Sono conosciuti come i “favolosi anni Ottanta”, un’etichetta figlia del tempo, perché il decennio successivo si farà carico di smentire con i fatti (crisi economica, Tangentopoli, ecc.,) una definizione che più effimera non poteva essere. Il debito che quegli anni ci hanno lasciato, è stato pagato dagli italiani con grandi sacrifici per poter restare in Europa ed entrare nell’Euro, superando una pesante crisi economica mascherata da un “craxismo rampante” e da un “edonismo reaganiano” frutto di un’euforia collettiva che aveva creato l’illusione di un benessere diffuso e senza limiti, grazie a un’inflazione che galoppava a due cifre e che porterà il debito pubblico alla spaventosa cifra di due milioni di miliardi.
“La storia insegna, ma non ha scolari” diceva Cicerone e rileggendo le pagine del 6° volume di Nicola Mascellaro “Una finestra sulla storia: 1981-1990” (Edizioni Edisud 2001, pag. 503, £. 50.000) si ha la sensazione non solo dei vichiani corsi e ricorsi storici, ma anche della memoria corta degli italiani, della loro fede periodica nei miracoli, negli “uomini della provvidenza” si chiamino ieri Craxi e oggi Berlusconi: il primo proprio chiamato in quegli anni alla guida del governo, il secondo che forse già da allora preparava la sua ascesa al soglio governativo comprando tv e cominciando a costruire, anche con l’aiuto del primo, il suo impero mediatico.
La “finestra” di Mascellaro è un punto di osservazione privilegiato, come può essere quello del più grande quotidiano pugliese “La Gazzetta del Mezzogiorno” e l’autore, sfogliando le pagine del giornale, racconta la storia dell’Italia “drogata” dell’universo craxiano, dei “nani e ballerine” bollati da Formica, una storia che si intreccia con quella della Puglia e della stessa “Gazzetta”, le cui vicende interne sono sapientemente incastonate in quelle del Paese.
Mascellaro, per anni responsabile dell’Archivio della Gazzetta, con certosina pazienza sta ricostruendo, dal 1887 anno di fondazione del giornale, la storia dell’ultimo secolo, raccontandola con le parole dei giornalisti del quotidiano barese, legando fra loro con grande maestria avvenimenti nazionali e locali, ma soprattutto riuscendo a far respirare al lettore l’aria, il clima di quegli anni. Certo, raccontare la storia contemporanea, con i protagonisti ancora in vita è più difficile che farlo con il metro dello storico. Ma l’autore non ha la pretesa di giudicare, ci accompagna nel corso di quel “favoloso” decennio, risvegliando nella nostra memoria sopita fatti e avvenimenti che, riletti a distanza di 10 o 20 anni, assumono un sapore diverso e talvolta un taglio premonitore.
Sono gli anni della finanza allegra, della “grande abbuffata”, come la definisce lo stesso autore, in cui “squali famelici” (Michele Sindona, Licio Gelli e Roberto Calvi) depredano l’economia, mentre “mariuoli” minori di craxiana memoria, danno vita a quella corruzione dilagante che sfocerà in Tangentopoli. Passati gli anni di piombo, è il decennio in cui si rafforza la criminalità organizzata e dagli omicidi politici si passa alle bombe fasciste per arrivare, infine, ai delitti di mafia da quello del generale Dalla Chiesa nell’82 in un crescendo continuo fino a quelli di Falcone e Borsellino dieci anni dopo. Sono gli anni dell’invasione della Polonia, dello strappo di Berlinguer da Mosca e della successiva scomparsa dell’ultimo leader del Pci, della disdetta della scala mobile, dell’attentato al Papa, della conquista della coppa del mondo di calcio da parte dell’Italia nell’82 e della caduta del muro di Berlino nell’89.
Anche la nostra città fa capolino nel libro in due circostanze. La prima riguarda l’arresto (il 19 ottobre dell’84) del consigliere provinciale del Psi, il molfettese Pantaleo Squeo, insieme al consigliere Dc, Filippo Ferrante, a due impiegati e un imprenditore edile su ordine del giudice Giovanni Leonardi che ipotizza la riscossione di tangenti, confermate dagli imprenditori edili, per la realizzazione di 11 complessi scolastici in provincia di Bari e nello stesso capoluogo, per le quali verranno arrestati anche il presidente della Provincia, Gianvito Mastroleo e l’impiegato provinciale e faccendiere Paolo Bellomo. La commessa, secondo l’accusa, ebbe un costo di oltre 100 miliardi dell’epoca e le tangenti sarebbero oscillate tra il 5 e il 10%. Poi la vicenda si sgonfiò in parte nei mesi e negli anni successivi tra proscioglimenti e assoluzioni in gradi successivi di giudizio, ma all’epoca ebbe grande risonanza e suscitò scalpore anche a Molfetta.
L’altro riferimento, nel 1983, riguarda la vicenda della P2 di Licio Gelli e il coinvolgimento di Beniamino Finocchiaro, il cui nome fu trovato tra i presunti affiliati alla loggia massonica, un passo che riportiamo testualmente (il lettore ci perdonerà l’autocitazione: il nome di chi scrive è presente nel testo di Mascellaro).
“Fino alla pubblicazione degli elenchi di presunti affiliati alla loggia massonica P2, Beniamino Finocchiaro, è, per Molfetta, il Sindaco simbolo della città che guida da quasi sei anni. Ricco di grande esperienza politica – è stato il primo presidente dell’Assemblea regionale pugliese e presidente della Rai – dotato di vasta cultura, rispettato e onorato perfino dall’opposizione, che per anni è stata la Dc, gli stessi socialisti di Molfetta si identificano in Finocchiaro. Il Partito è lui, che non è legato né alla ‘sinistra’ di Signorile né tanto meno ai craxiani. In altre parole, fino a quello sciagurato giorno in cui il suo nome apparve fra gli affiliati alla P2, la stessa città di Molfetta s’identificava in Finocchiaro. Ma a partire dal maggio del 1981 la vita di Finocchiaro è divenuta un tormento. Tutto s’è incrinato e il buon Beniamino ha cominciato a perdere una buona parte di prestigio e serenità personale, s’appanna il suo carisma, perde pezzi del suo partito e alleati di Giunta, che ricostruisce con l’opposizione Dc, ma neppure con il centro sinistra le polemiche si attenuano. Il Pci accusa la nuova giunta di lottizzazione selvaggia, di eccessiva arroganza e di esasperante personalismo. In breve tempo Finocchiaro passa da Sindaco illuminato a ‘Fattore F’, come lo definisce il corrispondente della Gazzetta a Molfetta, Felice de Sanctis, indicandolo, in pratica, come unico responsabile di una Giunta infelice. Quando alla fine Finocchiaro si dimette, il sospiro di sollievo dell’intero consiglio comunale di Molfetta si sente fino a Bari. Tuttavia le dimissioni di Finocchiaro non serviranno a compattare un nuovo centrosinistra. A Molfetta prima arriva il Commissario e poi, a novembre, si andrà alle elezioni comunali anticipate”. Finocchiaro continuerà a respingere l’etichetta di “piduista”, giurando e spergiurando di non aver mai appartenuto all’infame loggia massonica.
Questa la cronaca storica raccontata da Mascellaro, attraverso le pagine della “Gazzetta”, sarà poi la Storia a giudicare questi anni, attribuendo responsabilità e meriti ai protagonisti di una stagione della vita politica e sociale dell’Italia in un decennio che ha visto l’epilogo di un grande fenomeno, quello del comunismo, che col crollo del muro di Berlino, ha sepolto definitivamente un’epoca e ha aperto un nuovo secolo i cui contorni ci appaiono ancora poco chiari, nella fase di transizione che stiamo vivendo.
Felice de Sanctis