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Una lettrice di Quindici : ladri in casa. Ora vivo nel terrore
23 marzo 2009

MOLFETTA - Pubblichiamo l'amaro sfogo di una lettrice, che racconta di aver subito recentemente un furto nella propria abitazione, e di come stia vivendo con apprensione i giorni successivi alla effrazione, con una problematica emotiva non solo legata al furto in sè, ma anche alla violazione della intimità del proprio focolare. Racconta dell'impotenza delle forze dell'ordine. Si chiede con amarezza cosa resta da fare, se vale ancora la pena investire e credere in questa città. "Mi rivolgo con fiducia alla sua testata giornalistica che nel tempo ha sempre dimostrato grande sensibilità nell'ascoltare la voce, e talvolta un vero e proprio grido, dei cittadini che non sanno come chiedere aiuto alle pubbliche istituzioni e restano quasi sempre inascoltati. Premesso che la mia mail non ha nessun intento polemico nei confronti del “sistema” che inesorabilmente ci gira intorno, bensì vuole essere uno sfogo per quello che ci si trova a subire quotidianamente da un po' di tempo a questa parte ed uno spunto per una ulteriore riflessione. Sono altresì tristemente certa che molti altri lettori si trovino nella mia stessa barca e condivideranno le mie parole amare. Sono una cittadina che da qualche tempo risiede nella zona nuova di Molfetta, in un condominio ubicato per di più in una zona particolarmente trafficata e nevralgica della città. Qualche giorno fa ho vissuto l'esperienza di aver subito un furto nel mio appartamento, furto che è seguito ad uno avvenuto nel box un paio di mesi fa. Dopo l'ennesimo sopruso subito dai soliti ignoti, non nascondo di star vivendo un periodo particolarmente critico dal punto di vista emotivo, e mentre scrivo sono letteralmente barricata in casa, con tapparelle abbassate e luci accese, stando attenti ad ogni minimo rumore che ci appare strano. Attendiamo di migliorare i nostri sistemi di allarme, ma nel frattempo, ogni volta che mi reco a lavoro, rientro col terrore di trovare la casa nuovamente invasa, e questo non è affatto normale, a mio parere. Quando le forze dell'ordine sono venute a constatare la violazione di domicilio avvenuta, pur essendosi rammaricati con noi dell'avvenuto, hanno dichiarato espressamente che il loro, loro malgrado, si è ridotto in questi casi a un semplice lavoro di constatazione, perché la giustizia è estremamente clemente con queste persone (e chiamarle così è un eufemismo), e soprattutto perché si tratta di gente che non si fa alcun tipo di problema sul “come” e sul “dove” commettere questi reati, forti della loro preparazione fisica in merito, e soprattutto certi del non intervento di chi dovesse essere testimone oculare di una cosa simile. Allora, a questo punto ,io mi chiedo cosa ci resti da fare. Dobbiamo forse andare via da questa città, lasciandola in balìa di predoni e vandali? Dobbiamo organizzarci noi cittadini in ronde di quartiere, per limitare questo scempio che quotidianamente avviene a sempre più persone? O forse dobbiamo restare in casa in attesa dell'assalto? Io, che ho sempre creduto nella giustizia, che ho sempre ammirato le forze dell'ordine come istituzione, ora inizio a ragionare “alla padana”, e mi rendo conto che, quello che fino a poco tempo fa vedevo che accadeva nel nord italia da parte dei cittadini, e mi faceva indignare, ora ai miei occhi diventa comprensibile e condivisibile, perché non è giusto che la gente che fa tanti sacrifici per una casa nuova e diginitosa debba vivere ogni minuto col terrore di trovarsi gente in casa".
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Bella domanda sig.Mariella N.. Ma in quale città viviamo, in quali città viviamo? Di fronte al caos e alla fatica, nella spersonalizzazione dei non luoghi, ci domandiamo se sia possibile ripensare la città, nuovamente come luogo, come rifugio, come spazio riconoscibile, familiare, habitat identitario, ma non chiuso. In un tempo definito dai sociologi del rischio, delle incertezze, della paura, un tempo in cui adulti incerti e sradicati, individualisti e timorosi, disintegrati nel proprio io ed orfani delle ideologie, incapaci di scorgere la forza, il bisogno di soggettività degli adolescenti, sospinti indietro dal prevalente sentimento di paura, non si avvedono che i ragazzi, i giovani sono anch'essi totalmente immersi in una sorta di presente a-storico, schiacciati dall'impossibilità di progettare il futuro in termini esistenziali, sociali, politici. Giovani che, persino nelle passioni più belle, negli slanci di altruismo, nell'amicizia, nell'amore, nella solidarietà, nel volontariato o nella difesa dei diritti, propri e altrui, involvono nell'individualismo, cercano conferme della propria esistenza, della significatività del proprio esserci, si accontentano di gratificazioni minimali, sono disposti a cedere la propria dignità pur di mantenere in vita una qualche relazione che ne sostenga l'autostima; non riescono a persistere in maniera duratura, disperdono la motivazione, cercano e si disperdono in mille rivoli, nuovi e molteplici, alla ricerca disperata di sensazioni nuove, appaganti, intense. Se la città possa essere faticosamente trasformata in un luogo emotivamente caldo, accogliente, gratificante. Diverse, aperte, ibridate al confronto, dal dialogo, da una mescolanza felice e nuova di tratti culturali, religiosi, linguistici. Come la città seppe essere in altri tempi, attirando, aggregando, diventando crogiuolo di incontri di progresso, di cultura, di pensiero ed emozioni vitali. La città così come è diventata - prevalentemente, oggi -, luogo delle discriminazioni e dello sfruttamento, della separazione e della segregazione, della marginalità di gruppi e di culture, della solitudine e dell'abbandono, luoghi dei non luoghi. La nostra città e le nostre città devono poter diventare comunità di comunità, dove poter essere felici insieme, e non essere felici in pochi a discapito degli altri. Necessita una progettualità politica nuova centrata sui bisogni e non sui divertimenti, a cominciare dai più deboli, a partire dagli spazi urbani che tenga conto delle forme e dei tempi di vita. Il benessere psichico che scaturisce dal vivere in perfetta armonia con il proprio habitat; quindi scuole colorate, gioiose, stimolanti, veri luoghi formativi e di crescita, con insegnanti motivati e capaci di ascoltare e sostenere nella crescita; ospedali in cui la supertecnologia si associ a possibilità di dialogo e di ascolto; luoghi di svago per adulti e bambini, chiese che, pur riflettendo architettonicamente la cultura dei nostri tempi, aiutino a ritrovare quella spiritualità perduta in questi anni di sfrenato e incorreggibile materialità. Siamo capaci ancora di farlo? La risposta nell'impegno umano, sociale, politico, culturale delle donne e degli uomini che, nonostante tutto, ci credono.

Questo fenomeno, spesso definito microcriminalità, è invece da considerare fra i peggiori reati che colpiscono la popolazione, depredare persone anziane e tranquilli cittadini non è solo derubarli dei loro averi ma significa rapinarli della loro libertà e sicurezza. Potrebbe essere una bufala, ma la diffusione della notizia potrebbe essere motivo di discussione e di attenzione. Li chiamano pomposamente "i graffiti dei topi" (per intendere i topi d'appartamento) oppure "i geroglifici del furto" Più semplicemente si tratta dell'"alfabeto dei ladri". Una dozzina di anni fa il primo campanello d'allarme squillò a Roma. Accanto ai citofoni di tutti i palazzi di una strada frequentata, portieri e inquilini preoccupati lessero segni misteriosi: un cerchio con dentro quattro cerchietti, un altro cerchio con una grande X al centro; tre barre una delle quali più lunga, nel solito cerchio. Parvero subito di difficile interpretazioni. La polizia, consultata dagli abitanti del quartiere, non fu in grado di confermare il sospetto che i pittogrammi fossere delle vere e proprie informazioni trasmesse dai basisti ai loro complici mariuoli. Ad accrescere le apprensioni, circolarono anche le interpretazioni di quei segni: la grande X significava una casa ricca,, i quattro cerchietti nel cerchio maggiore una casa più che ricca e piena di cose da rubare; le tre barre invece una casa già visitata da ladri colleghi. La M sta per mattino e la N sta per notte, la D maiuscola per suggerire il colpo di domenica. Una X chiusa in un cerchio dentro un cerchi più grande sta per "non interessante". Questi graffiti hanno fatto la loro apparizione in altre città come Napoli, Genova, Milano e Torino. C'è chi suppone anche un'altra cosa, che si tratti di avvertenze criptate per i truffatori, i falsi poliziotti, i falsi funzionari delle poste, i falsi operai del gas o dell'Enel, i falsi assistenti sociali, i quali bussano alla porta degli anziani che vivono soli per derubarli. Prestiamo la massima attenzione e chiamiamo sempre il 112 o il 113, quando non siamo sicuri o dubitiamo di chi ci chiede di entrare in casa.

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