Teatro: Gianni Schicchi e un gioiellino dell'Ipssar
È un vero e proprio gioiellino l'atto unico, liberamente ispirato al libretto operistico “Gianni Schicchi” di Giovacchino Forzano – musicato da Puccini in un Trittico dai cromatismi iridescenti –, che studenti e insegnanti dell'IPSSAR di Molfetta hanno confezionato per l'ottava edizione della “giornata dell'arte e della creatività studentesca”. Il riadattamento ha titolo “Solo per amore”, dichiaratamente allusivo al congedo del pucciniano “Schicchi”, dagli autori della pièce lievemente rimaneggiato allo scopo di enfatizzare il peso della componente dell'amore paterno nella decisione di Schicchi di ordire l'inganno fulcro dell'intreccio. La felice scelta del soggetto testimonia la fortuna di un celebre episodio dantesco, quello in cui compare – nel XXX canto dell'Inferno – il “folletto” Schicchi, artefice, a Firenze nel 1299, della falsificazione del testamento di Buoso Donati. Forzano, riprendendo l'accaduto, “con licenza del padre Dante”, scherzava nel congedo dell'opera su come per una “bizzarria” (compiuta, diceva Dante, per la regina della “torma”, la mula) il povero Schicchi, simpatica canaglia, fosse stato condannato alla dannazione eterna. Lo spettacolo si apre in penombra ed è fondamentalmente giocato sulle tonalità del blu, ora apparentemente ora realmente luttuoso, e di un rosso/camera ardente. Al centro della scena il baldacchino, su cui giace Buoso Donati, cui poi si sostituirà lo Schicchi nel momento di attuazione della beffa. Animatori della pièce sono l'arguzia di Gianni Schicchi, esaltata nel monologo di Rinuccio, e gli altalenanti umori di un coro di parenti serpenti. La dimensione corale si estrinseca tecnicamente nel loro ricorrente parlare all'unisono. La comicità risiede nell'estrema finezza di alcuni passaggi, ad esempio nello stridente contrasto tra il dolore declamato e artefatto dell'incipit – cartina al tornasole della sua falsità è l'atteggiamento scarsamente amorevole che il parentado mostra nei confronti del pestifero Gherardino – e quello irrefrenabile, assolutamente sincero, subentrato quando comincia a serpeggiare la notizia che Buoso ha lasciato gli interi suoi averi ai frati di Santa Reparata. Quei parenti che hanno prima amorevolmente approntato lo scenario della veglia funebre, mettono sossopra l'intera casa, rovistando persino tra le lenzuola del letto di morte del povero Buoso. L'atmosfera straniante raggiunge l'apice quando lo Schicchi, mandato a chiamare dall'aspirante genero Rinuccio, si stupisce, non conoscendone le reali motivazioni, dell'atmosfera luttuosa che domina in casa Donati e arriva a ipotizzare che il moribondo sia improvvisamente risanato. Sarà l'insistenza di Lauretta, sua figlia, innamorata di Rinuccio, che nello “Schicchi” commuoveva il padre con la delicata e celeberrima aria O mio babbino caro, a indurre Gianni all'ordire una messa in scena. Si fingerà Buoso morente e detterà un nuovo testamento, annullando il precedente. L'iniziale armoniosa esultanza del coro cederà il posto a beghe e meschine manovre per il possesso della mula, del mulino e della casa e lo spettatore, potrà, insieme allo Schicchi, constatare quanto effimero sia l' “amore tra i parenti”. Il finale, in una penombra in cui risuona ironica la formula del notaio Ser Amantio “Testes viderunt”, segna il trionfo dello Schicchi, che riserva a sé – per Lauretta e Rinuccio – i beni di maggior entità, ripartendo equamente gli altri tra i parenti del Donati. Comicissime le reazioni del coro, dalla sospensione all'esultanza, dallo sbigottimento alla ferocia, dalla ribellione al parossismo. Una scelta felice, uno spettacolo che, nella sua brevitas, riesce efficace e delizioso. Un plauso ai docenti che si sono occupati della regia e del coordinamento artistico: Adelaide Altamura, Teresa De Leo, Angela Pisani, Ida Porcelli, Francesca de Gennaro e Annamaria Russo e ad Antonietta Travaglini, che ha curato la suggestiva scenografia e i bei costumi. Bravi tutti gli interpreti: Nadia Nonnis, Dario Vacca, Tommaso Farinola, Vincenzo Grillo, Stefano Balzano, Erika Scaringella, Giuseppe Pappagallo, Isabella Sgroni, Pantaleo Alessandro, Gaetano Pisicchio, Stefano Lasaponara, Vito Coletto, Paolo Adesso. Ci piace segnalare Rosalba Mastrodonato, rocciosa e spocchiosa al punto giusto nel ruolo di Zita, e il bravissimo Dario Dell'Orco, un Gianni Schicchi imponente, spigliato, malandrino, auto-ironico al punto da procacciare al suo personaggio, divertendo il pubblico, quelle attenuanti che si concedono ai geniali autori di beffe ben ordite e ben orchestrate.
Autore: Gianni Antonio Palumbo