Un adagio popolare da ridimensionare
I santi del calendario liturgico sono stabiliti dall'autorità della Chiesa. Essa, come sappiamo, dedica al santo il giorno della sua morte (“dies natalis” per la Chiesa) e quando si tratta di santi di tanti secoli fa, come è il caso di San Benedetto da Norcia, le date sono malsicure sia per quanto attiene alla loro collocazione storica, sia per il trasferimento del calendario di allora a quello di oggi. Gli storici sostengono che San Benedetto sia nato a Norcia (Perugia) intorno al 480 e sia morto a Cassino (Frosinone) intorno al 547. Gli anni della nascita e della morte non sono quindi precisi, ma il giorno della morte è dato invece per certo: 21 marzo. Ora, come tutti sanno, il 21 marzo segna l'inizio della primavera astronomica e l'arrivo delle rondini, donde il detto “San Benedetto la rondine sotto il tetto”. Tale giorno assume da tempo immemorabile l'identità di un fenomeno atmosferico popolare che mi piace mettere in parallelo con la poesia “10 Agosto”, scritta nel 1891 da Giovanni Pascoli (“San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle…”) quando tutti scrutano il cielo, questa volta di notte, sperando di vedere apparire le stelle cadenti. Quella notte è, infatti, dedicata al martirio di San Lorenzo, dal III secolo sepolto nell'omonima basilica a Roma, e le stelle cadenti sarebbero le lacrime versate dal Santo durante il suo supplizio, che vagano eternamente nel cielo, e “cadono” sulla terra solo il giorno in cui Lorenzo morì, creando un'atmosfera magica e carica di speranza. Spiegare in poche parole i meccanismi migratori delle rondini (qui da noi arrivano a marzo e ripartono entro l'inizio dell'autunno), il ciclo di riproduzione, l'orientamento attraverso la volta celeste, il viaggio dall'Africa all'Europa, sarebbe assai complesso. All'uomo semplice basta riscoprire le rondini sotto il tetto di casa per minimizzare la complessità di quel fenomeno. Sono appuntamenti che abbiamo imparato da bambini sin dalle scuole elementari (“rondinella piccolina / dell'azzurro sei regina / ogni anno a San Benedetto / tu ritorni al vecchio tetto”), che ancora insegniamo, seppure sempre meno fiduciosi in questa natura assai sconvolta, metereologicamente parlando. Ebbene, mi rammarica vedere sui moderni calendari che a rimarcare il primo giorno di primavera non ci sta più San Benedetto ma un certo San Serapione, mentre il santo di Norcia è stato relegato all'11 luglio. Quale il motivo di un siffatto spostamento? In ottemperanza al desiderio del Concilio Vaticano II, le norme sui calendari insistono che sia lasciato libero da celebrazioni dei Santi il periodo che cade abitualmente durante la Quaresima o i giorni dell'ottava di Pasqua oltre ai giorni che vanno dal 17 al 24 dicembre (“Notificazione su alcuni aspetti dei calendari e dei testi liturgici propri” del 20 settembre 1997 , punto 17, a cura della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti). Avrei preferito, però, che i riformisti del calendario romano, tenendo conto che le norme suddette non escludono eccezioni nel quadro generale, avessero considerato anche il forte e radicato significato simbolico che sta scritto in quella parte della nostra cultura che si fonda sui proverbi: la popolare saggezza contadina. Non vorrei che lo spostamento di San Benedetto all'insignificante 11 luglio assumesse un ruolo facilitante la perdita dell'antico detto, a meno che non si inventi un proverbio che faccia rima con San Serapione. Infatti, se San Benedetto è stato spostato all'11 luglio, l'inizio della primavera non può essere dilazionato perché, come ha scritto Leibniz (Nuovi Saggi, IV,16), “Natura non facit saltus” (la natura non fa salti). Concludo ricordando che il 24 ottobre 1964 San Benedetto fu proclamato “Patrono d'Europa” da Paolo VI perché le radici cristiane della cultura europea hanno trovato una linfa preziosa nel monachesimo benedettino. L'abbazia di Montecassino fu la perfetta espressione della regola “Ora et labora” che San Benedetto avrebbe dato ai suoi monaci, con la doppia missione di pregare e di lavorare. Anche la preghiera doveva essere un lavoro e anche il lavoro doveva essere una preghiera.