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“Sono o cosa sono?”: cosa si sarebbero detti Galileo e Cartesio se si fossero incontrati? Spettacolo al Teatro dei Comici di Molfetta
Galileo e Cartesio
25 ottobre 2018

MOLFETTA - Un dubbio, una domanda, una curiosità: “Mi chiedo cosa si sarebbero detti Galileo e Cartesio se si fossero incontrati?”. Con questo interrogativo iniziò una lezione di filosofia dell’anno scolastico 2017/2018 della prof.ssa Maddalena Salvemini tra i banchi del Liceo Classico “Leonardo Da Vinci” di Molfetta. Gli stessi banchi e lo stesso interrogativo che hanno ispirato la studentessa Anna Ely Nappi del “Da Vinci”, che secondo il maestro Francesco Tammacco del Carro dei Comici ha frequentato un corso prefetale di teatro, alla realizzazione dello spettacolo “Sono o cosa sono?”.

Un dubbio anche il titolo della rappresentazione, che vede protagonisti i due filosofi accomunati dalla passione per la ricerca. 

Da una parte Galileo che sa di vedere, che sa di conoscere, interpretato da Paolo de Nicoló, dall’altra Cartesio, i cui panni sono stati rivestiti da Pierluigi de Palma, sempre pronto a chiedersi il perché e non il come, per adempiere appieno al compito del filosofo. 

Quello che più che un compito è una missione, la missione di chi ha in pugno la verità e deve necessariamente farla valere.

“Sono o cosa sono?” è lo spettacolo che dà voce al progresso, al cambiamento, alla rivoluzione; è lo spettacolo che dà voce all’indipendenza della scienza, sempre più avulsa dall’essere ancilla teologiae; ma è anche, e soprattutto, lo spettacolo che dà voce alle domande, facendo crollare quelle “certezze così piacevoli che in realtà sono solo vane illusioni”.

A parlare è proprio la luna, rappresentata da Annapaola Ragno, fra gli elementi che più mette in crisi i due filosofi in seguito alla scoperta delle macchie lunari, fino a quel momento scambiate con corpi celesti allineatisi in corrispondenza di essa. Il simbolo di una perfezione che non è perfetta, di una verità che non è vera, di una certezza che non è certa.

E che certamente sconvolge Andrea, allievo di Galileo interpretato da Leonardo Ciannamea, per nulla pronto ad accettare il mondo così com’è e non come lo si è idealizzato. Andrea non è una voce fuori coro, ma l’espressione del suo tempo, dell’epoca in cui la comunicazione rappresenta l’unica via di salvezza per la verità, ma allo stesso tempo anche la morte fisica che Galileo può evitare soltanto con la morte intellettuale.

Quella cui Galileo arriva solo dopo aver lottato, dopo aver tentato tutto, senza mai abbandonare uno degli strumenti principali che hanno caratterizzato non soltanto la scenografia della rappresentazione teatrale, ma anche la vita di colui che non è stato solo un filosofo, ma

anche un letterato ed uno scienziato. Si tratta naturalmente del cannocchiale, che permette di vedere chiaro, di osservare e di capire che c’è sempre un’altra prospettiva da cui guardare le cose.

Una delle tante prospettive la offre questo spettacolo, che unisce recitazione e intermezzi di danza che hanno contato sulle coreografie di Antonella de Trizio e Moreno Duni, ma che più di tutto unisce il presente a un’epoca apparentemente lontana.

Ma che di lontano ha ben poco perché ancora oggi quella per la verità e per l’indipendenza è una lotta tutta da combattere con lo stesso spirito dubitativo proprio di Galileo e Cartesio. Quello stesso spirito che, attraverso la messa in discussione di tutto quanto, ci dà la certezza di essere umani.

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