MOLFETTA – La conferenza “Scuola , università e cultura al tempo della barbarie” , organizzata a Molfetta dalla rivista culturale “Terre Libere”, partendo dall’attualità della rivolta studentesca contro il Ddl Gelmini, ha analizzato lo stato del ‘diritto alla conoscenza’ nel nostro Paese dipingendo un nitido quadro storico del come e perché si è arrivati ai recenti fatti di cronaca.
Questo grazie al contributo di professori universitari e liceali, ricercatori, dottorandi di ricerca che oltre a fornire una visione interna della problematica istruzione hanno messo in luce aspetti, noti o meno, semplificando la chiave di lettura del fenomeno. Un fenomeno che affonda le sue radici nel tempo e di cui sono stati chiariti aspetti gestionali, sociali, psicologici, antropologici, che trovano le cause soprattutto nel malcostume del sistema nepotistico tipico degli atenei, in concorso con la scarsa moralità dei politici italiani dell’ultimo ventennio e oltre. La scarsa partecipazione popolare, indotta e forse voluta ma non giustificabile, ha portato a quello che sta diventando il nostro Paese nella sua globalità.
Grave la responsabilità politica, nel tempo, di proporre una ‘educazione’ alternativa dimenticando i principi veri dell’umanesimo distruggendo così da anni il rapporto dell’uomo con la ‘filosofia’ della vita, annientando la natura per creare un modello di vita che visto dalla Luna sembrerebbe un formicaio in continuo movimento senza senso, proprio come il ruolo dell’uomo sulla Terra che, ad ogni passo avanti della tecnologia, continua ad indietreggiare dimenticando da dove viene e dove è diretto il suo viaggio.
Tutti e tutto dimenticando che almeno per adesso, nonostante dissensi di vario genere ‘L'Italia è una Repubblica dove la sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione’.
L’incontro
Proprio ricordando uno dei principi cardine della carta fondativa, il moderatore dell’incontro, Giacomo Pisani direttore di “Terre libere” e redattore di "Quindici",
nel suo intervento conclusivo ha citato l’articolo 33 della carta che recita “L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento […] Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato”.
Si è partiti dal contributo finale per dare la profondità e l’incisività della successione di paroledegli altri relatori intervenuti: Marino Centrone, professore di Filosofia della Scienza all’università di Bari, Rossana de Gennaro, docente di Filosofia al liceo scientifico di Bisceglie, Enrico Mastropierro, dottore di ricerca in Filosofie e Teorie Sociali dell’università di Bari, Onofrio Romano professore di Sociologia dei processi comunicativi e culturali all’università di Bari e Laura Marchetti, università di Foggia.
«L’ultimo numero di Terre Libere – ha precisato Pisani prima dell’inizio della conferenza – è interamente dedicato alla riforma con vari approfondimenti, fornendo punti di vista e prospettive di chi lavora all’interno della struttura, voci spesso inascoltate dai media». Pisani ha poi sottolineato che i disagi e le reazioni degli studenti al solito sono state strumentalizzate, vivendole lui stesso da studente, e che il tutto parte da condizioni e conflitti più profondi.
«Seguendo le linee programmatiche della legge – ha proseguito – viene annullato il più naturale luogo di riflessione di un giovane uomo verso il suo futuro; siamo qui per far capire che gli atenei sono prima di tutto contenitori culturali, non aziende».
L’incontro(Cenni storici)
Centrone, aprendo la conferenza, ha subito elencato i componenti (professori ordinari, associati, aggregati, ricercatori, e dottori di ricerca) del corpo docente evidenziando che lo ‘zoccolo duro’ del sistema è composto proprio dai più colpiti dalla riforma, i ricercatori e i dottori di ricerca.
«Dalle 80-100mila possibilità di accedere all’università come dottori di ricerca – ha affermato il professore – il numero verrà drasticamente tagliato. In molti casi sono già di persone già formate sui cui si è investito, per non parlare del ruolo del ricercatore: dopo 6 anni o diventa professore associato o deve fare i bagagli».
Centrone non manca di ricordare che già dal ’77 chi cominciava a denunciare la struttura ’feudale’, ancora attuale, in ordine alla gerarchia delle posizioni universitarie occupate, trasmesse o ereditate, rientrava nei così detti cattivi maestri “padovani” a cui si dava la ‘caccia per la colpa’ di difendere la democrazia del sapere.
«Molti docenti all’epoca – spiega il professore - furono ingiustamente accusati di essere terroristi o anarchici violenti e molti furono costretti a scappare perché turbavano la crescita dei giovani. Ricordo bene la ricchezza di fantasia, di vita dell’epoca concretizzatasi poi in tanti movimenti artistici. E’ seguita poi una fase, che dura tuttora, o meglio una manovra implosiva nei confronti di chi voleva e vuole seminare cultura».
Seguirono i fallimenti di un comunismo assestato ma mai realizzato e pian piano si spensero gli entusiasmi ma soprattutto i professori iniziarono a vestirsi di ‘grigio’, ‘come a voler mettere un tappo’ - ha precisato Centrone – sulla conoscenza, ritenuta pericolosa e poi iniziò l’epoca della Baronia massonica che a Bari trovò una delle sue sedi ideali ‘.
«La partita è ancora in gioco - conclude – so che qui si entra nel campo della politica ma stante la situazione attuale è necessario che in Italia si trovi una corrente alternativa al più presto, per evitare l’irreparabile. Bisogna tornare alla politica vera, ne abbiamo bisogno».
I motivi di una protesta generalizzata
Si entra poi nel merito dell’offerta qualitativa dell’università.
Una offerta ‘scaduta’ per molti già in declino con l’inserimento dei 3 anni più 2 e l’impacchettamento dei corsi in semestri, soprattutto nelle facoltà umanistiche dove il dialogo è lo strumento prioritario d’insegnamento, e le denunce su chi, superati i 70 anni non vuol ‘mollare’ la cattedra, realtà tutta italiana essendo già stato abbassato, in molti Paesi europei, il limite d’insegnamento ai 65 anni.
Questa ‘vecchia casta’ di insegnanti inoltre blocca quel necessario turn-over con i più giovani rendendo impossibile l’accesso nel sistema.
La prima necessità che emerge è quindi una riorganizzazione più funzionale del corpo docente e uno ‘svecchiamento’ dello stesso per dare nuova linfa e idee al complesso compito dell’istruzione.
Messo in luce anche il ruolo dei media nazionali che hanno dedicato poco, e qualitativamente basso, spazio alla questione facendo filtrare solo i riflessi negativi della protesta.
L’insegnante liceale de Gennaro nel suo intervento ha ‘bocciato’ l’atto normativo del 2008 che ha riportato la scuola elementare indietro negli anni con il graduale ritorno al maestro unico, al voto in condotta, al ridimensionamento del quadro orario ,spezzettando cattedre e percorsi didattici.
Date come ‘innovazioni’ migliorative, sono frutto invece di una programmatica politica di tagli alla scuola, arrivando al 46 % di fondi in meno che significa meno qualità nella formazione, meno docenti e corsi, fino ad arrivare a certi casi estremi dove non ci sono soldi nemmeno per la carta igienica.
Sulla strada invece 200.000 precari.
«Un licenziamento di massa – sottolinea anche la docente - che getta via persone come oggetti, persone tra l’altro già formate che non si son potute inserire per la mancata progettazione dei turn over».
E’ inutile ricordare che l’età media degli insegnanti italiani, come quella di molte altre professioni, è tra le più alte d’Europa.
Il dottore di ricerca Mastropierro è tornato sui fatti di Roma, incidenti e violenze, parlando delle nuove generazioni come una fascia senza quella qualifica sociale che il lavoro dava un tempo, un assioma della filosofia classica.
Il suo paragone tra i giovani che protestavano e “Le milizie napoleoniche” che a metà ‘800 venivano reclutate tra la povera gente, costretta a combattere contro i propri interessi così come chi per un lavoro doveva vendere le su idee al fascismo, hanno fatto rabbrividire ma anche riflettere.
Riflettere sull’importanza dell’indipendenza delle lotte (di classe, di genere, dei lavoratori, etc.) i cui obbiettivi non sono quasi mai raggiunti senza la consapevolezza della forza che ha l’unità d’intenti evitando la mediazione dei sindacati con una politica clientelare. Per questo la lotta studentesca, si è ripetuto più volte, non deve avere etichette di sorta.
L’analisi
La de Gennaro ha posto l’accento sulla condizione psicologica dei giovani, citando ‘L'epoca delle passioni tristi’ opera di due psichiatri francesi che indaga l’orizzonte temporale e sociale di questi ultimi decenni che da futuro-promessa si è trasformato in futuro-minaccia.
Una ‘patologia’ che infiltratasi dall’esterno in organismi sani ha preso poi il via deviando la visione che l’individuo ha del reale e di se stesso: crisi delle idee di progresso e di rivoluzione intesa come rinascita, come possibilità dell’uomo di modificare la realtà; una strada intravista da Freud quando parlava di "disagio della civiltà", Nietzsche di "morte di Dio" ma più di tutti dal filosofo Spinoza che già nel ‘600 scoprì le "passioni tristi".
«Lo smarrimento dei giovani – precisa la professoressa – è un male sempre esistito ma l’aumento dei casi di depressione o altre ‘patologie’ della psiche sempre più spesso trova causa nel comune stato di incertezza in cui si trovano. Da qui, nell’impossibilità di potersi esprimere e realizzare, deriva quella forte rabbia già sfociata a Parigi tempo fa per poi invadere le piazze di più città europee e non solo.
I ragazzi hanno bisogno solo di essere ‘ascoltati’ dalla politica peri riconnettersi al loro bisogno di autodeterminazione».
Un ascolto finora dimostrato solo dal Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, che dopo l’approvazione del Ddl Gelmini ha voluto ascoltare le parole di una delegazione composta non solo da studenti ma anche da ricercatori e dottori di ricerca.
Mastropierro invece ha puntato il dito sull’ego dominante…
«La storia ci ha insegnato che l’etica dominante è quella dell’ego – ha detto a chiare lettere il dottore di ricerca – un isolamento che ha portato alla sconfitta di tutti perdendo quel peso che un popolo libero deve avere nella storia del suo Paese. Un’etica sociale e condivisa è l’unico strumento che può cambiare la sorte delle masse reazionarie.
Come una volta il proletariato straccione, oggi noi e sempre più categorie in uno stato di ‘sub-proletarizzazione».
Il ritorno all’uomo
Tra le osservazioni più interessanti emerse, il peso dato a certe materie.
«Il sapere umanistico è alla base della formazione di ogni individuo – ha spiegato la de Gennaro – E’ impossibile formare una generazione ‘sana’ senza i giusti ritmi mentali che solo la filosofia, la letteratura, e altre materie d’indirizzo sanno imprimere nell’anima e nella psiche di un individuo in crescita senza ancora una capacità di giudizio critico formata come quella di narrazione, d’immaginazione, di creazione. Il neo-liberismo scolastico ha sparso il suo veleno sulla scuola e di conseguenza sui nostri ragazzi».
La rabbia sociale
Il professore Romano, tornando sul discorso della de Gennaro, è entrato nello specifico riguardo quella forte e diffusa rabbia che col tempo ha saturato gran parte dei lavoratori, oltre che degli studenti, del mondo universitario.
Una rabbia acutizzata dall’impossibilità di agire in un sistema chiuso che non dava spazio a valvole di sfogo.
«Queste violente dimostrazioni di protesta – ha specificato il professore – vanno ovviamente ribaltate in forme pacifiche, costruttive e durature. Abbiamo avuto una mobilitazione nel complesso blanda dovuta ad una chiusura orizzontale delle varie categorie (studenti, ricercatori, etc,).
Quello che però io dico ‘perché così poca rabbia e non così tanta’?
Purtroppo la vera causa della rivolta non trova principi unificanti ed è nutrita da apatia e da una scarsa partecipazione politica, nel significato più puro della parola. Non esiste una visione forte della società- ha sottolineato - società in cui vanno avanti i servi in un mondo dove l’intero corpo sociale si corrode generando rabbia o annichilendo come amebe restando a casa, invece di percorrere vie più costruttive.
E’ una pazzia, perché questo?
Per colpa della corruzione – ha risposto - che non lascia spazio al merito e la riforma del sistema d’istruzione è lasciata nelle mani di un ministro che presentò una tesi di laurea che valeva uno come punteggio….
E’ più che normale che questo stato di cose abbia provocato una esplosione schizofrenica sfociata nella violenza. Non la giustifico ma la capisco.
Se la Gelmini parla di meritocrazia provoca schizofrenia e violenza, l’unica reazione possibile in cui ognuno si sente realizzato e rappresentato, dopo due anni di battaglia dura su altri campi( infiniti documenti spediti alla stessa Gelmini, Napolitano) per trovare una soluzione meno penalizzante e frustrante.
Anche nello stesso coordinamento direzionale non c’è coesione di idee per poter invertire direzione e cambiare una legge che in pochi conoscono per intero.
Lo so è sconvolgente ma tutto è possibile seguendo la logica della fiducia ‘comprata’. Ci stanno levando entusiasmo e forza, il gioco di chi ci comanda».
Critiche ai modelli scolastici e Soluzioni proposte
Tante lotte divise, questo il punto debole. Una frammentazione che non porterà mai ad un bene comune e come ha ricordato uno studente ‘dobbiamo diventare tutti militantii’ per arrivare a mettere almeno un punto a favore.
La professoressa Marchetti oltre alla critica, ha proposto valide alternative e ascoltando le sue parole s’intuisce che non è poi così difficile trovare idee, ragionando con sapienza e saggezza. Molto più difficile comporre un fronte comune e compatto.
«La politica – ha chiarito subito la professoressa – deve aver una chiara visione generale del tema principale ovvero l’educazione e la sua forma nel rispetto della democrazia. Questi i punti base per elaborare un programma.
Proprio in partenza si è fallito, sia dalla sinistra che dalla destra: da molto tempo in Italia la sinistra si è appoggiata ai modelli‘omologati’ proposti dalla destra senza alcuna novità o ricordandosi che si evadevano i punti di partenza stessi.
In un testo di Freud del 1910 – ha ricordato - che tratta del suicidio di uno studente delle superiori, il padre della psicanalisi dà la responsabilità della morte del ragazzo alla scuola che non è riuscita nel suo compito: insegnare il piacere trascurando, se non creando così, le cause di un istinto di morte prematuro.
Stanno riportando la scuola a quella in cui vige l’autorità – ha dovuto ammettere - dove l’ora di lezione è troppo seria, claustrofobica e chiusa, simile ad un internamento fascista.
Basta guardare la struttura della classe: ogni individuo è isolato e costretto a guardare davanti l’insegnante, il tutto scandito da un tempo rigido e salendo alle superiori o all’università anche il linguaggio è diventato meccanico e freddo:
crediti, debiti, moduli, etc…Inoltre si trascura l’autostima personale che proviene innanzitutto dalla ‘libertà’ di poter sbagliare, cosa proibita!
Non c’è più spazio per i desideri, l’immaginazione e si è spezzato quel circuito affettivo che caratterizzava la scuola di un tempo, più ludica, gioiosa partendo dal principio del piacere.
Si è aggiunto poi il concetto di idea come risorsa così come nel” Trattato di Maastricht” si stabilì che la natura dovesse entrare nel ciclo dell’economia: allo stesso modo la conoscenza è diventata ‘mercificata’ con una scuola che si adatta sempre più a ciò.
I bambini non sono risorse, i saperi umanistici devono riprendere la loro funzione educativa. Di qui la necessità di un nuovo Umanesimo.
Inoltre regna sovrana l’ ossessione del pc e dell’informatica, che cattura sogni, creatività, fantasia e la visione critica del reale sia al bimbo che all’adulto.
In ultimo la scuola italiana sta andando contro natura, e la nostra Costituzione, favorendo correnti che determineranno sempre più una privatizzazione del sapere già intravista nell’università. Vedi l’influenza delle multinazionali farmaceutiche nelle facoltà di Medicina…
Ai giovani, e non solo, il compito di rielaborare una nuova fase della vita umana dove la scienza, la tecnologia tornino ad occupare posizioni più marginali e il rapporto uomo-natura porti alla ricostruzione di quel che si è distrutto, sperando di non arrivare a concepire un uomo nato da un Dna di laboratorio, rimettendo però in discussione certi assunti fideistici».
Posizioni studenti universitari
I ragazzi che si sono alternati nel dibattito finale hanno più o meno lanciato lo stesso messaggio, desumibile dalle seguenti affermazioni
«Noi studenti baresi – interviene un ragazzo nello spazio lasciato al dibattito - non
vogliamo una politicizzazione della protesta, che pure in certi casi esiste.
Il mio appello è rivolto a tutte le persone a cui si stanno calpestando i diritti: anche se in pochi dobbiamo convergere verso una condivisione dei problemi di tutti, con buona pace dei sindacati. Tutte le categorie sociali devono mobilitarsi per riappropriarsi della loro vita.
Le varie organizzazioni studentesche per più di un anno e mezzo, l’inizio della storia dela legge, non hanno mosso un dito.
Non ci si poteva opporsi prima dell’inizio dell’irreparabile? Dov’erano prima?
Sono stati inseriti, dopo attenta lettura del Ddl, 3 consiglieri esterni nel Cda delle università. Ma si credono siamo stupidi?
Questi metodi subdoli non serviranno a farci demordere. Quel salire propagandistico di alcuni politici sui tetti occupati delle facoltà se lo potevano risparmiare ‘lavorando’ in Parlamento a tempo dovuto.
E’ stata una brutta presa in giro da ogni posizione e tutte le forze politiche hanno contribuito al progetto sfociato nel disegno di legge Gelmini.
Sscusate se proviamo un po’ di rabbia. Rabbia sfociata in un momento in cui oltre a protestare ci siamo visti cadere in testa l’ennesima prova di come questo Paese è governato, quando è stata data la notizia della fiducia al governo Berlusconi, tutto per un gioco ‘comprato’ e mirato a prese di posizioni di potere.
Scusate se esistiamo, siamo giovani e ragioniamo ancora con la nostra testa…».
Conclusioni
E’ Vito Copertino, professore ordinario della Università della Basilicata, a chiudere la serie degli interventi unendo idealmente le tante trame di questo incontro e spiegare le ragioni e l’impegno della rivista “Terre Libere”.
«Il momento storico è favorevole a un risveglio delle coscienze – ha analizzato Copertino – a favore di iniziative politiche ‘pulite’. “Terre Libere” e l’associazione culturale “Linea 5” nascono con l’obbiettivo di diffondere le esperienze, come quelle ascoltate, per un sentire comune. Vedo molti sbocchi all’orizzonte, proprio in questo periodo definibile di ‘barbarie’ per la cultura in generale.La professoressa Marchetti ha posto un ‘dizionario’ per uscire dal tunnel delle non proposte anche se“Terre Libere” non è un partito ma una rivista che può contribuire materialmente con le sue idee alla crescita dei partiti di sinistra, dato che non condividiamo quello che ha fatto sinora la destra. Ovvero portare l’Italia in questo stato attraverso un trasformismo, mascherato da un nostalgico e tramontato liberismo, a cui la sinistra non si è mai opposta: oltre all’incapacità ‘storica’ di agire, che molti le contestano, spesso si è anche prestata ad un gioco che non ha certo fatto gli interessi della gente.
Noi siamo qui con voglia di reagire dando quell’ABC di partenza per una proposta alternativa al Ddl Gelmini in direzione di uno spazio più ampio e condiviso di cultura, idee, etc…
Siamo ad un passo della privatizzazione del sistema, la soglia di attenzione deve rimanere alta da parte di ogni componente della società civile».
Le lotte sociali non mancheranno mai su questo pianeta fino a che non si arriverà alla consapevolezza che "L'unica vera rivoluzione è quella morale. Tutte le altre non sono che infelicità, spargimento di sangue e lacrime perse" diceva meno di un secolo fa il medico e scrittore francese Georges Duhamel.
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Autore: Domenico Sarrocco