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Sono passati 10 anni. Ma don Tonino non è passato In anteprima alcuni stralci dell'intervento di don Ignazio Pansini al convegno
15 aprile 2003

La sua presenza non risulta essere stata vana né vanificata. Egli rimane ancora nelle nostre pupille dilatate con quel sorriso aperto che esprimeva tenerezza, dolcezza e forza, insieme. Tenerezza nel suo agire, dolcezza nel suo rapportarsi, forza nella sua prontezza a farsi carico della debolezza altrui. Sono passati dieci anni da quel meriggio atteso e scongiurato di quel 20 aprile del 1993, in cui non fu solo questa chiesa a sentirsi in lutto, perché era morto il fratello amabile e buono, incarnazione felice e soave della bontà. Bontà era il suo volto, il suo sorriso, il suo sguardo, il tono della sua voce, persino il suo rannicchiarsi nel dolore. Sono passati dieci anni da quel pomeriggio, triste ma colmo di luce, di quel 20 aprile, in cui si concluse la lunga liturgia celebrata da don Tonino sull'altare del suo dolore dal quale aveva offerto la più credibile parola d'amore e impartito la più carica delle benedizioni: "Vi benedico da un altare scomodo ma ricco di grazie. Vi benedico da un altare coperto di penombre, ma carico di luce. Vi benedico da un altare circondato da silenzi, ma risonante di voci". Sono passati già dieci anni. E sembrerebbe ormai una impresa facile parlare di don Tonino, dopo tutto quello che si è scritto e si è detto su di lui. E invece è una cosa tremendamente difficile. Man mano che il tempo passa, riemergono episodi e parole rivelatrici di nuovi e più profondi caratteri del suo impegno, vengono scoperti aspetti ignorati della sua fisionomia, e la sua figura va acquistando una più marcata identità. Si son tenuti tanti discorsi sul vescovo di Molfetta e presidente di Pax Christi: sono tutti belli, ma appaiono tutti incompleti. Di lui si è evidenziato l'impegno per la pace, l'attenzione verso i deboli, la cura per i sofferenti, la capacità di scrittore, l'arte del poeta, l'impegno civile, la testimonianza cristiana. Eppure si sente chiaro che la sua figura sconfina dal tracciato di qualsiasi eloquenza, si percepisce con immediatezza che la sua persona non può essere circoscritta da nessun giro di parole. Ritengo che ci sia un solo discorso capace di tratteggiare e contenere l'eccezionale figura di questo vescovo, molte volte confitto ma mai sconfitto. E' il discorso delle beatitudini. Tentiamo quindi di crocifiggere sull'intelaiatura del discorso della montagna, pronunciato da Cristo, la figura di quest'uomo, la cui vita fu una continua risposta appassionata all'invito: "Vieni e seguimi". Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli E qui è facile e lieto il ricorso al ricordo della sua voce quando, quel suo ultimo Giovedì santo porse le ultime volontà alla sua chiesa: Coraggio! Vogliate bene a Gesù Cristo, amatelo con tutto il cuore, prendete il Vangelo tra le mani, cercate di tradurre in pratica quello che Gesù vi dice con semplicità di spirito. Poi, amate i poveri. Amate i poveri perché è da loro che viene la salvezza, ma amate anche la povertà. Non arricchitevi. Non erano vaneggiamenti. Era la sintesi di quella che era stata la forza del suo agire. "Audiant et laetentur": ascoltino (gli umili) e si rallegrino. Fu il filo seguendo il quale si snodò il suo cammino. Amò i poveri e ne ricercò la presenza. Gennaro l'ubriaco, Giuseppe avanzo di galera, Massimo il ladro, Alì e Mohamed tra i tanti "marocchini", Alfredo e Onofrio tra i tossicodipendenti, gli sfrattati accolti in casa sua, i tanti relitti di una società che gioca sulla pelle dei poveri: sono stati questi a scandire i tempi e a segnare la misura del suo amore. Tutti indistintamente ha amato, a tutti totalmente si è donato. Mai ha chiesto nulla in cambio. Li ha amati perché uomini, ha condiviso se stesso perché figli di uno stesso Padre. Non solo don Tonino ha amato i poveri. Si è fatto egli stesso povero. Mai si è fatto forte del suo ruolo. Allo scettro ha preferito il pastorale. Non era una povertà sofferta ma goduta, non costretta ma partecipata. Beati coloro che piangono, perché saranno consolati Ha mai pianto don Tonino? Noi l'abbiamo visto sempre sorridere, ma ha avuto anche lui i suoi momenti di dolore. Ha pianto quando ha avvertito che nell'uomo non c'era più spazio per l'amore, quando ha constatato che si preferiva costruire archi per lanciare morte anziché ponti su cui far camminare la pace, quando ha visto che veniva schiacciata la dignità dell'uomo e quando ha visto calpestato il pane consacrato. Seppe soprattutto piangere con gli altri e soffrire: ne sanno qualcosa gli albanesi sbarcati a Molfetta e più ancora quelli confinati nel lager-stadio di Bari. Ha condiviso l'amarezza delle lacrime con quanti erano vittime di una inutile e "costruita" guerra nel Golfo, accettando di essere messo alla berlina dai benpensanti e da quanti usavano la penna come obice. Sarajevo conosce bene il dolore e le lacrime di tale vescovo sognatore. La sofferenza causata, più che dalla malattia, dall'indifferenza con la quale il mondo ha vissuto una guerra fratricida, è stata offerta perché diventasse concime in vista di frutti di pace. Beati i mansueti, perché erediteranno la terra Che cosa era la mitezza di don Tonino? Era lui stesso. Era il suo modo di agire. Era la sua stessa identità. Postosi alla fedele sequela di Cristo, come questi egli fece della mansuetudine la sua forza. Non rifiutò la sua spalla a coloro che lo volevano colpire, né rispose con violenza a chi lo oltraggiava. Fidando nel Signore, solo al Suo giudizio si affidò. Era, la sua, una profonda umanità, che non creava distanze, che anzi le abbatteva al primo colpo. Chi, incontrandolo, non si sentiva già a suo agio? Chi non avvertiva in quel suo sguardo uno slancio di ammirazione? Non c'era persona nella quale egli non sapeva riscontrare un elemento positivo. Non c'è stato interlocutore che, dinanzi a lui, si sia sentito poco importante. Non schiacciava nessuno con la sua "santità", ma creava un'atmosfera di profonda simpatia e di spontanea fiducia. E quando l'altro non veniva riconosciuto nella più profonda identità, l'amarezza emergeva dalle sue parole: Oggi, purtroppo, da noi non si carezza più. Si consuma solo. Anzi si concupisce. Le mani, incapaci di dono, sono divenute artigli. Le braccia, troppo lunghe per amplessi oblativi, si sino ridotte a rostri che uncinano senza pietà. Gli occhi, prosciugati di lacrime e inabili alla contemplazione, si sono fatti rapaci. Lo sguardo trasuda delirio. E il dogma dell'usa e getta è divenuto il cardine di un cinico sistema binario, che regola le aritmetiche del tornaconto e gestisce l'ufficio ragioneria dei nostri comportamenti quotidiani. Perciò si violenta tutto. E non soltanto le cose... Beati quelli che hanno fame e sete di giustizia, perché saranno saziati E' stato un uomo fedele al disegno di Dio sull'umanità: ne ha annunciato l'amore, ne ha proclamato la misericordia, ne ha indicato il progetto salvifico impegnandosi nella sua realizzazione. Impegnò attivamente le sue energie offrendole a Dio perché attraverso l'uso delle stesse Dio desse compimento al suo progetto di salvezza. Confidò in Dio sapendo che non la legge umana, ma solo la giustizia divina era in grado di dar senso al cammino dell'uomo facendone un itinerario di resurrezione. L'impegno nella realizzazione di siffatto progetto lo ha visto in prima linea per indirizzare allo sfiduciato la sua parola di consolazione, per sollevare dalla polvere chi era caduto vittima di una delle tante violenze, per accarezzare con quelle sue mani tozze, ma così dolci, il volto di chi da altri era scansato. Amante della vita si contrappose a quanti disegnavano progetti di morte e respinse i suoi tentacoli. Coltivate gli interessi della pace, della giustizia, della solidarietà, della salvaguardia dell'ambiente. Il mondo ha bisogno di voi per cambiare, per ribaltare la logica corrente che è logica di violenza, di guerra, di dominio, di sopraffazione. Il mondo ha bisogno di giovani critici. (...) Diventate voi la coscienza critica del mondo. Diventate sovversivi. Non fidatevi dei cristiani «autentici» che non incidono la crosta della civiltà. Fidatevi dei cristiani «autentici sovversivi» come San Francesco d'Assisi che ai soldati schierati per le crociate sconsigliava di partire. Il cristiano autentico è sempre un sovversivo, uno che va contro corrente non per posa, ma perché sa che il Vangelo non è omologabile alla mentalità corrente. E' in questa ottica che può essere letto e compreso il suo impegno contro i costruttori e i venditori di morte, di qualsiasi morte, della morte che passa attraverso le armi come pure di quella che si propaga grazie ad una situazione di fame e di sottosviluppo, della morte del diritto e ancor più di quella della dignità dell'uomo. Seppe far sue le sofferenze dei fratelli e le offese di cui erano vittime i suoi amici. E ripetutamente offrì la sua dialettica in difesa dei pacifisti bistrattati dalla stampa nazionale. Fu pacata la risposta anche quando vide pubblicamente denigrato il suo impegno per la pace, come Vescovo e come cittadino, da un Ministro di questa Repubblica che pure ripudia la guerra. Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia Non seppe odiare nessuno. Dialogò con tutti e pose la stessa chiesa in situazione di colloquio. Da essa non emarginò nessuno, ma anzi ne mise a disposizione le forze e le strutture anche per chi ne rifiutava la presenza. Il colloquio era basato non sulla negatività o sugli elementi di contrasto, ma sulla positività degli uomini e su quanto era occasione di incontro. Non fece che lanciare ponti, avvertendo la fobia del chiuso, preso dall'orrore delle facili condanne: conversò con tutti, ma soprattutto con i lontani, i peccatori, gli "ultimi". La Chiesa deve annunciare, denunciare, rinunciare. Annunciamo molto, denunciamo molto, dobbiamo anche rinunciare: qui non siamo molto coinvolti. Ecco allora quella grande categoria: «farsi vicino». Etica che prende il nome di solidarietà. Nella "Sollicitudo rei socialis" è l'unico imperativo etico attorno a cui si annoda tutto il discorso. La solidarietà è il motivo architettonico supremo... Come comunità cristiane dobbiamo vivere nei sotterranei della storia con i poveri. Dobbiamo essere sobri e vigilanti. Dobbiamo condividere con la nostra ricchezza la loro povertà; parlare il linguaggio dei poveri, entrare nel loro mondo, attraverso la porta dei loro interessi; aiutarli a crescere rendendoli protagonisti del loro riscatto e non i punti terminali delle nostre esuberanze caritative, i destinatari inerti delle nostre strutture assistenziali. I perfezionisti delle requisitorie e delle condanne insorsero, quando accolse gli sfrattati, quando raccoglieva gli ubriaconi, quando fece confluire gli sforzi verso i tossici, quando favorì l'accoglienza dei nordafricani, ma egli non demorse dal suo impegno che scaturiva dal cuore ed era animato dalla ragione. Dinanzi all'incomprensione degli altri, e fra questi non pochi "suoi figli e confratelli", ne soffrì molto, ma pazientò, tirò avanti, consolandosi che anche verso Gesù si era detto male. Credette fino in fondo nella bontà degli uomini. Beati i puri di cuore perché vedranno Dio La vita di don Tonino è stata contrassegnata dal dialogo con Dio: innumerevoli le sue notti in preghiera, colmi di luce i suoi messaggi scritti in cappella, dinanzi al Tabernacolo, utilizzando un tavolino sul quale erano evidenti, l'una accanto all'altro, la Bibbia e un Vocabolario. La sua esperienza è stata un segno della benedizione di Dio. La limpidezza del suo sguardo, la trasparenza dei suoi gesti, la chiarezza del suo linguaggio, tutto era occasione di incontro con l'Amore. Mai si poneva fra la creatura e il Creatore, ma poneva se stesso come strumento perché la ricchezza di Dio fosse da tutti percepita. La purezza di cuore di don Tonino ci richiama a quell'amore per la poesia che egli coltivava. Ci conduce pure alla gratitudine e all'esaltazione della bellezza che in Maria di Nazaret trova il suo canto più armonico. Santa Maria, donna bellissima, splendida come un plenilunio di primavera, riconciliaci con la bellezza. (...) Aiutaci, ti preghiamo, a superare l'ambiguità della carne. Liberaci dal nostro spirito rozzo. Donaci un cuore puro come il tuo. Restituiscici ad ansie di incontaminate trasparenze. E toglici la tristezza di dover distogliere gli occhi dalle cose belle della vita, per timore che il fascino dell'effimero ci faccia depistare i passi dai sentieri che portano alle soglie dell'eterno. Santa Maria, donna bellissima, facci comprendere che sarà la bellezza a salvare il mondo Beati i facitori di pace, perché saranno chiamati figli di Dio Convinto che la pace non è un bene da godere, ma da costruire, si pose alla scuola del Principe della pace e ne seguì fino in fondo gli insegnamenti. L'impegno per la pace non si è fermato all'aspirazione, ma lo ha visto percorrere le strade più impervie e affrontare i cammini più inusitati. Mai illudendosi, ma partendo dal cuore, riconoscendo in esso l'origine e il fondamento su cui costruire la pace. La sua pace non era quietismo, ma annuncio rivoluzionario che sconvolgeva i progetti umani. Impegnò le sue forze non alla ricerca di fragili equilibri, ma per dare senso all'invito del Signore perché ognuno si rendesse partecipe nella costruzione del Regno. Causava notti insonni il suo impegno per la pace. Capace di provocare entusiasmi e insieme dubbi. A dire il vero, noi non siamo molto abituati a legare il termine «pace» a concetti dinamici... La pace, insomma, ci richiama più la vestaglia da camera che lo zaino del viandante. Più il conforto del salotto che i pericoli della strada...Occorre, forse, una rivoluzione di mentalità per capire che la pace non è un «dato», ma una conquista. (...) La pace richiede lotta, sofferenza, tenacia. Esige alti costi di incomprensione e di sacrificio. Rifiuta la tentazione del godimento. Non tollera atteggiamenti sedentari. Non annulla la conflittualità. Non ha molto da spartire con la banale «vita pacifica». Non elide i contrasti. Espone al rischio di pericolosi ostracismi. Postula la radicale disponibilità a «perdere la pace» per poterla raggiungere. Sì, la pace, prima che traguardo, è cammino. E per giunta, cammino in salita. Beati i perseguitati a causa della giustizia, poiché di essi è il Regno dei cieli La persecuzione segna una caratteristica che è propria dei profeti. Esprimere la propria dimensione profetica significa offrirsi al biasimo dei benpensanti, di quanti sono paghi di se stessi. Essere profeti significa esporsi alla persecuzione, alla tribolazione, al rifiuto. Hanno subito tale sorte tutti i profeti. Non è stato esente Gesù, il quale ha promesso la stessa sorte ai suoi discepoli: "Come hanno perseguitato me, così perseguiteranno anche voi" (Gv. 15,20). La persecuzione è provocata dal rifiuto del mondo verso Dio. La persecuzione, in tal senso, è segno che si è dalla parte di Dio, il quale non abbandona il suo discepolo. Don Tonino, schieratosi apertamente con Cristo, dando se stesso perché la realizzazione del Regno non divenisse una utopia oppiacea, ha subito anch'egli la persecuzione. Alla violenza con la quale alcuni rifiutavano le sue profezie rispondeva con la nonviolenza delle sue scelte e con la mitezza del suo esprimersi. In piena assonanza con Cristo, ha rischiato anche di essere frainteso pur di offrire segni di comunione nella Chiesa e tra le chiese. Ha sofferto perché le sue scelte, proiezioni di un mondo altro nell'oggi, non sempre erano comprese e condivise. Profeta nell'annuncio della pace come nucleo essenziale del messaggio cristiano, profeta nel dare al grembiule la stessa sacralità della stola, profeta nel suo essere veramente libero, profeta nel suo richiamo a non staccarsi dalle alle radici, profeta nel suo stare in frontiera, profeta anche nel linguaggio. Autentico profeta. Verranno tempi difficili, ma noi li dobbiamo affrontare con grande speranza. Perché se ce la mettiamo tutta le cose dovranno cambiare... Non abbiate paura, quindi, carissimi fratelli. Chiediamo al Signore, chiediamo alla Vergine santa che faccia traboccare nel nostro cuore la speranza in tempi migliori" ... "Vi faccio tanti auguri per la vostra vita, per i vostri sogni, per il vostro futuro. Non abbiate mai ad avere paura di essere carichi di utopie, carichi di queste idealità purissime, soprattutto quelle che si rifanno ai grandi temi della pace, della giustizia, della solidarietà che, tutto sommato, son temi che si stringono in quella parola: freedom. Oh freedom, libertà! Che cosa è possibile aggiungere per ricordare quest'uomo che fu povero, sofferente, mite, misericordioso, amante della giustizia e della pace, trasparente dinanzi agli uomini e immacolato avanti agli occhi di Dio? Nulla. Non ci rimane che usare la stessa terminologia di Gesù, e chiamarlo anche noi "beato". Certi che dal Padre sarà stato già indicato come "benedetto" ed accolto nel Suo Regno di Pace, perché don Tonino Lo ha riconosciuto nei poveri e li ha amati, Lo ha incontrato nei senzatetto ed è stato disponibile ad ospitarli, Lo ha visto negli esclusi dalla società e si è fatto loro prossimo… incontrando Dio. don Ignazio Pansini
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