Un segno dei tempi
Errore umano o colpevole inerzia? E’ sicuramente un segno del tempo o dei tempi. La caduta di uno dei due leoni della facciata posteriore del Duomo di Molfetta (per fortuna, non quello medievale, ma la statua rifatta nel 1943, anche se anche questa ha un suo pregio) e quei miseri frammenti rimasti per terra sono un colpo al cuore per i molfettesi. Il Duomo (qui accanto nella bella immagine ripresa dal basso da Mauro Germinario), infatti, è il simbolo di Molfetta, la skyline della città, il monumento che i marittimi portano nel cuore e gli immigrati nei loro occhi pieni di ricordi e di nostalgia. Gli antichi, amanti di simbologie e presagi, avrebbero letto in questo evento nefasto, la rabbia degli dei. Noi moderni e non superstiziosi leggiamo, invece, l’incuria e il ritardo nella cura del nostro patrimonio culturale. E non si venga a giustificarsi con la solita mancanza di fondi: quando si vuole, si riesce a trovarli. Salvaguardare un’opera come il Duomo, sopravvissuto per secoli alle intemperie e alla furia del mare e del vento per la sua location particolare, ma anch’essa simbolica, doveva essere un imperativo categorico, anche da parte dell’amministrazione comunale. Non si può lasciare solo alla Diocesi il compito di difendere le chiese. Ecco perché parlare di colpevole incuria non ci sembra fuori posto. L’errore umano, invece, va accertato con una seria inchiesta, senza limitarsi a giustificazioni che sfiorano il ridicolo. Affermare, come hanno fatto in un comunicato congiunto la Curia, il sindaco e la soprintendenza ai beni archeologici della Puglia, che tra le cause, oltre al vento, ci sia una scossa di terremoto di appena 3.6 di magnitudo con epicentro nell’area garganica che non ha provocato danni lievi nemmeno a Manfredonia, ci sembra assolutamente fuori posto e non all’altezza delle figure rappresentative di queste istituzioni. La fretta (anche se il comunicato è stato diramato con ritardo) e la necessità di individuare una causa dell’episodio, non giustificano una spiegazione così grossolana. Abbiamo cercato più volte di contattare il soprintendente Luigi La Rocca, ma lui si è sempre sottratto ad un confronto anche telefonico, accampando giustificazioni poco credibili di mancanza di tempo. Come interpretare questo comportamento? Una fuga dalle proprie responsabilità? l’imbarazzo nel dover motivare la grossolana giustificazione del terremoto, avvallata solo da una famiglia abitante in zona che avrebbe avvertito la scossa? Lasciamo ai lettori la valutazione del rifiuto di affrontare un giornalista. Come mai il sindaco di Molfetta, Tommaso Minervini, abituato alle convocazioni ad horas dei giornalisti, quasi che fosse lui il direttore plenipotenziario dei giornali locali, non ha promosso una conferenza stampa urgente su un episodio ben più grave di quelli che comunica frequentemente? Anch’egli non sapeva cosa dire? Perché non è stata avviata un’inchiesta su eventuali responsabilità dell’impresa che sta eseguendo i lavori o su presunte incurie o ritardi di chi doveva accelerare gli interventi di consolidamento, considerata la precaria situazione del monumento? Sono tutti interrogativi che probabilmente resteranno senza risposta, ma che la stampa responsabile deve porsi, anche a nome dell’opinione pubblica che rappresenta. “Quindici” lo fa anche per tener fede al suo motto “Quello che gli altri non dicono” o alle domande che non fanno. Noi le facciamo, perché fare domande, soprattutto scomode, fa parte del nostro mestiere: non ci contentiamo di ricevere un comunicato stampa, preferiamo andare a fondo, così ha senso una rivista mensile di approfondimento delle notizie che già offriamo ai lettori attraverso il nostro quotidiano on line. Ma l’episodio ci offre l’occasione di parlare del segno dei tempi che viviamo in Italia e a Molfetta, caratterizzati da grande superficialità, mediocrità diffusa di una classe dirigente non all’altezza delle sfide che abbiamo davanti e alle quali rispondiamo con una coalizione raffazzonata e un po’ improvvisata (salvo rarissime eccezioni che, però, confermano la regola), il famoso ciambotto, della quale non si fida nemmeno il sindaco, al punto da aver tenuto per sé quasi tutte le deleghe più importanti, perfino lo sport che in passato veniva affidato all’assessore del partito minoritario della coalizione. In questa situazione come si può pretendere di governare una città con fenomeni complessi, ritardi storici, colpevoli errori dovuti a 10 anni di irresponsabile gestione della città da parte della destra, che oggi cambiando camaleonticamente la maschera, pretende di incarnare il cambiamento? Non basta lavorare 18 ore al giorno come fa apprezzabilmente il sindaco, per risolvere i problemi. Con tante deleghe Minervini riesce a malapena ad assicurare l’ordinaria amministrazione. E nemmeno, almeno a giudicare dalla sporcizia delle strade e dall’inerzia di fronte all’inciviltà dei molfettesi. E’ vero che un’amministrazione comunale è lo specchio della città che l’ha votata, ma intanto la coalizione delle 8 liste di destracentro rappresenta una minoranza che grazie alla legge elettorale col premio di maggioranza, si ritrova alla guida di Molfetta. Ma è anche vero, che interpretare il disagio dei cittadini non è una cosa che si può improvvisare. Le iniziative realizzate finora sono il frutto di progetti della passata amministrazione di centrosinistra per le quali il sindaco si prende il merito e questo potrebbe starci, tenuto conto del suo ruolo di assessore ombra al bilancio nella giunta Natalicchio. Ma Minervini non può poi prendere le distanze da qualche criticità affermando come fa spesso: «questa è una delle tante ferite che ho ereditato e che sto subendo », oppure: «di questi atti, noi non abbiamo scritto una virgola». I molfettesi non hanno l’anello al naso, caro Tommaso. Non puoi governare come Azzollini, fingendo di criticare il passato nel quale sei pesantemente coinvolto con Azzollini prima e con la Natalicchio dopo, col comodo ruolo dell’uomo ombra. Ora che il velo è caduto, il re si rivela al popolo in tutta la sua nudità. Ecco perché parliamo del segno dei tempi di una classe dirigente che in Italia (vedi il Renzi di turno) e a Molfetta tende a creare omologazione a plagiare i cervelli, a formattare il pensiero libero e perfino i comportamenti individuali, auspicando quelli di massa, dove il consenso, con un facile populismo è più semplice da ottenere. E sì, perché il ciambotto non è altro che il populismo in salsa molfettese, interpretato da voltagabbana con una loro storia alla quale non possono (e in realtà non vogliono) sottrarsi. Assistiamo ad una amministrazione immersa nel niente, dove la furbizia fa da collante e, finché dura, con prebende, incarichi e presidenze, riesce a tenere insieme personaggi eterogenei, legati più al particulare che all’interesse collettivo. Infatti oggi chi vuole mostrarsi trasgressivo, è in realtà il più omologato di tutti: apparenti risultati immediati senza consistenza e speranza di durata. Tutto si fa per l’oggi, senza guardare in prospettiva, mentre cresce la povertà e la disoccupazione giovanile, con tanti ragazzi che fuggono all’estero, al punto da farci arrivare fra i primi posti delle classifiche negative nazionali. Occorre uscire dalla mediocrità delle idee preconfezionate o malamente copiate (la copia è sempre peggiore dell’originale), dare una svolta vera per creare un presente più dignitoso, ma soprattutto un futuro di speranza. E con questa speranza – che si coglie anche nella foto di copertina di Francesco Mezzina, immagine urbana dell’attesa del Natale: il calore di un albero addobbato in una casa che si sposa col freddo di una gru edilizia, ma... anch’essa addobbata per il Natale – che il direttore, la redazione e i collaboratori di “Quindici” formulano a tutti, in primis agli amministratori che ne hanno bisogno, gli auguri di un Buon Natale e soprattutto di un 2018 più di crescita e di creatività di quello che abbiamo visto nei primi 150 giorni di governo. La città lo chiede, Molfetta ne ha urgente bisogno. © Riproduzione riservata