Volendo analizzare il risultato elettorale nelle ultime consultazioni politiche del 4 marzo a Molfetta e nei collegi di Camera e Senato in cui la nostra città è stata inserita, non possiamo che cominciare dall’inizio, dalle candidature schierate in campo e dalle esclusioni che non hanno lesinato sorprese, anche clamorose, colpi di scena dell’ultimo minuto, trame oscure e misteri mai svelati, che hanno lasciato spazio solo a supposizioni, pettegolezzi, veleni e si dice. Le prime sorprese arrivano proprio dal Movimento 5 Stelle, la forza politica che avrebbe poi stravinto le elezioni con risultati clamorosi: 11.410 voti alla lista (41,84%) alla Camera, 10.470 voti alla lista (42,53%) al Senato. Come certo sapete, le candidature del M5S, almeno per il proporzionale, sono state decise con le Parlamentarie, ovvero le primarie in cui gli iscritti al Movimento potevano votare sulla piattaforma online Rousseau, gestita dalla società di Davide Casaleggio, quelli che si erano autocandidati. L’art. 6 del Regolamento per la selezione dei candidati del Movimento 5 Stelle alle elezioni politiche del 4 marzo 2018 prevedeva le condizioni per candidarsi, niente di particolarmente rilevante e infatti per candidarsi si chiede semplicemente di inviare il certificato penale e quello dei carichi pendenti, ma l’art. 7 dice che “il Capo Politico [Luigi Di Maio], sentito il Garante [Beppe Grillo], ha facoltà di valutare la compatibilità della candidatura con i valori e le politiche del MoVimento 5 Stelle, esprimendo l’eventuale parere vincolante negativo sull’opportunità di accettazione della candidatura”. Ed è quello che succede a Molfetta. Due esponenti del gruppo storico dei grillini locali, Arnaldo Gambardella e Carmela Allegretta, si autocandidano ma hanno la sgradita sorpresa di vedersi esclusi senza alcuna spiegazione. Sembra ripetersi quello che era successo alle amministrative, quando i violenti contrasti tra i due gruppi di militanti molfettesi aveva prodotto come risultato l’assenza del M5S dalle elezioni. Invece no: gli autocandidati del meetup Attivisti Uniti partecipano alle Parlamentarie, anche se nessuno di loro riuscirà a essere candidato alle elezioni vere. Chi probabilmente si starà mordendo le mani, perché ha sfiorato l’obiettivo, è Alfonso Scioscia che raccoglie 91 voti risultando terzo ma deve lasciare il posto a 2 donne che lo seguono in graduatoria per effetto delle “quote rosa”. Gli tocca il premio di consolazione di essere collocato come primo dei supplenti, ma non gli serve a niente. Anche tra i 5 Stelle le divisioni si pagano care: nessun candidato molfettese né all’uninominale né nel listino del proporzionale. La seconda grande sorpresa ha davvero del clamoroso: il senatore Antonio Azzollini dopo cinque legislature non viene ricandidato da Forza Italia, che gli preferisce la consigliera comunale Carmela Minuto. Stando alle interviste da lui rilasciate, nessuno si sarebbe preso nemmeno la briga di chiamarlo e di spiegargli i motivi dell’esclusione. Le cronache concitate dei giorni che precedono la presentazione delle liste sono piene di voci, pettegolezzi e si dice dei bene informati. Persino il quotidiano “Repubblica” il 31 gennaio dà una sua interpretazione: “In Forza Italia fa la sua comparsa Carmela Minuto, candidata nel collegio uninominale di Altamura. La Minuto è consigliera comunale a Molfetta, con un consenso personale non da poco nel paese a nord di Bari. Ma è anche la fidanzata di Davide Bellomo, avvocato, esponente di punta dei fittiani baresi. Non è un caso se è riuscita a vincere la concorrenza di un molfettese di peso come il senatore Antonio Azzollini”. C’è chi alla ricerca delle cause dell’esclusione ricorda la cronica mobilità politica del senatore che lo ha portato nella XVII legislatura a lasciare Forza Italia e Berlusconi per seguire Alfano e Schifani nel Nuovo Centro Destra e nel sostegno ai governi del PD di Letta e Renzi, salvo ritornare all’ovile quando ha annusato la brutta aria che tirava. Evidentemente c’è chi non ha perdonato il tradimento, anche se il sen. Schifani è riuscito a mantenere la poltrona. Oppure potrebbero aver avuto il loro peso le disavventure giudiziarie che lo vedono coinvolto in due grossi processi – quello per il Nuovo Grande Porto di Molfetta e quello sul fallimento della Casa di Cura “Divina Provvidenza”, nel cui ambito era stata anche richiesta al Senato l’autorizzazione all’arresto, negata con voto segreto e grande scandalo il 29 luglio 2015 con il voto determinante del PD. Ma molto probabilmente decisiva è stata la perdita di peso politico in città, resa evidente dai risultati assai deludenti delle ultime elezioni amministrative che hanno visto soccombere la candidata sindaco da lui scelta, l’avv. Isabella De Bari, soprattutto a causa dei numerosi abbandoni del suo entourage, da Ninni Camporeale a Mariano Caputo, da Pietro Mastropasqua a Pasquale Mancini, Saverio Tammacco e tanti altri. Proprio Saverio Tammacco è il protagonista di un altro inspiegabile giallo a poche ore dalla presentazione delle liste. Tutti gli organi di stampa, locali e non, danno per certa la sua candidatura nell’uninominale al Senato e nessuno si meraviglia che un personaggio che ha a lungo militato nel centro-destra, a fianco del senatore Azzollini, sia ora un esponente di punta del centrosinistra; la storia più recente degli ultimi anni lo ha visto infatti sostenitore con un congruo pacchetto di voti del presidente Emiliano, che lo ha ricompensato concedendogli la vicepresidenza di Puglia Sviluppo, e ispiratore e sostenitore dell’ormai famoso “ciambotto”, l’accrocco di liste civiche pieno di transfughi che hanno abbandonato la corazzata del senatore prima del naufragio, che ha portato all’elezione del sindaco Tommaso Minervini. Ma la strana alleanza tra un PD sempre strettamente controllato dall’ex segretario Piero De Nicolo, divenuto ormai stretto collaboratore del presidente Emiliano, e rimpolpato dai consistenti consensi del presidente del Consiglio comunale Nicola Piergiovanni, che troverà posto solo come terzo nel listino proporzionale, destinato a fare da portatore d’acqua, come i gregari nelle gare di ciclismo, da un lato, e il resto della coalizione, teoricamente solidale con Tammacco, che sostiene il sindaco Tommaso Minervini, comincia a dare segnali preoccupanti di instabilità, sinistri scricchiolii di cedimento. All’improvviso il nome ormai certo di Tammacco scompare e come per un gioco di prestigio di un abile manovratore dietro le quinte spunta quello di Loredana Lezoche, imprenditrice di successo (Globeco, Mister Chef), già presidente della Associazione degli imprenditori molfettese, nonché promotrice della tappa molfettese del Giro d’Italia dello scorso anno. Le ipotesi per spiegare l’improvviso colpo di scena sono due: la prima è che Tammacco, da molti dipinto come abile e scaltro navigatore delle agitate acque della politica, un “furbacchione”, abbia fiutato l’imminente disastro elettorale del PD e si sia sfilato all’ultimo momento; la seconda invece rimanda a manovre orchestrate dall’avv. De Nicolo, forse insoddisfatto per la nomina a sub commissario dell’Agenzia Territoriale della Regione Puglia per la gestione dei rifiuti, insofferente per una ulteriore ascesa di quello che ormai potrebbe diventare un suo temibile competitor. In questo secondo caso la composita compagine che sostiene il sindaco Minervini potrebbe cominciare a dare segnali di scollamento, mostrando pericolose crepe, fratture crescenti che non promettono niente di buono. Altra sorpresa, anche se meno clamorosa: l’ex sindaco Paola Natalicchio, componente della segreteria nazionale di Sinistra Italiana e responsabile del dipartimento Ambiente e territorio, non ha trovato posto nelle liste di Liberi e Uguali né a Molfetta né altrove, e la cosa stupisce se si pensa che una donna come lei che aveva scaldato le platee nazionali è merce abbastanza rara di questi tempi; stupisce meno la sua esclusione se si pensa ai suoi attacchi duri ed espliciti a D’Alema e agli esponenti della vecchia guardia che hanno appesantito la scialuppa di LeU, appannandone l’immagine di forza politica nuova e alternativa. A meno che non abbia scelto lei di sedersi sulla riva del fiume ad aspettare tempi migliori, se mai arriveranno. Non avendo la campagna elettorale dato segnali degni di nota, se si esclude l’incursione da sceneggiata napoletana di Carmela Minuto a una manifestazione di piazza del M5S, conviene passare all’analisi dei risultati. Non possiamo che partire dal risultato clamoroso raccolto dal Movimento 5 Stelle a Molfetta, come in Puglia (conquistati tutti i 24 collegi di Camera e Senato), come nel resto del Mezzogiorno e in quasi tutta l’Italia. Ho letto un post su Facebook di un militante di base del M5S che si vantava del fatto che avessero speso a Molfetta solo 199 euro per la campagna elettorale. Secondo me avrebbero potuto tranquillamente risparmiarli quei soldi, così come credo che nessuna influenza abbiano avuto le liti tra i due meetup e il disimpegno del gruppo storico dei grillini locali, le manifestazioni un po’ naif, l’endorsement vero o presunto del sen. Azzollini alla candidata al Senato dei 5 Stelle. Semplicemente la valanga carica di rabbia ma anche di bisogni e di speranze giorno dopo giorno è cresciuta e ha travolto tutto, senza guardare nello specifico né i programmi né i candidati, né la campagna elettorale. Del resto una conferma inequivocabile ci viene dall’elezione di Andrea Cecconi a Pesaro, uno dei parlamentari uscenti del Movimento 5 Stelle espulso perché durante la campagna elettorale aveva ammesso di aver falsificato i rimborsi di parte del suo stipendio che dichiarava di versare ogni mese a un fondo per il microcredito; per questo aveva smesso di fare campagna elettorale e aveva annunciato di voler concludere la sua carriera politica e dimettersi non appena fosse stato eletto. Malgrado tutto è stato eletto relegando il ministro dell’Interno Minniti a un mortificante terzo posto. Una cosa simile è successa in Sicilia a un grillino ricoverato in ospedale dopo il primo comizio in piazza e che non aveva potuto fare campagna elettorale. Insomma chiunque fosse stato candidato nelle liste del M5S sarebbe stato eletto con percentuali da paura come quelle raccolte a Molfetta: 11.097 voti pari al 42,47% nell’uninominale Senato, 12.100 voti pari al 42,11% nell’uninominale Camera a Molfetta, 112.732 voti (45,97%) al Senato e 54.369 voti (43,74%) nei rispettivi collegi. Per trovare percentuali simili nelle elezioni politiche a Molfetta bisogna risalire al 2001 quando il sen Azzollini viene rieletto con il 45,7% dei voti, contrapposto all’ex sindaco Guglielmo Minervini, allora candidato dell’Ulivo. Dicevamo, chiunque sarebbe stato eletto. Per fortuna a Molfetta siamo stati fortunati, perché entrambe le candidate presentano dei bei curriculum: Bruna Angela Piarulli, candidata al Senato, è la direttrice del carcere di Trani con un nutrito curriculum di studi e professionale; Francesca Galizia dottore di ricerca in Demografia ed economia delle grandi aree geografiche, assegnista di ricerca in Sociologia dell’ambiente e del territorio presso la Facoltà di Scienze politiche dell’Università di Catania, con numerose esperienze di lavoro in Italia e all’estero, e infine assistente di volo con la compagnia low-cost Ryanair. Doppiamente fortunati, perché se guardiamo ai risultati delle Parlamentarie le neo parlamentari grilline sembravano non avere speranze: Galizia è arrivata solo nona con 53 preferenze ed è stata collocata come quarta dei potenziali supplenti; Piarulli addirittura trentottesima con appena 15 preferenze. Rimangono misteriosi i criteri con cui sono state scelte. Secondo il Regolamento per la selezione dei candidati del Movimento 5 stelle modificato e integrato dal Comitato di Garanzia il 13 gennaio, il Capo Politico Luigi Di Maio e il Garante Beppe Grillo erano gli unici che avevano la facoltà di scegliere i candidati all’uninominale. Una regola verticistica abbastanza incoerente con tutte le polemiche fatte con gli altri partiti sui parlamentari “nominati” dall’alto senza partecipazione democratica. Ma tanto gli elettori non sapevano, e se sapevano condividevano, e se non condividevano se ne fregavano. Dice Di Maio che questa è la Terza Repubblica, la Repubblica dei Cittadini. Davvero? Deludente invece il risultato dei candidati del centro-destra: all’uninominale Camera Luigi Perrone raccoglie 7.066 voti (24,59%) a Molfetta, 35.840 voti (28,83%) nel collegio; Carmela Minuto 6.755 voti (25,85%) a Molfetta, 77.113 voti (31,44%) nel collegio. Sarà proprio Carmela Minuto a regalarci un succulento siparietto nel dopo elezioni: bocciata nell’uninominale dalla travolgente performance dei 5 Stelle, pensa di potersi rifare nel listino proporzionale, dove è collocata al terzo posto; con eccessiva precipitazione annuncia di essere stata eletta, brinda alla vittoria, rilascia dichiarazioni roboanti accompagnate dalla ola di quasi tutti i media locali (“Molfetta ha ancora il suo senatore!”), salvo poi rimanere vittima degli arzigogolati meccanismi di calcolo del Rosatellum, che la lasciano a terra. Ora sembra voglia fare ricorso e chiedere il riconteggio; è difficile digerire una sconfitta del genere, soprattutto quando si pensa di aver raggiunto il traguardo e poi si scopre di aver perso al fotofinish. Anche le dichiarazioni post voto suscitano perplessità: “Risultato eccezionale, malgrado Azzollini. A Molfetta il partito di Forza Italia si è attestato attorno al 20% e alle scorse amministrative ha incassato un 13%”dichiara con soddisfazione”. Nasconde invece l’unico confronto che abbia un senso: nelle elezioni politiche del 2013 la coalizione di centro-destra a Molfetta raccolse 9.525 voti (34,06%) e il Popolo della libertà 8.923 (31,91%) questa volta Forza Italia 4.845 voti (19,68%). Con la sua candidatura il partito del sempiterno Berlusconi a Molfetta ha dimezzato i voti. Se guardiamo i risultati delle altre forze della coalizione di centro-destra sconcerto e incredulità suscita il risultato della Lega di Salvini che passa dai 15 voti (0,05%) al Senato e 14 (0,05%) alla Camera del 2013 agli attuali 1.028 voti (4,17%) al Senato e 1.135 voti (4,16%) alla Camera. Senza parole. Meno clamoroso anche se in forte crescita (raddoppiano voti e percentuali) il risultato di Fratelli d’Italia: Camera 647 (2,37) nel 2018, 323 (1,05%) nel 2013; Senato rispettivamente 491 (1,99%) e 283 (1,01%). Analizzare il risultato del Partito Democratico è meno semplice per diversi motivi: rispetto alle precedenti elezioni politiche del 2013, il quadro è molto cambiato per i cambi di casacca, hanno traslocato nel PD o nella sua area di riferimento personaggi del calibro di Nicola Piergiovanni e Tommaso Minervini con relativi entourage e pacchetti di voti provenienti da SEL, che aveva nel 2013 ben 3.268 voti (10,58%) alla Camera e 3.160 (11,30%) al Senato. Di quei voti ne sono rimasti ben pochi in Liberi e Uguali – 1.193 (4,37%) alla Camera, 907 (3,68%) al Senato – e anche il contributo di voti dei fuorusciti dal PD sembra essere stato poco più che simbolico. Più difficile da calcolare l’apporto dei transfughi del centro-destra, ma il dato di riferimento in qualche modo dovrebbero essere i 15.154 voti pari al 45,72% raccolti da Tommaso Minervini al primo turno. Invece Loredana Lezoche al Senato raccoglie 5.813 voti (22,25%), mentre Francesco Spina alla Camera 6.750 voti (23,49%). Risultato deludente? Certo, ma c’è chi si consola pensando che c’è chi fa peggio: nel collegio alla Camera la percentuale del PD è 19,56, in provincia di Bari 13,70, in Puglia 13,67. Un disastro, di gran lunga peggiore del risultato nazionale. Eppure il presidente Emiliano sembra non essersene accorto, continuando a oscillare tra gli acquisti di personaggi provenienti dalle fila della destra come Spina e Tammacco e le strizzatine d’occhio ai 5 Stelle. Per chiudere non rimane che gettare uno sguardo a sinistra: della débâcle di Liberi e Uguali abbiamo già detto. Della gloriosa primavera che portò all’elezione di Paola Natalicchio a sindaco non rimane più nulla, solo macerie. Alla desertificazione della sinistra si oppone in qualche modo solo la “riserva indiana” di Rifondazione, che questa volta ha dato vita a una esperienza nuova: Potere al Popolo, una lista che accanto alla “vecchia” Rifondazione comunista schierava centri sociali ed esperienze di movimento. A livello nazionale e nella nostra regione l’esperimento sembra fallito: in Italia 1,13%, in Puglia 0,97%. Destinati all’irrilevanza. Ma a Molfetta le cose sono andate diversamente. Al Senato la candidatura del segretario di RC, Beppe Zanna, raccoglie 1.053 voti (4,03%) superando addirittura Liberi e Uguali. Una percentuale di tutto rispetto, addirittura la seconda in tutta Italia. Alla Camera però il volto fresco e pulito di Teresa Racanati, proveniente dalle esperienze di cittadinanza attiva, non sempre apprezzate dal partito RC, invece che rappresentare un plus, un arricchimento, non solo raccoglie meno consensi che al Senato – 1.018 voti pari al 3,73% – ma addirittura meno dei voti della Rivoluzione civile di Ingroia che nel 2013 prese 1.143 voti (3,70%). Strano. Ma di cose strane in queste elezioni ne abbiamo viste davvero tante, forse troppe. © Riproduzione riservata