Tarzàn nel vento di Mennea
Qualcuno ha visto una bicicletta gialla che da sola si muoveva. Immaginatela una bici, sella in cuoio marrone che nei pressi del Viale dei Cipressi, corra senza che nessuno sia in sella. Non è un miracolo miei cari lettori, no! Semplicemente un ritorno delle cose nelle loro case. La Santa Messa era stata celebrata in un giorno dolce di maggio, allor quando l’alba pugliese taglia già nelle prime ore del mattino le pupille degli occhi, sbattendo la sua clarità sulla pietra bianca intagliata. Pochissime le persone presenti al suo funerale. Il Parroco di San Gennaro, due chierici, una perpetua, un lontano parente e due simpatizzanti appartenenti ad un’agenzia funebre. Tuttavia il Sindaco nel giorno della sua scomparsa ne aveva intessuto le lodi, facendo riferimento alla sua schiettezza, alla sua forza e genuina bontà. I Molfettesi d’altra parte avevano ancora memoria di un vero testamento lapidario direi, scritto da un immenso presule, oggi quasi Santo: don Tonino Bello. Lui l’aveva già visto navigare con i pesciolini, inabissarsi in oceani di speranza e restituire quella freschezza d’animo alla gente tutta. La notizia della sua scomparsa è rimbalzata velocemente. Tarzan è morto! A nessuno sembrava vera questa notizia. I bimbi del nuovo millennio non l’hanno potuto conoscere il Tarzan molfettese. Ogni papà, ogni mamma ne ha dovuto raccontare le gesta, con un pizzico di vellutata malinconia nel cuore, ora che anche un respiro pulito lo si deve cercare spostando sulle labbra una mascherina. Tarzàn per la precisione. Un accento grave ed uno acuto fanno la differenza tra la gente. Io l’ho conosciuto Tarzàn di persona. Ne ho colto probabilmente la sua essenza più matura. Correvano gli ultimi anni Ottanta. E correvano per me nel vero senso della parola! Ero tra i primi quindici marciatori d’Italia, specializzato nella 10 Km di Marcia. Tuttavia si gareggiava anche per distanze più lunghe come la 20 km su strada. In pratica passavo il pomeriggio a marciare per la città, soprattutto per le strade di campagna. Percorsi agresti che per me sono diventati una vera Università, una palestra di vita. Non c’erano telefonini, né era concesso portare cuffiette con walkman. Troppo pesante la scatoletta, e poi dove metterla! Ad ogni chilometro quella diventava dieci grammi più pesante. Dunque per le strade di campagna, io, il cronometro nella mano sinistra e poi il cielo, gli alberi e la strada. Spesso capitava che nelle vicinanze della Madonna della Rosa, o delle complanari della Statale 16bis (ancora in costruzione) incontrassi lui, Antonio Sciancalepore, ovvero Antonio Rizzi, per tutti Tarzàn. Torso nudo, medaglie podistiche in vista sul petto da fare invidia ad un Generale dell’Esercito; abbronzatura completa già dal mese di aprile e quel suo fisico scolpito, degno d’un atleta olimpico. Io marciavo e lui accanto a me sulla bici mi raccontava le sue stravaganti imprese. Mi diceva di quando si tuffava dagl’irti scogli della costa garganica, o dai pescherecci di Molfetta; delle sue gesta subacquee in cerca di ricci, di polpi, di frutti di mare di ogni tipo. Quelle sue perlustrazioni marine lui le faceva per davvero. Senza bombole o mute, come un vero delfino si tuffava e partiva. Era capace di restare minuti interi sott’acqua. Del resto tutti lo vedevamo, lo ammiravamo, lo gratificavamo con un applauso e con qualche moneta che certamente gli serviva più per lo spirito che per la carne. Camminavi per le strade di Molfetta e sentivi prima un brusìo di gente esterrefatta, poi alzavi gli occhi al cielo e stupivi diera a testa in giù, in perfetto equilibrio assile, con i piedi che puntavano al sole. Un esercizio spirituale, pensavo, una croce rovesciata che tanto avrà colpito l’immaginario collettivo, finanche quell’anima nobile del nostro don Tonino. *** Il 26 settembre del 1987, avevo sedici anni. Vidi per la prima volta dal vivo, Pietro Mennea. Ad un anno dal suo ritiro dalle scene olimpiche, il campione del mondo Barlettano venne ad omaggiare il nostro Giosuè Poli nel meeting a quest’ultimo dedicato. Sapevamo che il vento non si può vedere con gli occhi ma sentire solo coi sensi. E fu così! Mennea corse ancora una volta veloce, velocissimo. La tribuna era in delirio, applaudiva. Ma ci fu una sorpresa. Quella scena di trionfo si spezzò letteralmente in due. Tarzàn aveva fatto il suo ingresso nel campo sportivo. C’era sempre lui quando il buon Luigi de Lillo, affamato di sport e cose egregie nonché mentore di molti atleti locali, organizzava competizioni sportive. Tarzàn si avvicinò all’uomo più veloce del mondo e lo abbracciò. Quest’ultimo lo guardò e probabilmente riconobbe una parte di sé in quell’archetipo umano, i cui muscoli si chiamavano Ercole, il cui estro si diceva Prometeo, il cui coraggio si firmava Ulisse. Il pubblico era in visibilio. Più che il Sindaco o gli assessori del tempo a rappresentare la nostra città era stato lui: Tarzàn! *** Io penso che se in città non ci fossero uomini come Tarzàn, come Onorino, come Peppino, come Mezzabarba e così via, uomini un po’ matti ma liberi; si vivrebbe in un secchio vuoto, in un giaciglio senza sale, una conchiglia vuota e grigia. In Tarzàn, in Onorino, in Peppino in Mezzabarba, dimora una parte di noi che si completa per mezzo del loro Essere. È la parte più innocente e incosciente che ci conviene evitare. Del gregge loro sono il campanellino che ci fa trasecolare, svegliare; non ci fa solo pascolare. Loro sono l’estro, la fantasia, il coraggio che a volte a noi manca. Cari ragazzi, che non avete conosciuto il nostro Tarzàn, sappiate che un giorno c’era un eroe di nome Tonino che aveva il coraggio di far capriole nell’aria, di mettersi in verticale sulla muraglia di Corso Dante, che faceva mosse di Karate ma solo per difendersi dai pericoli della normalità; che correva in bicicletta tutto il giorno e non riposava mai, che coglieva i frutti del mare per renderli alle belle ragazze e, se non erano belle, lui gliele donava lo stesso. È esistito un uomo che alla sua morte ha finanche chiesto alla sua bici che lo seguisse perché potesse sdraiarsi finalmente sulla terra che lo ricopre con un fiore. © Riproduzione riservata