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Tommaso Fiore e Molfetta L'ultimo libro di Giovanni de Gennaro
15 ottobre 2004

“Io non so cosa più soave e bella / di te, che fai tua festa d'un riflesso / blando d'acque e di cieli...” Sono versi che Tommaso Fiore scrisse in carcere, tra il '42 e il '43, dedicandoli a Molfetta, delineata qui come nuova Venezia e per lunghi anni incancellabile oggetto d'amore dello scrittore e politico altamurano. È allo scandaglio del rapporto tra Fiore e la vecchia 'Manchester del Sud', che Giovanni de Gennaro ha dedicato la sua ultima fatica, “Tommaso Fiore e Molfetta”, edita per i tipi di Mezzina. Bellissimo il I capitolo, una sorta di 'résumé' delle testimonianze (tra cui quelle di Maria Andriani e di Orazio Panunzio) concernenti il decennio d'insegnamento molfettese (1933-1943) di Fiore. Il rapporto coi colleghi, il parallelo consumarsi del dramma del coraggioso Carlo Muscetta, il tono alquanto poco cattedratico delle lezioni fioriane, le temute versioni dal greco in latino con 'castigatio' dei traduttori 'maccheronici', le immagini mute degli alunni che accompagnavano con lo sguardo il treno che portava lontano il professore, si fondono col ricordo di quel Graziano falciato da una repressione insensata a fascismo già caduto. Il II capitolo introduce al saggio di Fiore, “Nel paese di Salvemini”, un accurato reportage dell'altamurano sulla Molfetta degli anni del governo di centro-sinistra. Lo scritto, ripartito in 17 capitoletti, fu composto tra il luglio e il dicembre 1964; è frutto di interrogazioni rivolte a lavoratori e dirigenti del settore ortofrutticolo, del mercato ittico, dell'agricoltura e della scuola. Si segnalano del I capitoletto ('Uomini e mezzi uomini'), giudizi, a mio parere lievemente affrettati o parziali, su Giacinto Panunzio, dipinto quale 'pasticcione', seppure un 'ingegnaccio', o sul 'non lodato' Zagami, tuttologo del nulla, forse bollato troppo pesantemente per antiche simpatie fasciste. Non sempre, tuttavia, quest'elemento conduce a una valutazione del tutto negativa: è il caso del profilo, ben tratteggiato, di un dignitosissimo Luigi Bellifemine, un tempo implicato nell'affaire Muscetta e in quello della GIL, ritratto, negli anni '60, come inconsolabile vedovo e acuto dirigente dei mercati ittico e ortofrutticolo. È la Molfetta degli anni del boom ad emergere in tutte le sue contraddizioni, nel suo valore, nelle zone d'ombra (mancanza di un piano regolatore, ad esempio), con le 'belle donne' (interessantissima una nota esplicativa del de Gennaro) intente a coltivare il sogno della 'casa con salotto' per poi porre le fondamenta di uno dei più seri disagi delle famiglie moderne, il caro-case. È la Molfetta in cui le innovazioni stentano a decollare, specie in campo agricolo, e restano appannaggio di pochi pionieri, ma in cui non manca la voglia di sperimentare, anche a livello pedagogico. Segnalo, a tal proposito, le relazioni, riportate da Fiore, della prof.ssa Liliana Gadaleta e di Franca Di Noia e le osservazioni sulla didattica del validissimo direttore Orazio Caputo. Non manca persino un saggio sulla pittura molfettese, in cui con Nuovo, Carabellese e Poli, l'altamurano cita e pare prediligere Salvatore Salvemini, col suo 'dramma dello spargimento d'anime' figurativamente espresso. In appendice allo 'scrittarello', de Gennaro pubblica parte di un suo carteggio con Fiore, da cui emerge il costante tentativo dello scrittore, negli anni antecedenti alla morte, di fronteggiare l'avanzare della senilità con la promozione di pubblicazioni dall'esito non sempre felice. Quello che emerge fortemente è, a mio avviso, l'immagine di una città culturalmente vivace, 'uno dei paesi più seri, più costumati' della provincia barese, dove sorgono 'socratici' cenacoli e la cultura avanza a ranghi serrati. Una Molfetta, che, temo, si stia perdendo oggi nei meandri della banalità. O forse è solo in attesa di nuove organiche, spietate analisi sulla sua condizione, in conformità a quel principio dantesco che campeggia sul frontespizio dello scrittarello fioriano: “Qui vive la pietà, quand'è ben morta”... Gianni Antonio Palumbo gianni.palumbo@quindici-molfetta.it
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