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TFR, cosa fare della “liquidazione”. Una scelta difficile entro il 30 giugno Previdenza integrativa attraverso i fondi pensione. L'alternativa è lasciare la somma maturata in azienda. Vantaggi fiscali per i fondi
15 marzo 2007

La finanziaria 2007 ha anticipato al 1° gennaio scorso l'entrata in vigore del D.Lgs.vo 252/05 in tema di previdenza complementare, pertanto oltre 11 milioni di lavoratori dipendenti del settore privato dovranno scegliere entro il 30 giugno (o entro sei mesi dall'assunzione) se conservare il TFR maturando in azienda o destinarlo, in tutto o in parte, ad un fondo pensione. La scelta non è facile e dipende in gran parte da motivazioni soggettive, può però essere di aiuto una conoscenza più chiara di alcuni aspetti della questione. Ritengo opportuno partire dalle motivazioni che hanno spinto il legislatore ad intervenire più volte in materia pensionistica negli ultimi 15 anni, in particolare l'intervento che ha radicalmente mutato la situazione pensionistica è la riforma “Dini” (Legge 335/95) che ha introdotto il sistema di calcolo contributivo della pensione per tutti i lavoratori assunti dopo il 31/12/95. La riforma del sistema pensionistico trae origine da una serie di cambiamenti di origine demografica (invecchiamento della popolazione per effetto sia dell'allungarsi della vita media sia della riduzione del tasso di natalità) ed economica (riduzione del numero dei lavoratori attivi). In sostanza, poiché il nostro sistema pensionistico è un sistema a ripartizione, cioè le pensioni pubbliche vengono pagate attingendo ai contributi versati dai lavoratori in servizio, riducendosi il numero dei lavoratori attivi ed aumentando il numero dei pensionati, a lungo andare il sistema non avrebbe retto se si fosse continuato ad applicare il metodo di calcolo retributivo. L'alternativa era di trasferire la maggior spesa pensionistica sulla fiscalità generale, ma questo avrebbe significato un forte aumento dell'incidenza della stessa sul PIL a scapito evidentemente di altre tipologie di spesa. Forse, per una questione di giustizia generazionale, il metodo di calcolo contributivo avrebbe dovuto essere applicato a tutti i lavoratori a decorrere dal gennaio 1996 applicando il metodo misto a tutti coloro che erano stati assunti prima del 31 dicembre 1995. In effetti la riforma Dini prevede, per i lavoratori che alla data dal 31/12/95 abbiano maturato almeno 18 anni di contribuzione, che si continui ad applicare il metodo retributivo decisamente più vantaggioso rispetto a quello contributivo. Mentre per i lavoratori con meno di 18 anni di contribuzione alla data del 31/12/95 si applica il metodo misto, ovvero la pensione viene calcolata con metodo retributivo per l'anzianità contributiva maturata prima del 31/12/95 e con il metodo contributivo a decorrere dall'01/01/96. COSA CAMBIA PER I LAVORATORI Senza addentrarci in inutili e complicate spiegazioni sulle diverse metodologie di calcolo della pensione, è importante determinare il diverso tasso di sostituzione, cioè l'importo che il lavoratore riceverà come pensione rispetto all'importo dell'ultima retribuzione, che scaturisce dai diversi metodi di calcolo. Con il vecchio metodo retributivo l'importo della pensione raggiungeva in media l'80% dell'ultima retribuzione, con il metodo contributivo si stima che l'importo della pensione non andrà oltre il 60%. Da qui la necessità di coprire la riduzione degli importi della pensione pubblica con una pensione integrativa, la cui determinazione, per essere in grado di coprire il ridotto importo della pensione pubblica, richiede una contribuzione annua pari a circa il 10% della retribuzione complessiva del lavoratore. Il raggiungimento di questo obiettivo difficilmente poteva essere ottenuto con la contribuzione volontaria del lavoratore, sia pur integrata dal datore di lavoro, soprattutto per chi ha redditi medio- bassi, quindi si è pensato di utilizzare il T.F.R. come risorsa aggiuntiva. In considerazione del fatto che il TFR costituisce il 6,91% della retribuzione annua, aggiungendo un contributo volontario del lavoratore dell'1,5% ed un contributo aggiuntivo del datore di lavoro di pari importo (in genere previsto dai contratti collettivi di lavoro per i fondi pensione di categoria), si raggiunge una contribuzione annua pari al 10% della retribuzione che abbiamo visto rappresentare il minimo necessario per garantirsi un adeguato trattamento pensionistico. COME COMPORTARSI Vediamo quali sono i possibili comportamenti da tenere: • non effettuare alcuna scelta, in questo caso il TFR maturando verrà automaticamente trasferito dal datore di lavoro al fondo pensione di categoria, se previsto dagli accordi o contratti collettivi anche territoriali, in alternativa ad un fondo aperto con adesione collettiva se previsti da accordi territoriali o aziendali, in assenza di una delle ipotesi precedenti al fondo pensioni complementari istituito presso l'INPS. • formulare espressamente la scelta di trasferire il TFR al fondo pensione di categoria o ad un qualsiasi fondo aperto o ad una forma di pensione individuale. La percentuale del TFR da destinare al fondo dipende dal regolamento del fondo cui si aderisce e comunque non può essere inferiore al 50% per chi è stato assunto la prima volta prima del 28/04/1993, mentre è pari al 100% per i lavoratori assunti la prima volta dopo tale data. • comunicare espressamente al datore di lavoro l'intenzione di conservare anche per il futuro il TFR maturando in azienda, con la precisazione che per le aziende con più di 49 dipendenti il TFR verrà versato in un fondo dello stato gestito dall'INPS, ma sostanzialmente per il lavoratore non cambia nulla. La scelta che il lavoratore deve compiere si basa innanzitutto sulla propria propensione al rischio. In effetti se si sceglie di conservare il TFR in azienda, si riscuoterà la somma accantonata anno per anno, pari al 6,91% della retribuzione complessiva, in un'unica soluzione al momento in cui si interrompe il rapporto di lavoro. Il rendimento delle somme accantonate è calcolato per legge nella misura dell'1,5% più il 75% dell'inflazione. Tale rivalutazione viene tassata, a decorrere dal 2001 applicando un'imposta sostitutiva dell'11%, e garantisce al lavoratore un rendimento sicuro e superiore al tasso d'inflazione se questo rimane sotto il 6% annuo, se il tasso di inflazione supera il 6% annuo la rivalutazione non coprirà più la perdita del potere d'acquisto. In definitiva il lavoratore poco propenso al rischio e desideroso di ricevere tutto il TFR maturato in un'unica soluzione non aderirà al fondo pensione integrativo. Il lavoratore che decide di aderire ad un fondo pensione, si assume il rischio di borsa, visto che il TFR conferito ai fondi verrà investito in azioni e/o obbligazioni, ovviamente più alto è il rischio (fondi azionari) più alto potrebbe essere il rendimento. Eventualmente per ridurre tale rischio il lavoratore potrebbe aderire ad un fondo pensione a capitale garantito, che garantisce appunto la restituzione del capitale investito, in questo caso i rendimenti saranno più bassi rispetto agli altri fondi. A tutela del lavoratore la legge ha previsto rigorose forme di controllo sui fondi, che comunque non possono eliminare il rischio insito negli investimenti di borsa. Per quanto riguarda i rendimenti delle somme conferite ai fondi pensioni gli stessi sono colpiti da un'aliquota sostitutiva dell'11% esattamente pari a quella dei rendimenti maturati sul TFR. FONDI PENSIONE E VANTAGGI FISCALI Proprio l'aspetto fiscale costituisce un'importante motivazione a favore dell'adesione ai fondi pensione. Infatti, il lavoratore che aderisce al fondo al momento della pensione riceve la prestazione sotto forma di rendita (pensione integrativa) e/o, a richiesta, l'erogazione in unica soluzione di una somma di denaro che però non può superare il 50% del montante finale accumulato. Qualora l'importo della pensione spettante dovesse risultare inferiore al 50% dell'importo dell'assegno sociale previsto dalla legge 335/95, si potrà ottenere l'erogazione dell'intero montante accumulato in un'unica soluzione. Le prestazioni erogate dai fondi pensioni, sia il capitale sia la rendita, sono assoggettate ad un'aliquota sostitutiva dell'15% che si riduce dell'0,30% per ogni anno di adesione al fondo successivo al 15°. La riduzione massima spettante è del 6% per cui, in ogni caso, dopo 35 anni di partecipazione si applica l'aliquota del 9%, mentre per il lavoratore che non aderisce al fondo alla data di cessazione del rapporto di lavoro le somme accantonate annualmente, esclusa la rivalutazione, saranno sottoposte al regime di tassazione separata IRPEF che attualmente prevede un'aliquota minima del 23%. Come si vede il vantaggio fiscale delle prestazioni erogate dai fondi pensioni rispetto al TFR è notevole, si può raggiungere un risparmio d'imposta pari al 14% per chi aderisce al fondo per 35 anni e addirittura superiore per chi è tassato con aliquota media IRPEF superiore al 23%. La tassazione delle prestazioni dei fondi pensione risulta più conveniente anche di quelle che attualmente colpiscono le altre fonti d'investimento di capitale (BOT, CCT, obbligazioni, dividendi) per i quali si applica un'aliquota del 12,50%, che peraltro il governo intende aumentare portandola, si dice, al 20%. I vantaggi fiscali per chi aderisce ai fondi sono completati dalla possibilità di dedurre i contributi versati (escluso il TFR) dal reddito imponibile fino ad un massimo di 5.164,57 euro con conseguente riduzione dell'IRPEF da pagare. Inoltre, soltanto il lavoratore che aderisce al fondo potrà beneficiare del contributo a carico del datore di lavoro previsto dagli accordi collettivi, purché in questo caso il lavoratore aderisca al fondo negoziale di categoria. Per quanto attiene le possibilità di ottenere anticipazioni da parte del fondo pensione valgono in generale le stesse regole previste per il TFR lasciato in azienda, o conferito all'INPS, pertanto si potranno chiedere anticipazioni qualora occorre sostenere spese per l'acquisto o la ristrutturazione della prima casa o spese mediche per gravissime situazioni (in questi due casi dopo 8 anni di adesione si può ottenere fino al 75% delle somme versate), vi è una terza possibilità di ottenere un'anticipazione per ogni altra esigenza nei limiti del 30% di quanto versato. Infine, è importante precisare che il lavoratore, se sceglie di destinate il TFR maturando ad un fondo pensione compie una scelta irreversibile, cioè non potrà più tornare indietro (è prevista però la possibilità trascorsi due anni dall'adesione di trasferire i contributi versati ad un altro fondo pensione) mentre se decide di conservare il TFR in azienda entro il 30 giugno potrà in un secondo momento cambiare idea. Ricordo che quanto detto sinora riguarda i lavoratori dipendenti del settore privato, mentre i dipendenti pubblici dovranno attendere i decreti attuativi attesi nei prossimi mesi, solo per i dipendenti della scuola è attivo il Fondo Espero.
Autore: Paolo Roselli
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