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Un operatore del centro per l’impiego: servono artigiani non laureati
15 novembre 2018

Con una nota di afflizione si esprime un operatore (che ci ha chiesto di restare anonimo) del centro per l’impiego di Molfetta, situato in via Leonardo Azzarita, pronto ad affermare che “il ruolo determinante di tale centro è ormai perduto da anni e che la sua chiusura definitiva, con le opportune modifiche alle normative per il lavoro, non aggraverebbe la situazione di precariato già vigente, dato che centri per l’impiego sono di aiuto soltanto per la fascia meno istruita della popolazione”. «Molte procedure richiedono necessariamente la presenza dei nostri atti per l’inserimento nella rete del mondo lavorativo. Il mio ruolo e quello dei miei colleghi consiste nello svolgere le procedure indicate dal decreto legislativo 150/2015 all’interno del centro che, per definizione matematica, è il luogo d’incontro dove convergono tutti i punti ». Con la differenza che se solitamente la situazione “più domanda e meno offerta” è reversibile, negli ultimi anni non è ancora stata ribaltata perché ci sono molti meno posti di lavoro rispetto al numero di disoccupati in cerca d’impiego. A proposito delle opportune modifiche inizialmente accennate, la proposta dell’operatore va in direzione della re-introduzione dell’apprendistato, un provvedimento che andrebbe a far rinascere mestieri come il falegname, il carpentiere, che ormai non esistono più. «Trovo sbagliato che tutti i ragazzi, indistintamente, vadano a scuola e proseguano poi un percorso di studi universitario: nulla fa per tutti, tantomeno lo studio o l’apprendimento di determinati mestieri pratici, manuali. Permettendo ai ragazzi di avvicinarsi alle forme di apprendistato si valorizzerebbero le loro predisposizioni e il tutto andrebbe anche a vantaggio delle istituzioni scolastiche, ormai colme di qualsiasi tipo di studente. In questo modo le scuole verrebbero frequentate da chi ha veramente voglia di stare ore dietro una scrivania, le lezioni avrebbero un taglio diverso, anche con un andamento più svelto e non ci sarebbe carenza, o addirittura assenza, di quei mestieri cui nessuno si interessa più. Io ricordo che da piccolo mia madre pagava il barbiere affinché mi insegnasse qualcosa del suo mestiere». Forse proprio la sterilità e la staticità dell’andamento dei centri per l’impiego portano l’operatore ad affermare che la valorizzazione del lavoro va gestita in maniera totalmente differente, battendo su quelli che sono i punti di forza della città, a partire dalle coste, dai centri storici, dal turismo e dall’agricoltura, la quale per esempio potrebbe essere riconosciuta tramite la vendita di prodotti che non preveda l’intermediazione da parte dei supermercati. E alla domanda “Che prospettive di futuro ci sarebbero per i dipendenti del centro stesso se quest’ultimo dovesse davvero essere eliminato?”, la risposta dell’operatore è decisa: “Chi vuol lavorare, il lavoro lo trova”. Oppure lo cerca, come fanno tanti giovani, e non solo, in uno stato di disoccupazione, come un ragazzo che “Quindici” ha intervistato per avere un riscontro da parte di chi si è rivolto al centro per l’impiego della città. «Io ho presentato il mio curriculum vitae qualche anno fa, senza successo, dal momento che non sono stato chiamato per alcun tipo di offerta lavorativa. Ne sono rimasto abbastanza sfiduciato, anche ascoltando l’esperienza, simile alla mia, di amici che hanno rilasciato il curriculum qualche tempo dopo. Onestamente non so in che modo potrebbe esser reso più efficiente il lavoro svolto dal centro per l’impiego, che guardo come una realtà non produttiva per il territorio. Del centro per l’impiego salverei la bacheca degli annunci, in cui sono riportate offerte lavorative che, seppur estemporanee, potrebbero interessare qualcuno in cerca di lavoro part-time». Ma non è certo il lavoro a tempo determinato a poter rimettere in sesto i giovani e la popolazione dalla tenaglia del precariato. © Riproduzione riservata

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