sull'alimentazione per cercare di prevenire invece che curare le molteplici complicanze e i rischi legati alla obesità. Nell'intera trattazione del tema dell'obesità, è emerso l'innegabile ruolo della componente psicologica: il cibo è un aggregatore sociale, ma col continuo tempestare di pubblicità sui media è diventato anche una ossessione. La fascia d'età più sensibile a questo bombardamento mediatico risulta quella fra i 13 e 15 anni, esposta al rischio di disturbi alimentari ancora più complessi e delicati da trattare, involgariti dalla giungla di diete fai da te, dai blog di sedicenti esperti e dalla noncuranza generale. Ma cosa fa la scuola per queste fasce d'età? Interviene, a tale proposito, la prof.ssa Giulia Rosa Minervini, docente di scuola media inferiore, che presenta i risultati di un'indagine su un campione di studenti molfettesi: l'informazione alimentare c'è e c'è anche consapevolezza, ma, la maggior parte degli adolescenti perde le buone abitudini acquisite durante la scuola elementare. Anche da altri studi sulla popolazione scolastica italiana e sui giovanissimi in particolare emerge che essi non risultano per niente preoccupati di avere uno stile di vita troppo sedentario e una dieta troppo ricca di proteine e grassi e povera di frutta e verdura. La scuola svolge diligentemente il proprio ruolo formativo e fornisce tutti gli strumenti necessari per una completa informazione, ultimamente anche l'amministrazione molfettese ha seguito attività volte proprio al benessere dei bambini, i medici presentano continuamente l'elenco dei rischi, ma è evidente che qualcosa viene perso per strada. Forse la troppa informazione crea una sorta di effetto boomerang?, si chiede il direttore di Quindici, Felice de Sanctis E' sempre colpa del “logorio della vita moderna”? Oppure, più volgarmente, il cibo è diventato un business da sfruttare, anche a discapito della salute dei cittadini? Dai dati emersi sembrerebbe proprio così. C'è l'informazione, c'è la cultura alimentare ma i problemi rimangono e anzi i rischi sulla salute aumentano. Dobbiamo prendere atto che è necessario fermarci un po' a riflettere e una buona occasione ci viene data da un consiglio alla lettura di Elisabetta de Leo, “Il pane di ieri”, di Enzo Bianchi, una raccolta di racconti da centellinare come un buon cibo, che dà una soluzione, nemmeno tanto banale, al problema della sovralimentazione e del peso eccessivo: Est modus in rebus.
Autore: Alessia Ragno
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