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Troppe informazioni, scarsa qualità, poca verità: Felice de Sanctis parla di giornalismo all'italiana all'UPM
30 aprile 2013

MOLFETTA - Come diceva Edgar Monroe,«non importa chi dà la notizia per primo, importa chi la spiega meglio. Non importa lo scoop del giornalista, bensì saper bene spiegare al lettore che cosa è successo». Un consiglio che è diventato utopia nei tempi moderni. Oggi le priorità del giornalismo all’italiana sembrano rovesciate. In una società globalizzata e consumistica, anche la notizia passa subito di moda e l’approfondimento diventa un gadget non più necessario. La necessità stringente non è più scuotere le coscienze e fornire uno spazio di riflessione fucina di nuove idee, ma ciò che conta è colpire, affascinare, stupire e indignare il pubblico.

A cogliere il cambiamento di un giornalismo in continua evoluzione ed a fare il punto della situazione ci ha pensato il dott. Felice de Sanctis durante una conversazione dal titolo «Giornalismo all’italiana. Troppe informazioni, scarsa qualità, poca verità». Dopo una breve introduzione della prof.ssa Ottavia Sgherza Altomare, presidente dell’Upm, il giornalista economico della “Gazzetta del Mezzogiorno” e direttore di “Quindici”, ha subito introdotto la platea nel vivo dell’argomento attraverso la questione del finanziamento pubblico destinato ai giornali.
Oltre che di una limitazione della libertà di espressione poiché legato ai gruppi di interesse politico-economico, si tratta anche di un controsenso: il contributo finanziario è tanto più cospicuo quanto maggiore è la tiratura del giornale, lasciando così inascoltato il grido di aiuto dei giornali più deboli. Invece negli Stati Uniti la stampa è un potere economico a sé. In altre parole, gli editori d’oltreoceano creano la loro ricchezza vendendo ai lettori la libertà delle notizie che pubblicano. E non c’è da meravigliarsi se poi in un sistema tutto all’italiana, il nostro Paese è confinato al 75esimo posto in classifica per quanto concerne la libertà di stampa e al 41esimo in merito all’attendibilità delle notizie.
Inoltre, se in passato la linea di comando si estendeva dal direttore al caporedattore che insieme sceglievano la notizia, oggi la precedenza è data ai comunicati stampa (uguali per tutti i giornali) e alle notizie d’agenzia. L’adozione di un simile sistema ha permesso di abbassare notevolmente i costi, di ottenere una maggiore attendibilità con il minimo dello sforzo e di depotenziare la responsabilità del singolo. Il potenziamento di questa tendenza è coinciso con il fenomeno della riduzione dei lettori che si affidano attualmente al nuovo mezzo dell’era digitale, internet.
La nuova frontiera della comunicazione globale se da una parte ha dato avvio ad una comunicazione in tempo reale, sorpassando la velocità che tv e radio detenevano nei confronti della carta stampata, dall’altra si è attestata come «la patria della subcultura massificante e omologante».
Oggi vivere in un villaggio globale, come diceva Marshall Mc Luhan (studioso canadese delle comunicazioni di massa), comporta anche il confrontarsi con nuovi strumenti di trasmissione e divulgazione dell’informazione. Anche l’incessante sviluppo dei social media come Facebook e Twitter, ha dato la possibilità di abbattere le barriere dei luoghi fisici, dando la possibilità di fare persino in rete campagne elettorali che non hanno nulla da invidiare a quelle tradizionali allestite nelle più tradizionali piazze.
Dunque, il rischio è che la figura del cronista possa scomparire a fronte della possibilità data dai giornali in rete di offrire un accesso diretto alle fonti eludendo in tal modo la mediazione giornalistica. Di fatti oggi il giornalismo ha ceduto il passo ad una informazione dal basso, quasi a presagire l’avvento di un «postfordismo dell’informazione» che immette sul mercato la notizia, per poi procedere solo in un secondo momento alla regolare verifica o correzione.
E come la prima pedina del domino che se fatta cadere innesca una reazione a catena sulle altre, un’ulteriore conseguenza negativa riguarda la riduzione della pubblicità e degli introiti ad essa legati e di conseguenza un abbassamento della qualità dell’informazione vista la scarsità delle risorse economiche.
Se parliamo poi dell’informazione locale on line e stampata la qualità e l’attendibilità dell’informazione, tranne qualche eccezione, scendono molto di livello, anche per la tendenza a pubblicare solo comunicati stampa, senza alcuno sforzo di approfondimento e di analisi. Prevale la pigrizia e la volontà di non avere problemi, manca il coraggio, in un conformismo spaventoso, dimenticando che la stampa è il cane da guardia della democrazia e non il gatto che fa le fusa al padrone di turno. E’ facile e comodo scegliere questa strada, ma non si rende un buon servizio alla verità e ai lettori.
Ma l’aumento dei costi mette sempre più in difficoltà i giornali grandi e piccoli.
E allora come uscire da questa preoccupante situazione? Un ottimo mezzo potrebbe essere il finanziamento da parte dei cittadini per la realizzazione di reportage, inchieste e vari servizi giornalistici così come accade in America, dove esiste un “giornalismo on demand” fatto da free lance che annunciano la volontà di fare un’inchiesta su un determinato argomento: raccolgono il denaro da offerte dei lettori che sono disposti a pagare per conoscere la verità su fatti importanti e poi, una volta raccolti i soldi necessari a pagare le spese dell’inchiesta (si arriva anche a 1.000 dollari) la pubblicano e possono anche venderla a qualche giornale. A questi reporter free lance e a questo sistema di autofinanziamento è stato assegnato anche il premio Pulitzer, il maggior riconoscimento al giornalismo americano.
Ma forse questa soluzione è difficilmente praticabile in Italia, dove è ancora poco  sviluppata l’idea che più si è informati e più si è liberi.
 
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Autore: Angelica Vecchio
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Per Pallino. Anche lei ha un'idea molto personale del giornalismo e non riesce a distinguere tra giornalismo di parte, come è quello del “Giornale” e di “Libero”, organi del centrodestra berlusconiano e giornalismo di opinione. Confonde il vero giornalismo (non quello che crede lei) con la Gazzetta Ufficiale e le veline, che forse a lei piacerebbero. Una volta pubblicata la notizia, in tutti i giornali liberi, esiste l'opinione. Anzi i lettori vogliono l'opinione, vogliono sapere cosa pensa il proprio giornale su un determinato argomento. Mi trovi un solo giornale in Italia che è sopra ogni parte. Il giornale che non ha colore è solo un giornale di regime (e anche questo è un colore). I suoi precedenti commenti non sono stati pubblicati perché offensivi nei nostri confronti e avrebbero meritato una risposta, aprendo polemiche infinite. Abbiamo da lavorare, non tempo da perdere nelle polemiche di qualche utente anonimo come lei, che si nasconde vigliaccamente. Noi firmiamo e ci mettiamo la faccia. Chi è peggio, lei che si nasconde o noi che esprimiamo liberamente le nostre opinioni? Lei, forse senza accorgersene, ha un concetto di democrazia molto personale, un po' fascista, un po' autoritario. Che significa: giornalismo di tutti? È un concetto molto personale. Ci sarà sempre qualcuno che avrà idee diverse, per fortuna. Lei vuole l'omologazione, il grande fratello? Perfino l'obiettività è un concetto astratto, anche la notizia più asettica viene filtrata dalla cultura e dalla formazione personale del giornalista. Ai giornalisti non si deve chiedere di essere obiettivi, lo dicevano Montanelli e il nostro Gaetano Salvemini, ma solo di essere onesti. E noi cerchiamo di esserlo. Se vuole che i suoi commenti (anche anonimi) siano pubblicati, cerchi di essere onesto lei, senza fare insinuazioni e lanciare accuse: non abbiamo mai fatto la corsa ad essere i primi. Ma a dare la notizia possibilmente per tempo: che senso ha un'informazione on line, se la notizia viene data con due giorni di ritardo? Ci può essere qualche imperfezione?, C'è sempre il tempo per correggerla. Infine, mi permetta una considerazione. Non mi piace fare paragoni, ma lei mi costringe per spiegare: come mai se una cosa la scrivono gli altri, se altri pubblicano stronzate e commenti offensivi e anche penalmente perseguibili, non succede nulla. Se lo fa “Quindici”, si scatenano in tanti? C'è una sola spiegazione: vuol dire che siamo credibili e autorevoli, abbiamo molti lettori e questo dà fastidio. Ma per noi questo è un punto di merito. Siamo scomodi, abbiamo un grande Maestro, don Tonino e questo ci basta! Nel mio primo editoriale scrivevo che volevamo fare non un giornale migliore, ma diverso. E' quello che ci sforziamo di fare ogni giorno, nel segno del giornalismo migliore che non è quello di tutti, omologato, che desidera lei. Si studi anche lei il giornalismo anglosassone migliore, che può essere considerato un modello, quello italiano, no. Mi auguro di non aver perduto tempo inutile a spiegare queste cose per l'ennesima volta.
Per Enio. Noi diamo voce a tutti, naturalmente a tutti quelli che vogliono. Quelli che non vogliono, come il centrodestra che non ci manda più i comunicati, perché pretende che non si facciano critiche, no. Se non abbiamo i comunicati, non possiamo certo andare a copiarli dagli altri siti per far piacere a loro. Gli uomini del centrodestra molfettese sono dei cani in comunicazione, non capiscono un accidente, poveri loro! Eppure dovrebbero imparare da Berlusconi che è un pessimo imprenditore, un pessimo politico, ma un genio della comunicazione, al punto che va anche da Santoro, suo primo nemico. Ma anche nel centrosinistra ci sono dei permalosi, come quelli di Rifondazione: anche loro hanno scelto il silenzio stampa con noi. Un atteggiamento infantile o legato a un'ideologia morta da tempo e che pretendeva il centralismo democratico. Anche loro non accettano critiche: hanno un concetto bolscevico della democrazia. Come vede non c'è solo ottusità a destra, ma anche a sinistra, dove non si accetta la critica e il confronto. E questa non è democrazia, di cui si riempiono la bocca, ma nei fatti si comportano diversamente. Il comizio di Maralfa del 30? Anche qui non abbiamo avuto nulla. Maralfa prima ci attacca e malgrado ciò, noi pubblichiamo i comunicati, quando li manda. Noi ci siamo sempre considerati superiori ai piccoli dispettucci di qualche candidato. Avremmo potuto far seguire il comizio da un collaboratore, purtroppo per quell'occasione non ne avevo disponibili (siamo tutti volontari e ci sono anche il lavoro, lo studio e la famiglia per ognuno di noi, prima del giornale: mi sembra giusto, anche se il sottoscritto sacrifica anche quelli). Non monopolizziamo il giornale con le nostre idee, ripeto, diamo spazio a tutti, ma lei ci permette anche di esprimere le nostre idee, come fanno tutti o dobbiamo solo registrare quelle degli altri? La libertà di opinione vale per tutti, ma non per i giornalisti, che fanno proprio questo mestiere: esprimere opinioni? Questo avviene in tutti i giornali: è la democrazia, bellezza. Gli altri fanno i velinari e passano solo i comunicati stampa. Noi no. E' una posizione scomoda, ma libera, di cui andiamo orgogliosi, dopo 45 anni di mestiere. Questo è il giornalismo libero. Se lei vuole la gazzetta ufficiale, si accomodi da un'altra parte. Il nostro non è un giornale di partito, ma giornalismo di opinione, critichiamo anche quelli che sono più vicini alle nostre idee: si vada a leggere la raccolta degli articoli, anche sulla rivista stampata. Non siamo di proprietà di nessuno, non prendiamo soldi pubblici, né privati come altri, viviamo solo delle nostre modeste risorse e dei proventi delle vendite e della pubblicità. Più liberi di così! La libertà di pensiero e di espressione è la caratteristica di Quindici, come sanno tutti i nostri collaboratori che sono liberi di scrivere. Provi a chiedere a loro: non credo che esista altrettanta libertà altrove. Siamo scomodi, ma non ci dispiace. Abbiamo come riferimento un grande Maestro, don Tonino, e questo ci basta. Soddisfatto? No? Allora cerchi di studiarsi qualcosa sul giornalismo anglosassone, non su quello italiano che è un pessimo modello (tranne lodevoli eccezioni).




Ill.mo Direttore, senza andare molto lontano, guardiamo in casa nostra. - "Noi giornalisti dobbiamo fare i conti con un nemico mortale. Anziché combatterlo, ci siamo messi al suo servizio: è la televisione. Ho le stesse idee di Popper, la televisione è la più grossa iattura che potesse capitarci, perché è stata utilizzata in modo tale da esserlo. I giornali sono diventati i megafoni della televisione, per questo troviamo titoli a otto o nove colonne su Pippo Baudo o la Parietti. La televisione potrebbe essere un grande strumento di cultura, ma non lo è. Questi però sono affari suoi. Ciò che è affar nostro è di esserci messi a fare i megafoni, copiandone anche i costumi e riconoscendone la supremazia. L'Italia, oltre ad aver sempre mescolato il serio con il futile, ha sempre preso il futile come l'unica cosa seria. E noi non facciamo che adeguarci, portando agli eccessi questa perversione del nostro costume. Ma c'è di peggio. La televisione insegna ed apre la strada al protagonismo, che portato nel giornalismo ha effetti catastrofici. La televisione aizza quel pessimo incentivo tipico dei cattivi giornalisti, la ricerca a tutti i costi dello scoop. Se qualcuno di voi vorrà fare questo mestiere, sfuggite alla tentazione dello scoop! Ricordate che esso è la scorciatoia dei somari. Noi avremo un giornalismo sempre peggiore perché sempre più in cerca di audience, sempre più in cerca di pubblicità e quindi sempre più portato ad assecondare i peggiori gusti del pubblico, invece di correggerli. Intendiamoci, il pubblico è sempre il nostro padrone, non si può prenderlo di petto ma lo si deve educare. Senza mostrarlo però, perché non c'è niente di peggio degli atteggiamenti da mentori. Chi di voi vorrà fare questo mestiere, si ricordi di scegliere il proprio padrone, il lettore. Si metta al suo servizio e parli la sua lingua, non quella dell'accademia. Porti la cultura dell'accademia alla comprensione. Badate che questo è stato il più grave dei tradimenti commessi in Italia, e ne sono stati commessi parecchi. Volete le prove? Prendete un qualsiasi scritto di chiunque dell'Italia del '700 e mettetelo a confronto con le pagine dell'enciclopedia francese. Le pagine di Voltaire, di D'Alembert, sono chiare e limpide, tutto si capisce. Nelle altre non si capisce nulla: lingua togata, irreale, del principe. Lingua di cultura al servizio del signore, che poi è diventato partito. E quindi è anche peggiorata, perché era meglio servire un duca o un cardinale che un partito. Era meno ignobile, anche se era ignobile anche quello. Ricordatevi che la cultura in Italia non si è mai diffusa, quel poco che è stato fatto è stato fatto dal giornalismo. Se volete fare questo mestiere, questo è l'impegno che dovete assolvere. Per farlo non c'è sofferenza che ve ne possa sconsigliare, e questo mestiere è bellissimo. Non conduce a niente ma è bellissimo. Il giornalismo si fa per il giornalismo, e per nessun'altra cosa. (Indro Montanelli)

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