A futura memoria... “Appaltopoli”
Lo scorso 28 giugno si è riunito per la prima volta il Consiglio comunale dopo gli arresti di amministratori pubblici, funzionari e imprenditori a seguito di una inchiesta della Procura di Trani per presunte illegittimità nell’ambito degli appalti e lavori pubblici in città. Una inchiesta di cui vi erano state le prime avvisaglie a novembre scorso con i primi avvisi di garanzia che avevano condotto alle dimissioni di un assessore comunale ai lavori pubblici e di un consigliere comunale. Ebbene, dopo questi due passi indietro non ci sono state altre dimissioni, come quelle del sindaco, tanto meno nell’ultimo Consiglio comunale. Indicativamente l’indignazione della pubblica opinione si è appuntata prevalentemente sui rappresentanti politici, riservando minori attenzioni sia ai funzionari comunali ma soprattutto agli esponenti del mondo economico imprenditoriale. Ed è questo un fenomeno che si presterebbe e meriterebbe in altra sede ulteriori appronfondimenti e necessarie spiegazioni. Prima del Consiglio comunale del 28 giugno sono state annunciate le dimissioni di altri due assesori comunali, uno di Officine Molfetta e l’altro del Partito democratico, sebbene poi nello stesso consiglio comunale i consiglieri di Officine Molfetta e del Partito democratico abbiano tranquillamente votato a favore dei provvedimenti dell’Amministrazione comunale. Insomma, assemblee, riunioni, comunicati stampa, annunci, dichiarazioni, tanto rumore per nulla: la maggioranza formata da liste civiche “di destra, di centro, di sinistra, di sopra e di sotto” e Partito democratico rimane compatta come un sol uomo a sostegno di Tommaso Minervini in Consiglio comunale. E del resto, è anche comprensibile: una massa di sergenti ha sempre bisogno di un generale per assomigliare a un esercito. Basti pensare alla crisi apertasi lo scorso gennaio con il Partito democratico che sbraita, minaccia, fa la faccia cattiva, così come i consiglieri di centrodestra guidati dall’assessore Mastropasqua, poi rumors di dimissioni, di uscite dalla maggioranza, di caduta dell’amministrazione e il sindaco Minervini che intasca nuovamente la fiducia di tutta la coalizione perché senza il “grande distributore” i questuanti sono destinati a tornare nel retrobottega. In effetti Tommaso Minervini, salveminiano nei giorni pari e amico di Fini nei giorni dispari, antifascista a targhe alterne e conciliatore amico degli “Eredi della storia”, alleato di Vendola e poi di Emiliano ma prima anche di Fitto, è l’uomo politico trasformista ideale per la guida di questa coalizione, rappresenta l’unico in grado di mantenere in piedi questa accozzaglia di visioni e interessi particolari. Basta accontentare uno qui e uno lì, basta rassicurare con un incarico e una delega ora questo, ora quello e il gioco è fatto. Onore al merito ma... c’è un ma. Un “ma” grande, grave e greve che incombe come un macigno. È lo scempio dell’onore e della dignità delle Istituzioni. Dopo quanto successo, un’amministrazione normale fa un passo indietro, a partire dal primo cittadino, non perché i processi si celebrano in piazza ma perché quanto emerso non consente di mantenere la fiducia e il rispetto non solo verso i rappresentanti delle Istituzioni ma rischia di alienare il rispetto alle Istituziuoni stesse. Quelle stesse Istituzioni su cui certi amministratori pontificano in occasione delle ricorrenze come il 25 aprile, il 2 giugno, il 7 luglio mentre farebbero bene a tacere per carità di Patria. Beninteso la presunzione di innocenza vale sempre e per tutti, proprio per questo chi ricopre cariche istituzionali non solo ha il diritto di difendersi nelle sedi opportune ma ha anche il dovere di tenere al riparo le Istituzioni che rappresenta. Quindi il sindaco, indagato anch’egli sin da novembre, doveva avvertire la necessità di fare un passo indietro, di lato, sopra, sotto, avanti, l’importante era non trascinare nel fango giudiziario l’istituzione comunale. Questo doveva fare ma non ha fatto, perché si ritiene unico e insostituibile, sindaco e monsignore, assessore al bilancio e alle partecipate, assessore allo sport e agli appalti e contratti, dirigente comunale di fatto e ideatore della attuale macrostruttura burocratica comunale. Nascondersi dietro un dito oggi dicendo che non si è coinvolti personalmente – cosa di cui non dubitiamo – è intellettualmente disonesto ed è quello che è stato fatto dal sindaco Minervini nell’ultimo consiglio comunale. La responsabilità politica di chi doveva capire e accorgersi è chiara, evidente e lampante. Se un assessore intasca mazzette e il sindaco non è coinvolto in questo vorticoso giro di illegalità non può limitarsi a dire “io non c’entro”, deve conseguentemente rassegnare le dimissioni politiche non foss’altro perché quell’assessore era stato da lui scelto sulla base di un vincolo di fiducia politica. Ma intellettualmente e politicamente disonesti come il sindaco, forse di più, sono coloro che vorrebbero abbandonare la nave compromessa dopo che in questi anni si sono pavoneggiati con i lavori pubblici, sotto le gonnelle del sindaco Minervini o del consigliere regionale Tammacco, si sono ringalluzziti per l’elezione di due consiglieri metropolitani e amavano presentarsi come gli amministratori del “fare”, uomini brillanti e self made men, vecchi e giovani democratici dinamici, smart, trendy, non come quei “barbosi ideologi di sinistra che parlano, parlano ma non fanno”... e che in effetti parlano e hanno parlato, ma senza mai intascare alcunché né incassare avvisi di garanzia. Ci auguriamo che gli elettori abbiano viva memoria di chi stava con chi in questi anni, perché senza il ricordo di tutti coloro che esultavano sui palchi, nei teatri, sulle spiagge, alle inaugurazioni di monumenti sprovvisti di autorizzazioni eppur bendetti – senza questa memoria – non vi è nessuna possibilità autentica di rinascere per la politica e la città. Dovrebbe servire da guida il lineare principio dell’alternanza, quello secondo cui chi è stato all’opposizione in questi anni di questa funesta Amministrazione si presenta come coalizione alternativa, marcando una rigorosa linea di separazione – quanto meno per il prossimo turno – da coloro che hanno avuto ruoli amministrativi e responsabilità politiche nell’Amministrazione uscente. Un lineare principio di “ecologia” politica che dovrebbero condividere quanti in questi anni hanno animato a vario titolo con la loro presenza, piccola e grande, diffusa o confusa, con interventi politici, amministrativi, culturali, ideali la presenza di uno schieramento di opposizione alternativo a Tommaso Minervini-Saverio Tammacco-Partito democratico. Va da sè che chiunque oggi volesse e pensasse di costruire una coalizione alternativa accogliendo un ri-verginato Partito democratico e pezzi sparsi di liste civiche che in questi anni hanno sostenuto Tommaso Minervini perpetuerebbe il danno di questi anni. Meglio non pensare a cosa sarebbe ora se questo schieramento avesse già avuto un candidato sindaco in campo sin da gennaio... una campagna elettorale con il vento in poppa e invece... ci si ritrova ancora agli inizi. Eppure la prospettiva politica per tutte le forze di opposizione è e potrebbe essere esaltante, a patto di mettersi pancia a terra e umilmente a lavoro. La crisi politica, istituzionale e anche economica – su cui ci soffermeremo presto in questa sede – che la città sta vivendo offre la possibilità di costruire un’alternativa che tagli fuori finalmente tanti personaggi detentori di pacchetti di voti che da tempo svolgono una funzione di rappresentanza e intermediazione di interessi particolari, molto particolari. Interessi economici corporativi e “socialmente” deresponsabilizzati che poi pesano sulle scelte amministrative, ipotecano l’economia e lo sviluppo della città, legittimano pratiche al limite della legalità, deturpano il territorio, pregiudicano il libero dibattito nella comunità. Chi oggi vuole impegnarsi per rivoltare come un guanto la città ha questa grande possibilità che è però al contempo una strada difficile e irta di ostacoli. Certo sarebbe molto più facile mettere insieme semplici pacchetti di voti e continuare a garantire il “quieto” vivere, magari benedetto dal presidente di Regione di turno, ma quel “quieto” vivere rappresenta spesso solo un tappeto sotto cui finiscono i rifiuti, un tappeto che poi ogni tanto rischia di essere oggetto di inchieste giudiziarie. Chi se la sente senza “tv, sorrisi e canzoni”? © Riproduzione riservata