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Tumore al colon-retto, nuovo test di screening: il genio molfettese dalla Bbc al British Journal of Surgery
15 febbraio 2013

È al secondo posto per mortalità tumorale nell’uomo e il terzo nella donna: è il cancro al colon-retto. Grazie ad una recente scoperta, questa “piaga del nuovo millennio” mieterà meno vittime grazie ad un nuovo test di screening semplice e geniale, scoperto proprio a Molfetta. Con il semplice “respiro” si ridà fiato all’eccellenza del sud Italia e al genio dei molfettesi che fa ancora parlare di sé in tutto il mondo. Quindici ha intervistato il molfettese prof. Gianluigi de Gennaro, coordinatore del gruppo di ricerca del dipartimento di Chimica dell’Università “Aldo Moro”, protagonista di questo studio. Qual è stato l’oggetto dei vostri studi? «Il nostro lavoro è stato finalizzato allo sviluppo di test di screening per la diagnosi precoce di cancro al colon-retto. Fino ad oggi la colonscopia è stata l’indagine invasiva utilizzata per questa patologia insieme all’analisi del sangue occulto nelle feci. La ricerca è nata, quindi, dalla necessità di test meno invasivi per la comunità scientifica. Il test sull’aria già riguardava altri ambiti e altre patologie, come l’asbestosi e il mesotelioma. L’intuizione è stata lavorare su patologie lontane dall’apparato respiratorio. Il “Breath test” per il tumore al colon-retto ha una maggior specificità e selettività rispetto gli attuali test di screening, e una notevole riduzione dei costi sanitari». Chi sono gli autori di questa scoperta? «Lo studio nasce da una collaborazione tra noi del “Laboratorio di sostenibilità ambientale del Dipartimento di Chimica” e il “Dipartimento di Emergenza e Trapianti d’organo dell’ Università di Bari A. Moro”, guidato dal dott. Donato Altomare, molfettese anche lui e residente a Giovinazzo. Lo staff è interamente composto da giovani donne, tra cui spicca il nome di Francesca Porcelli, una delle principali protagoniste della ricerca, molfettesissima, che ha avuto anche diversi riconoscimenti». Come si effettua questo test di screening? «Con il semplice soffio del paziente, si valutano i VOC, composti organici volatili, presenti nell’aria espirata. Il paziente deve respirare per circa tre minuti attraverso un boccaglio con un filtro per poi riempire una sacca d’aria che è analizzata da un sistema gassometrico, con cui non sono valutati singoli marker, ovvero sostanze che segnalano la presenza o meno della malattia, ma gruppi di composti che permettono di definire un paziente come sano o affetto con una certa precisione». Quali sono i vantaggi per i pazienti? «È evitata la colonscopia, test invadente e fastidioso, magari nemmeno necessario se poi l’interessato risulta sano, incentivando la prevenzione. La vera novità sta nel fatto che questo test del respiro permette di affrancare la competenza chimica cosicché in futuro anche presso le farmacie, attraverso un’apparecchiatura, in modo semplice e veloce, sarà possibile effettuare uno screening che indichi se procedere con ulteriori analisi specifiche. Attualmente stiamo sperimentando un nuovo strumento collegato ad un sistema di rilevazione della anidride carbonica che sfrutterà la semplice respirazione a volume corrente. Nessuna fatica per il paziente che può essere refrattario alla manovra di espirazione forzata per varie patologie e condizioni». Quanto è costata questo studio? Quali sono le future prospettive della ricerca? «Tutta la ricerca è stata finanziata attraverso l’azione di finanziamento chiamata Rete di Laboratori “Voc and Odor” promossa dall’assessorato allo Sviluppo Economico della Regione Puglia. Circa 300mila euro sono stati investiti in questa scoperta, somma che rientra in un progetto più grande dal costo di 1,5milioni di euro. Ettore Attolini, assessore alla Sanità della Regione Puglia, vorrebbe istituire un centro regionale per lo studio dell’espirato, creando il primo centro nazionale di “Breath analisi”». Questa rivoluzionaria scoperta ha avuto risonanza mondiale. «Siamo stati chiamati prima da tutto il globo, poi dall’Italia. Questo è sintomatico del fatto che l’Italia non concede grande attenzione alla ricerca. Il ricercatore è visto come un extraterrestre, ritenuto inutile: di certo, c’è chi non dà una bella immagine del ruolo. Nonostante tutto, è bello vedere i propri risultati pubblicati su prestigiose testate scientifiche internazionali. In primo luogo, il British Journal of Surgery che ha dedicato il suo numero speciale, per i suoi 100 anni, alla nostra scoperta. Dalla BBC alla CBC, tante sono state le riviste che hanno parlato del nostro studio, accostandomi anche a Eminenze della scienza medica. C’è stato anche un grande momento universitario a Bari e la Regione ha fatto una conferenza stampa». Quali sono state le difficoltà incontrate in questa ricerca? «Le difficoltà scientifiche si affrontano e si superano. Per la realtà della ricerca italiana, invece, sono assillanti i vincoli burocratici. Il personale è precario, fa grandi investimenti sulla propria vita senza vedere futuro. I soldi per la ricerca sono molto pochi, ma se si è determinati si riescono a reperire. Il problema sono le modalità di utilizzo di queste risorse, vincolate da un sistema universitario estremamente burocratizzato. Ciò non è tollerabile in un Paese civile. Un ricercatore americano o giapponese, ad esempio, arriva più velocemente ai risultati, non perdendo l’80% del tempo in aspetti gestionali, bande, gare, concorsi, scartoffie». Cosa dovrebbe cambiare? «Il sistema dev’essere radicalmente rinnovato. Bisogna creare un organismo meritocratico e sburocratizzato, che valorizzi i giovani e che si strutturi orizzontalmente. Immagino per il futuro un radicale cambiamento, un reset. O chi è al potere cambierà le cose consapevolmente, o come uno tsunami i cambiamenti travolgeranno il potere».

Autore: Saverio Tavella
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