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Treno della memoria ad Auschwitz e Birkenau: la testimonianza dei ragazzi
15 marzo 2012

Sono le 10.45 di un sabato di febbraio quando Barbara Amato, Sonia Lacalamita, Alessandra Mezzina, Ilenia Paparella, Giovannangelo Picca, Valentina Susinno e la docente accompagnatrice di Storia e Filosofia del Liceo Classico, Maddalena Salvemini, salgono sul «Treno della memoria» e iniziano un viaggio lungo 7 giorni per essere i diretti testimoni della brutalità dello sterminio nazista. Grazie all’Associazione «Terra del fuoco Mediterranea» che dal 2005 organizza il progetto «Treno della Memoria», i sei ragazzi del Liceo Classico “Leonardo da Vinci” e del Liceo Scientifico “Albert Einstein” e la prof.ssa Salvemini sono giunti a Cracovia, in Polonia, dopo più di 30 ore passate in treno. Insieme con 700 studenti di altri istituti pugliesi i ragazzi molfettesi hanno visitato il ghetto ebraico, il campo di sterminio di Auschwitz e di Birkenau, dove ogni giorno centinaia di persone venivano scaricate dai vagoni che servivano per trasportare merci e bestiame. La neve non riusciva a coprire la scritta «Arbeit Macht Frei» (“il lavoro rende liberi”), l’orrore delle baracche, delle cuccette di pietra e di legna, del filo spinato arrugginito, delle torrette, delle camere a gas, delle celle di tortura e di punizione, dei forni crematori. Milioni di persone, ebrei, zingari, omosessuali, dissidenti, prigionieri di guerra russi sono stati deportati in questi campi e, dopo quasi sessant’anni, i loro resti sono ancora lì: documenti, capelli, occhiali, scarpe, borse, valige e foto dove si possono scorgere gli occhi tristi dei detenuti. Uno spettacolo imbarazzante e indicibile che ha lasciato tutti i partecipanti senza parole. Ed è questo lo scopo del viaggio: far comprendere ai giovani che cosa sia stato davvero lo sterminio, che cosa abbiano provato tante persone innocenti che hanno perso tutto, non solo oggetti, hanno perso la propria dignità e la propria vita. «Mi sentivo come questo foglio bianco, pronto ad essere riempito da chiazze di inchiostro. È tutto così ordinato ad Auschwitz, come se non ci fosse nessuna ombra di follia in tutto ciò che è stato, ma c’è qualcosa che va fuori da quell’ordine: capelli, vestiti, scarpe, effetti personali ammassati, facce spaventate di uomini, donne e bambini denutriti, che non osano piangere - così Ilenia Paparella ha raccontato la sua esperienza a Quindici -. E c’erano degli occhi, due grandi occhi penetranti, color ghiaccio , nonostante la foto in bianco e nero, due occhi che ancora riesco a vedere e che ancora compiango». Anche Alessandra Mezzina ha voluto raccontare le proprie sensazioni. «Verso sera c’è stata la visita alle baracche dei primi nemici del Reich, i bambini. Dicono che gli occhi siano la porta d’accesso all’Io più profondo, ma come posso allora esprimere cosa si è scatenato in me alla vista dell’anima implorante dei piccoli prigionieri? Distruzione di bambini vecchi. Vecchi, vecchissimi. Zero sogni, zero vita, zero giochi, zero membra, zero avvenire, zero tutto». Entrambe le studentesse hanno cercato di farci comprendere quanto un viaggio possa colpire profondamente le anime dei partecipanti e renderle migliori. È necessario, infatti, sensibilizzare le nuove generazioni, portatrici di diritti inviolabili, di doveri e di responsabilità nei confronti della società in cui vivono. La nostra è, infatti, una realtà che troppo spesso è surclassata da interessi particolari e da futili e distruttivi egoismi. I veri valori non esistono più. Questa è la verità: si vogliono e si pretendono sempre più oggetti inutili, si sta male se non si posseggono vestiti , occhiali e borse firmati. Bisogna fermarsi e riflettere: e se un giorno, di punto in bianco, non avessimo più neanche noi un nome, una dignità, e soprattutto una vita?

Autore: Rita Cafagna
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