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Sinistra, l’isola che non c’è
15 novembre 2017

Seconda stella a destra / questo è il cammino / e poi dritto, fino al mattino / poi la strada la trovi da te / porta all’isola che non c’è. Così Bennato nella sua canzone “L’isola che non c’è”, che richiama la favola di Peter Pan e ci ha ispirato il titolo. C’è, invece, un luogo dove i cittadini non si sentono rappresentati, dove crescono le diseguaglianze provocate dal capitalismo finanziario che ha distrutto la classe media, ha svalutato il lavoro, cancellato i diritti aprendo la strada a una disoccupazione di massa e a una precarietà endemica alla quale abbiamo condannato i nostri giovani. Un Paese che non è per giovani, dove i vecchi sono stati garantiti e in nome di quelle tutele e quei benefici, oggi si chiede loro di non andare in pensione, per garantire le loro stesse pensioni che l’Inps non è in grado di assicurare come un tempo. Un cane che si morde la coda, mentre cresce la povertà e l’insicurezza sociale. I giovani precari e infelici, si preparano ad essere uomini di un domani triste che non garantirà loro benessere e nemmeno una previdenza adeguata. E non si venga a raccontare che l’allungamento dell’età pensionabile, dettato dalla maggiore aspettativa di vita è il sistema per garantire il futuro ai nostri figli. Come? con l’eredità che percepiranno dalle liquidazioni (non più milionarie) dei genitori? O con i debiti accumulati con l’Ape che permette di uscire qualche anno prima dal lavoro? Le ingiustizie sociali perpetrate in questi anni di liberismo esasperato, che ha eliminato l’equità e cancellato la progressività fiscale, aprendo la strada e garantendo l’evasione fiscale a prezzo di condoni sempre dietro l’angolo, si sono allargate favorendo l’egoismo della democrazia, cavalcato dai populismi e dalle destre che stordiscono il popolo bue, creando illusioni e falsi paradisi, per conquistare il potere. In questo scenario non solo italiano, ma europeo dove le destre, i nuovi fascismi, la cultura xenofoba e il populismo becero avanzano, la sinistra già svuotata di identità culturale politica, brancola nel buio o litiga sulle soluzioni pasticciate di alleanze con la destra berlusconiana, che oggi incassa il premio delle cosiddette aperture che non sono la “grande coalizione” istituzionale per battere la crisi, ma il cavallo di troia per entrare nel palazzo, senza combattere e con l’aiuto degli stessi nemici. In questo disegno più improvvisato che studiato a tavolino da una destra che cresce sugli errori degli avversari, prevale la personalizzazione della politica che trova in Matteo Renzi il suo più valido rappresentante. Le sconfitte sembrano non riguardarlo e dopo tre batoste elettorali, non si cura di prenderne una quarta. E mentre in Europa si incrina il mito delle tre M (Merkel, May, Macron) il nostro Matteo continua sulla sua strada, senza accennare ad alcuna correzione di rotta, come conferma la sua intervista molto presuntuosa su La7 dopo la ritirata strategica del candidato premier dei 5 Stelle, Luigi Di Maio nella preannunciata sfida col segretario del Pd. Nessuna autocritica, nessuno spazio a una riflessione collegiale: non fanno parte del suo Dna e solo a parole apre ai fuorusciti e ai dissidenti. Purché non si faccia alcun passo indietro sulle riforme e sulla sua premiership. Se questo è il modo di dialogare, mantenendo la logica dell’uomo solo al comando, è sicuro che andrà a schiantarsi anche alle politiche, aprendo l’Italia all’avventura della destra e del populismo becero. Non avvertire la propria parabola grandi personaggi. Soprattutto se non si accorge che sono tempi duri per la sinistra in tutto il mondo, ma votarsi alla sconfitta sicura (come in Sicilia) mostrando una finta (o presuntuosa) sicurezza, non aiuta il dialogo. Insomma, Renzi fa come Ventura con la Nazionale: va a schiantarsi sorridendo, per poi piangere dopo. Solo che a piangere non sarà solo, ma con milioni di italiani. Credere di controllare e dirigere Berlusconi è solo illusorio: il risultato è quello di averlo resuscitato col Nazareno e oggi il Cavaliere passa all’incasso. La gente lo ha capito e si astiene dal voto: il paradosso è che una volta erano gli elettori di destra a non votare, oggi sono quelli di sinistra, che vedono le varie leggi elettorali, compreso l’infame Rosatellum, che li escludono dalle scelte, come un sistema dei politici per garantirsi e spartirsi le poltrone. Insomma non ci riconosce più in una identità collettiva. Un margine di manovra, invece, per recuperare terreno alle politiche, ci sarebbe. Serve fare un passo indietro, soprattutto quando il 75% degli italiani, secondo alcuni sondaggi, non lo hanno in simpatia. Occorre riconnettere la sinistra con la società attraverso quella che viene definita “economia circolare”: no alle grandi opere e al consumo di suolo, sì all’intervento pubblico in economia, meno politiche europee di austerità. Un progetto riformista di cambiamento che permetta ai cittadini di sentirsi tutelati e rappresentati, contro il sovranismo incombente, che come il suo gemello nazionalismo, ha portato solo crisi, diseguaglianze e sciagure. Fate qualcosa di sinistra, come chiedeva Nanni Moretti, tipo lo ius soli, l’accoglienza ai migranti e il testamento biologico. Anche a Molfetta si naviga a vista in una città, che è stata ancora una volta laboratorio politico del qualunquismo delle liste civiche, alle quali si è aggregato un Pd senza storia, rappresentato da chi ha avuto altre storie, passando dalla destra al finto riformismo socialista, fino all’ammucchiata di destracentro, camuffata da progetto civico. E il recente congresso del partito lacerato e confuso, non ha dato al popolo di sinistra le risposte che chiedeva. Divisi i posti al 50%, si aspettano le politiche per vedere quali saranno le risposte degli elettori, Ma saranno elettori di sinistra? O trasformisti al seguito dei nuovi iscritti di opposta provenienza. E il Pd locale, pur di dividersi le poltrone (moltiplicandole come avviene con le società partecipate) dice sì alle grandi opere, al consumo di suolo, alla gestione dell’esistente, senza una capacità di progettualità che esiste solo nei faraonici programmi elettorali che si devono scontrare, però, con una realtà difficilmente governabile, dove la tolleranza dell’illegalità la fa da padrone: lo si è visto con l’emergenza rifiuti che è diventata normalità nell’accettazione della violazione delle regole, per non perdere consensi. Così anche a Molfetta, mentre la giunta “ciambotto” di destracentro galleggia, la sinistra non riesce a ritrovarsi in un progetto comune, in attesa che da Roma possa arrivare qualche dritta, per cercare di risollevarsi dalla batosta elettorale e da una sconfitta paragonabile a quella della nazionale italiana contro la Svezia. Dov’è la sinistra a Molfetta? Ancora alla ricerca dell’isola che non c’è, mentre la gente di sinistra si interroga sul proprio futuro e su quello di una città senz’anima, come chi oggi la governa.

Autore: Felice de Sanctis
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