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Allarme cancellazione per i giornalisti pubblicisti, la manovra “Salva Italia” sopprime l'albo Rischio di chiusura per giornali e di denunce per esercizio abusivo della professione
17 gennaio 2012

La manovra del governo Monti ha fatto un bel regalo di inizio d’anno alla categoria dei giornalisti. Infatti, dal 13 agosto, se non interverranno correzioni o modifiche al decreto “Salva Italia”, l’albo dei pubblicisti verrà soppresso e resterà in vigore solo quello dei professionisti (nella foto, il tesserino).

In realtà l’Ordine dei giornalisti è l’unico ad avere un doppio albo diviso fra coloro che esercitano in modo esclusivo la professione di giornalista e vivono da quella retribuzione e quelli che, invece, lo fanno per passione, hobby ecc., i cosiddetti “Pubblicisti” (anche se occorre dire che molti di questi iscritti lavorano nei giornali come art. 36, art. 2 o come free lance, sono retribuiti regolarmente e versano i contributi all’Inpgi, l’istituto di previdenza della categoria).
Se il provvedimento dovesse andare in vigore, e, allo stato attuale - non essendoci modifiche e facendo parte itegrante della manovra approvata dal Parlamento la norma è già operativa, si avrebbe come conseguenza la chiusura di tutti i giornali locali, oltre alla possibile denuncia dei direttori e dei collaboratori per esercizio abusivo della professione.
Un vero disastro e soprattutto uno schiaffo alla pluralità dell’informazione e alla libertà di stampa. Basti pensare che a Molfetta chiuderebbero tutti i giornali e i siti internet e resterebbero in regola e quindi potrebbero continuare ad operare solo la rivista mensile “Quindici” e il quotidiano web “Quindici on line”, avendo entrambi come direttore un giornalista professionista. La cosa, certamente, non ci fa piacere perché crediamo e ci siamo sempre battuti (a differenza di altri) a favore della pluralità delle voci e degli strumenti di informazione dei cittadini, unica garanzia di democrazia e libertà.
Ma cerchiamo di capire la ratio, il motivo di questo provvedimento che sta gettando nel panico migliaia di pubblicisti, soprattutto coloro che esercitano effettivamente questo mestiere e vivono da esso.
La “ricetta” di Monti in realtà non è una novità, ma una nuova norma che recepisce le direttive europee sulle professioni redatta già in passato da Berlusconi e confermata da questo governo. La norma che compare al punto “Riforma degli ordini professionali”, prevede infatti l’annullamento della distinzione tra giornalisti pubblicisti e professionisti. Il comma 5 dell'art 3 dl 138/2011 prevede che l'accesso a tutte le professioni intellettuali sia vincolato al superamento dell'esame di Stato previsto dalla Costituzione. Risultato, chi non avrà conseguito il praticantato e sostenuto la prova di idoneità per accedere all’albo dei professionisti entro il prossimo settembre potrebbe non aver diritto a svolgere regolarmente il proprio lavoro.
Il danno è economico: sono 80mila i pubblicisti e, calcolando una media di 100 euro all’anno di quota di iscrizione, l’Ordine perderebbe 8 milioni di euro, una cifra che lo paralizzerebbe, costringerebbe a licenziare i dipendenti e a dover chiudere tutte le sedi. Un vero e proprio fallimento, come quello di un’azienda. Ma è da calcolare anche il danno professionale: che fine faranno tutti questi pubblicisti e quelli che si accingono a concludere l’iter dei 24 mesi per ottenere l’iscrizione?
Il Corriere della Sera in un articolo di qualche giorno fa, ha riportato il parere di Franco Abruzzo, studioso dei problemi della categoria e già presidente dell’Ordine della Lombardia) che suggerisce una "soluzione empirica" basata sulla misurazione del reddito per verificare chi è "giornalista vero" in modo da sanare le posizioni occupate negli elenchi da chi in realtà non esercita ed è giornalista solo di fatto.
Dalla consigliera dell'Ordine Antonella Cardone è arrivato invece un tentativo di fare chiarezza. In un messaggio girato su Facebook da altri colleghi, scrive: «La ratio sta nel voler liberalizzare l'accesso alle professioni, tenendo come unico criterio di accesso l'esame di Stato. Per noi giornalisti si trasforma in una restrizione, ma penso sia anche un'occasione per qualificare a meglio la categoria, che ricordo essere composta da 110 mila persone in tutta Italia di cui appena 50 mila versano i contributi all'Inpgi (vuol dire che 60 mila persone o non fanno la professione o lavorano in nero)». Il nodo della questione diventerebbe allora "salvare" quei 15-20 mila pubblicisti che solo per questioni di reddito e contratto non vengono iscritti professionisti, ma che svolgono regolarmente la professione. E non solo. Sul tavolo finirà anche il problema dei contributi versati fino all'entrata in vigore della norma, anche se è presumibile pensare che saranno tutelati coloro che, come da regolamento, hanno fatto regolarmente i versamenti in regime di Gestione separata (Inpgi2).
Il dibattito è molto acceso nella categoria, anche in vista del Consiglio nazionale che dovrebbe tenerso domani o venerdì a Roma, per elaborare proposte alternative.
Non si tratta di un problema che riguarda solo la categoria dei giornalisti, ma tutti i cittadini, perché si tratta di tutelare una libertà fondamentale garantita dalla Costituzione.
Il giornalista Antonello Antonelli nel suo blog personale ha ipotizzato tre scenari possibili:
1)Elenco ad esaurimento
Fino al 13 agosto prossimo, data ultima per l’autoriforma degli ordini secondo i principi della legislazione europea (che prevede inderogabilmente un esame di Stato per l’ingresso in un ordine, questo il punto che cancellerebbe i pubblicisti), gli Ordini regionali continueranno regolarmente a iscrivere pubblicisti. Dal 14 agosto, si bloccano tutte le iscrizioni e l’elenco rimane chiuso fino al suo naturale esaurimento.
2) Transizione
In questo caso, verrebbero emanate nuove norme “transitorie” per l’accesso all’esame professionale: chi svolge la sola professione giornalistica e vuole continuare a svolgerla in via esclusiva, viene ammesso all’esame di Stato e diventa professionista. Gli altri pubblicisti vengono cancellati dall’albo.
3)Riconferma
L’attuale status quo viene riconfermato. L’Ordine rimane diviso nei due elenchi, professionisti e pubblicisti, per essere iscritti nei quali occorrerà comunque un esame di Stato: quello classico per i primi e uno nuovo per i secondi.
Certamente una riforma dell’Ordine andava fatta, anche per evitare, come avviene ora, che gli iscritti crescessero in modo esponenziale, inglobando anche chi non solo non esercita la professione, ma che andrebbe tenuto fuori per evitare quel calderone che raccoglie figure di ogni genere non certo i professionisti dell’informazione, tanta gente improvvisata che non solo non conosce l’etica, ma nemmeno le norme più basilari della professione e provoca solo danni.
L’obbligo dell’esame di Stato sanerebbe tutte le situazioni, parificando i due elenchi e mettendo fine a quest’anomalia tutta italiana, evitando possibili speculazioni da parte di giornalisti professionisti che verrebbero corteggiati da tutti i media per accettare la nomina a direttore responsabile ed evitare la chiusura o la denuncia per esercizio abusivo della professione.
Intanto, mentre si attende una riunione del Consiglio nazionale dell'Ordine, prevista dal 18 al 20 gennaio, per stendere una proposta alternativa al Governo Monti, il dibattito continua e le preoccupazioni anche.
 
 
 
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