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A SpazioleArti la drammatica storia della mamma di Michele Fazio, vittima innocente di mafia In scena lo spettacolo “Stoc ddò - io sto qua”
15 marzo 2022

Avevamo in casa un angelo e non lo sapevamo. Ecco, è stato detto tutto, nulla si deve aggiungere se non chiedere sommessamente di poter descrivere la vita spezzata di una famiglia, ma la generosità di Lella e Pinuccio Fazio rendono ovvia questa richiesta. Essi donano il loro dolore, la loro rinascita nel nome di Michele, nel nome di chi, pochi anni e tanti sogni, si è donato per legalità. Stoc ddò grida Lella, Stocc ddò è la sua vita, la loro vita. C’è un prima ed un dopo e quella linea è stata segnata il 12 luglio 2001. Il prima… una vita onesta, fatta di rinunce per garantire il necessario a quattro figli, una casa acquistata con immensi sacrifici, la felicità delle cose semplici fatte dal profumo di una casa pulita, di pietanze preparate con amore, di carezze tra i capelli, di una camicia bianca appena stirata, quella che Lella amorevolmente preparava a Michele per il suo lavoro di barista. “Come sei bello, le ragazze ti devono rubare”. Parole di mamma, cuore di mamma, strappato dal petto e buttato per terra e lasciato sanguinare. Lella ha raccolto il suo cuore, l’ha asciugato, ha riunito i lembi feriti ed ha deciso che il suo cuore doveva ancora lavorare perché la tragedia dell’assassinio di Michele avesse un senso. Stoc ddò è la rappresentazione di questo dolore. SpazioleArti ospita questo dolore mirabilmente rappresentato da Sara Bevilacqua. Non è possibile definire la sua performance come una rappresentazione. Sara Bevilacqua è Lella Fazio, è il suo dramma, la sua tragedia, la sua morte e la sua rinascita in nome del figlio vittima innocente di mafia. Michele tornava a casa nel momento sbagliato, quello scelto da un gruppo di suoi coetanei affiliati ad un clan, assoldati per uccidere un membro del clan avversario della città vecchia. “Ce avim fat? Avim accis u uagnon bun”, hanno esclamato, resisi conto di aver ammazzato un innocente. Le raffiche, le urla di spegnere le luci e di stendersi per terra alle figlie, Lella li ricorda. Poi la scoperta che il corpo del ragazzo ferito sotto la sua finestra è di suo figlio, diventa fine di una vita e nascita di un’altra, la sua e quella di Pinuccio, padre, marito, compagno del prima e del dopo. Michele è vivo e viene portato in ospedale ma lui ha una missione più grande e vola via. Passa il testimone ai suoi genitori che caparbiamente iniziano un percorso per avere giustizia, seguiti dall’avv. Michele Laforgia e da tante altre persone che hanno abbracciato il loro dolore, per restituire la città vecchia alla gente onesta, per riprendere la città, presa con la forza dell’intimidazione dai clan. Sara Bevilacqua si spoglia di Sara e indossa Lella, cambia nome, anima e diventa Lella mentre racconta la storia d’amore con Pinuccio, i loro primi sguardi, le promesse che hanno mantenuto, le certezze solide che sono state fondamento della loro vita e che nulla, nemmeno l’assassinio di Michele, hanno minato. Stoc ddò, grida Lella. Sono qua e rimango, grida ai clan, affermando la fiera volontà di non andare via dal posto che è suo, in cui è nata e sono nati i suoi figli. Loro rimangono lì in quella casa, circondati dai clan, barricati in una vita solida, onesta, semplice, invidiata da chi ha solo soldi, proventi della droga, del ricatto, della delinquenza. Stoc ddò è prima un pugno in faccia, uno schiaffo che stordisce, poi una carezza, una mano che asciuga le lacrime, è Lella che asciuga le sue e quelle di chi non ha potuto trattenerle di fronte all’interpretazione di Sara Bevilacqua, che ha fatto propria la drammaturgia di Osvaldo Capraro. E c’erano Lella e Pinuccio, come non sono mai mancati da quella notte di luglio 2001, c’erano ad assistere alla rappresentazione della loro vita, c’erano e ci saranno. Nel nome del figlio. © Riproduzione riservata

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