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Stampa sotto attacco Libertà in pericolo
15 novembre 2018

Puttane, pennivendoli, sciacalli, con questi appellativi sono stati apostrofati i giornalisti dai vertici del Movimento 5 Stelle, in particolare Luigi Di Maio e Alessandro Di Battista (perché noi giornalisti, a differenza di loro, facciamo nomi e cognomi, non spariamo nel mucchio, offendendo tutti). E questo per aver raccontato le vicende giudiziarie della sindaca di Roma, quella Virginia Raggi, che ha ridotto la Capitale a un sobborgo di un Paese di quelli che una volta si chiamavano “Terzo Mondo”. I grillini nel tentativo di superare il leader della Lega Matteo Salvini, nelle cui mani si rendono conto di essere ormai solo burattini, le sparano sempre più grosse, sempre più arroganti, sempre più eversive. Gli insulti ai giornalisti sono la spia di un malessere di personaggi inconsistenti, miracolati dal potere e baciati dalla fortuna per l’ingenuità di tanti italiani che hanno creduto in loro. Oggi i grillini vedono vacillare il loro consenso ottenuto su annunci e promesse irrealizzabili, come cominciano a capire, a proprie spese, soprattutto gli italiani. E i dioscuri meglio riusciti della pericolosa retorica di Beppe Grillo, oggi non sapendo come giustificare il dietro front su tutte le promesse, al pari di Salvini creano un finto nemico, sul quale riversare l’odio degli italiani. Il “ruspa” ha scelto i migranti, i neri, sollecitando le pulsioni razziste, i grillini hanno puntato sui giornalisti, che in passato hanno fatto loro comodo e appaiono scomodi a chi oggi è al potere. Ma i giornalisti sono sempre gli stessi, sono loro ad essere cambiati appena si sono seduti su una poltrona e hanno assaporato l’onnipotenza del potere (che, come sanno bene i loro predecessori, è sempre effimero!). Ma la verità va detta tutta. E i grillini devono prendere atto che sul caso Marra, al di là della verità giudiziaria, i giornali hanno fatto il loro dovere. Alcuni con accenti più pesanti, come Libero, Il Giornale e Il Tempo, altri con meno durezza, ma sempre senza sconti come la Repubblica, ma hanno ricordato, una cosa che non piace ai grillini, che fino ai ieri sparavano addosso a chi aveva solo un avviso di garanzia per due scontrini, vedi il caso Marino costretto alle dimissioni, e oggi difendono a spada tratta Virginia Raggi, che deve restare immacolata, altrimenti ne va della credibilità del Movimento. Ma dopo aver recitato i mantra dell’onestà, trasparenza e discontinuità rispetto al vecchio modo di fare politica, la Virginia, non può promuovere il fratello del suo capo gabinetto, vice sindaco, aumentandogli lo stipendio. E così la promozione del suo intimo amico Romeo da impiegato a dirigente con stipendio triplicato, al punto che è dovuta intervenire l’Autorità anticorruzione. Queste cose hanno scritto i giornalisti, ma i dioscuri, un po’ vigliacchetti, non hanno attaccato la magistratura che su questi fatti ha indagato, facendo scoppiare lo scandalo, ma sui giornalisti che li hanno raccontati, disturbando così i manovratori. E’ questo il governo del cambiamento? In peggio, sicuramente sì. I grillini sono stati capaci di fare peggio di Berlusconi, con l’editto bulgaro verso Biagi, Santoro e altri. E oltre agli insulti, hanno diffuso minacce, come quelle di rivedere il finanziamento pubblico ai giornali (ignoranti, anche in questo: perché i grossi giornali non prendono più contributi, assegnati solo ai piccoli e alle cooperative) e di abolire l’Ordine dei giornalisti. Perché non anche di quello dei medici, degli avvocati, ecc? Tra l’altro i giornalisti, non quelli pubblicisti come Di Maio, per i quali basta la certificazione del direttore anche di un giornalino di provincia per essere iscritti, ma quelli professionisti devono un esame di Stato a Roma. Esame che forse, il poco acculturato Di Maio, non avrebbe mai superato. Il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, ha accusa i grilli: “vergognatevi per la vostra aggressività, voi che, in occasione di qualsiasi indagine giudiziaria, vi siete comportati come iene, ora chiedete scusa”. Non dimentichiamo che molti di quei giornalisti chiamati “puttane” hanno denunciato in anticipo Mafia capitale, che ha fatto la fortuna dei 5 Stelle, e hanno attaccato il precedente sindaco Ignazio Marino, colpevole per due scontrini, aprendo la strada alla Raggi. Non bisogna dimenticare che molti giornalisti vivono sotto scorta proprio per aver fatto emergere le mafie, ma anche le storie dei Regeni e dei Cucchi, i misteri dello Stato e le porcherie dei Servizi deviati. Loro stessi, i 5 Stelle, hanno attinto proprio a queste notizie per le loro campagne elettorali. Ma allora riguardavano gli altri, oggi i loro amici e le accuse si sono rovesciate con vergognosa ipocrisia. Ecco, ora con troppi grilli alla testa e con bastonate di Salvini da far vedere loro molte più delle 5 stelle, sentono scricchiolare il consenso da quando sono al governo al rimorchio del leader della Lega Nord. Hanno paura di perdere i privilegi, come quello di Alessandro Di Battista di potersene andare a zonzo in Sudamerica o dei novelli parlamentari di percepire 15mila euro al mese senza fatica: tutti personaggi che non hanno mai lavorato in vita loro. E oggi vivono comodamente a spese degli italiani che ingenuamente hanno creduto che i pentastellati avrebbero cambiato il mondo e la politica. E come scrive Enrico Mentana: “Il livore dei 5 Stelle verso l’informazione è comprensibile solo per la frustrazione di non potere, da giustizialisti integrali, attaccare chi ha portato a giudizio la Raggi, non i giornalisti, ma i magistrati”. E, inseguendo Salvini, che questa volta furbescamente tace, per far rosolare a fuoco lento i grillini nel loro stesso olio, in attesa di raccoglierne frutti e voti, i pentastellati spargono odio e veleni sui giornalisti. Poveri grillini, hanno perso le staffe: miserabili e inadeguati, rispondono alle incapacità con gli insulti. Sono puttane solo i giornalisti e non anche i politici che per non mollare la poltrona, tacciono di fronte alle accuse razziste di Salvini loro alleato? E tacciono anche di fronte ai vergognosi condoni contro i quali in passato avrebbero gridato allo scandalo. Almeno i giornalisti lavorano, alcuni male, ma lavorano e si sporcano le mani, non governano un Paese, come ha scritto qualcuno “con un curriculum che alla gente comune magari non basta per fare il corriere”. Insomma, è caduta la maschera e ha rivelato un volto brutto, cattivo e rancoroso. Ora il re è nudo, Grillo si tiene da parte e manda al massacro i suoi “figli” che non si rendono conto di non poter più urlare e insultare come prima, stando al governo e rappresentando le istituzioni. Questi sono accattoni senza pudore, senza rispetto delle istituzioni, delle regole democratiche e della Costituzione che all’art. 21 tutela la libertà di stampa. E la gente oggi si accorge del vuoto di una classe politica senza cultura. Sta anche a noi giornalisti metterlo in evidenza, senza timore degli insulti, perché scriviamo in nome dell’opinione pubblica, di quel popolo che ha eletto gli attuali governanti affidando a noi il compito di esercitare, bene o male, una funzione di controllo. Siamo il contropotere, scomodo che, però, rischia in proprio, pagati con pochi soldi e senza lo scudo dell’immunità parlamentare. Stiamo vivendo un periodo di oscurantismo democratico provocato dal populismo che è sempre l’anticamera del totalitarismo. In quest’Italia sempre più povera e cattiva, razzista e rancorosa, si alimenta l’intolleranza verso l’informazione, diffondendo odio nei confronti dei giornalisti che, invece, vanno tutelati non solo dalle minacce, ma anche da querele temerarie e infondate, avviate solo per dare fastidio e impedire loro di svolgere un mestiere sempre più difficile in una società sempre più confusa. E nessuno sfugge a questa logica, nemmeno gli Stati Uniti una volta simbolo della democrazia, che oggi vedono perfino un presidente cacciare un giornalista da una conferenza stampa per una domanda scomoda. La violenza verbale – e questo vale anche per Salvini – porta solo a una deriva senza controllo. A Di Maio, Salvini e compagnia, ma anche a Trump, vorremmo ricordare ciò che disse il 16 gennaio del 1787 un grande presidente degli Stati Uniti, Thomas Jefferson: “Se dovessi scegliere tra un governo senza giornali e giornali senza un governo, non esiterei a scegliere la seconda soluzione”. © Riproduzione riservata

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