Vecchi amici
Il racconto
Un piccolo brivido per questa estate giunta troppo presto e troppo all'improvviso. Un piccolo ammonimento: non scherziamo troppo con l'al di là. Qualcuno potrebbe infastidirsi….
D. A.
C'era un viottolo che partiva alla statale e, addentrandosi nella vegetazione, portava ad un ingresso laterale del cimitero. Un grande cancello non impediva alla vista di spaziare oltre l'alto muro di cinta e gironzolare tra croci e lumi, tombe e cappelle. Il guaio più grosso è che vi erano parecchi viottoli simili che portavano in luoghi tranquilli dove fare l'amore lontano da occhi indiscreti e Mario qualche volta sbagliava.
“Oh, no!” esclamò Diana “Ti prego, portami via di qui.” Nella notte i piccoli lumi brillavano come fuochi fatui e impregnavano l'aria dell'odore di cera bruciata. “Mi avevi promesso di non venirci più.”
Il ragazzo sorrise divertito: “Scusa, ma ho sbagliato strada … si somigliano tutte …”
Diana non disse più nulla. Era visibilmente spaventata. Controllò che i vetri dell'auto fossero ben chiusi, mise la sicura e si sforzò di non guardare oltre il cancello. Il sentiero, molto stretto, era fiancheggiato da due alte siepi e qualche ramo sporgente strisciava contro le fiancate della vettura facendola rabbrividire.
“Non andare vicino al cancello … ti prego …. Per favore.”
Dentro di sé Mario aveva un po' paura, ma doveva andare avanti anche per dimostrare a se stesso che i morti sono morti e basta. “Senti che aria fresca… e che profumo.” Ironizzò abbassando il suo finestrino. Diana però aveva poggiato il capo sul braccio destro e aveva gli occhi serrati. La notte era tranquilla, senza luna e migliaia di stelle butteravano il cielo nero. Il silenzio era tanto intenso che pareva che in quel posto non ci fossero grilli o uccelli o topi campagnoli, poi …
In un primo tempo nessuno dei due capì cosa fosse quello strano rumore. Diana senza alzare il capo aprì gli occhi e girò lo sguardo verso il suo ragazzo. Era come lo sfregare di pietra su pietra, come… come una pesante lastra di marmo che scorre sul supporto. D'un tratto cessò e per un breve attimo il silenzio tornò ad abbracciare la campagna. Poi dei passi, leggeri, decisi. Il sangue gelò nelle vene. I passi erano a volte irregolari a volte accompagnati dal caratteristico rumore dello strascicare sul selciato.
E tutto proveniva dal cimitero.
Il cuore di Mario fece un balzo e prese a battere violentemente.
Diana era bianca come un lenzuolo di prima notte, ma ancora non capiva. Poi la vide. Era una sagoma fluorescente. Sbucò da un viale oltre il cancello, tra le tombe e si diresse verso di loro.
Tutto in essa era indefinibile, assurdo, mostruoso.
Urlò di raccapriccio e il suo urlo non fece in tempo a perdersi nell'aria che una mano scheletrica sbucò dalla siepe e attraversò il finestrino aperto afferrò la gola di Mario. Puzzava in maniera nauseante. Di cadavere. Il ragazzo pensò che il cuore gli si fermasse, Diana con gli occhi dilatati dalla paura non aveva neanche la forza di gridare. Fissava inorridita il braccio che pareva sbucare dal nulla.
Tutto avvenne in un attimo, un attimo che parve un'eternità, un attimo nel quale le unghie affilate come rasoi incisero la carne del collo e fecero sprizzare sangue. Fu l'istinto a salvarlo. Il ragazzo colpì il braccio con un pugno allontanandolo da sé proprio quando il dolore si era fatto lancinante e iniziava a mancargli l'aria.
Con disperazione cercò di avviare il motore mentre Diana urlava come un'ossessa. Ci riuscì al primo tentativo e incurante della mano che cercava ancora di afferrarlo sollevò bruscamente il piede dalla frizione e pigiò a fondo l'acceleratore. Partì di scatto. L'auto balzò in avanti quasi senza controllo. Urtò lateralmente un albero ma non sbandò e con una strettissima inversione a U nell'esiguo spazio innanzi al cancello imboccò lo stretto sentiero a velocità folle. L'ultima cosa che vide al retrovisore fu la mano sporca di sangue e la figura spettrale che superava il cancello aperto. Sbucò sulla statale per sua fortuna deserta quasi su due ruote.
Dal cespuglio venne fuori un uomo alto e magrissimo con la pelle grinzosa che gli delineava le ossa. Con un ciuffo d'erba si pulì le dita dal sangue del ragazzo. Una mano si posò sulla sua spalla. Era stranamente fluorescente. L'uomo si girò di scatto, fissò l'insolito individuo e scoppiò in una fragorosa risata.
“Hanno preso un bello spavento.”
L'altro fece eco alla sua risata e prese a togliersi il macabro costume. “Ci credo… Biondo, hai visto… hai visto che facce.” poi non riuscirono a dire più nulla. Ridevano fino alle lacrime.
L'aria notturna un tantino frizzante risuonò di quelle risa profane e persino qualche fiammella parve disturbata. Infine quello chiamato Biondo farfugliò: “Certo … certo se lo meritavano … erano diventati insopportabili.”
Franco con ancora una gamba nel costume rispose: “Vedrai …. non si faranno … più vivi.”
Entrambi parevano esausti. Ogni tanto venivano scossi da solitari colpi di risa, quasi singhiozzi, infine Biondo disse: “Beh!, è stato uno scherzo magnifico, ma ora devo tornare”.
L'altro annuì e, sfilato del tutto il costume, prese l'amico sotto braccio e insieme rientrarono nel cimitero. “Dovevano essere proprio odiosi.” Commentò distrattamente.
“Certo, non si poteva più stare in pace, sempre con quell'auto tra i piedi, suonava, accendeva i fari, la radio. Finalmente me ne sono liberato.”
E intanto a braccetto procedevano tra le tombe e i fiori del camposanto. Sin dall'infanzia erano stati compagni inseparabili. Avevano avuto lo stesso lavoro, gli stessi passatempi. Avevano persino sposato due sorelle. Seguirono il viale, poi girarono a destra e si fermarono dopo pochi metri presso una tomba la cui lastra di marmo spostata recava una semplice incisione: TOMMASO CECCHI 3/3/1914 – 16/4/1977.
Biondo si girò verso Franco: “Allora ci vediamo un'altra volta. Mi dai una mano.”
L'altro annuì. Batté la mano sulla spalla dell'amico e richiuse la lastra quando questi rientrò nella tomba.
Mormorò: “Ora riposa davvero in pace.” E tornò sui suoi passi.
Erano stati amici inseparabili.
Neanche la morte li aveva divisi.
Donato Altomare
I racconti di Donato Altomare sono reperibili presso la libreria Corto Maltese a Molfetta in via M. di Savoia 106.