Shoah: il giorno della memoria, per non dimenticare
27 gennaio 2006. La Fabbrica di San Domenico, come nei giorni precedenti, diviene teatro delle iniziative volte a rievocare la Shoah (nella foto, un significativo disegno del giovane Alberto Fiele: “Dio prende appunti”). Lungo il chiostro sono esposte su pannelli le opere del concorso d'arte visiva e poesia “Ricordare per non dimenticare, ricordare per non sbagliare ancora”. È questo il leitmotiv che, nelle elaborazioni di giovani studenti dalle elementari alle medie superiori, ci introduce nella rievocazione dell'inferno dei lager, tra deliranti esaltazioni naziste di un 'lavoro' (in condizioni disumane) che rende liberi, aneliti di pace, struggenti interrogativi di Levi e, su tutte, l'immagine di Dio che prende appunti, mentre si leva un grido di dolore dal naufragio dell'umana pietà.
Le manifestazioni del giorno della memoria, promosse anche nei giorni precedenti da “Amnesty International”, “Arci. Il cavallo di Troia” e “Casa dei Popoli” con il patrocinio del Comune di Molfetta, si aprono con la proiezione di video, momento di grande suggestione, perché da un coro di sopravvissuti ad Auschwitz vengono ricostruite, con sofferenza ed estrema dignità, le tappe del genocidio del popolo ebraico in Italia.
Le leggi razziali del '38, che, tra l'altro, impedirono a giovanissimi Ebrei di andare a scuola, rivivono nel pianto di un bambino tra le braccia della bidella o nell'orgogliosa reazione di un'adolescente, che continuava ad andare in giro con i libri in mano per celare il disagio di non poter più ricevere un'istruzione. Poi la deportazione, tra l'indifferenza di vicini un tempo amici, il carcere, il trasferimento nei lager salutato come una liberazione. “Almeno lavoreremo, avremo un minimo di vita sociale”.
Ma è solo l'inizio di un orrore più grande. Nei treni che conducono ad Auschwitz, costretti a patire la fame e a vivere stipati come bestie tra i propri stessi escrementi, i deportati passano dal pianto, che accomuna bambini e adulti, alla preghiera a un silenzio solenne, che prelude alla morte. E in noi risveglia la vergogna per ciò che la nostra nazione, che presumiamo civile, ha potuto compiere in un trionfo d'inumanità e idiozia.
Seguono le performance teatrali. Ninni Vernola dà vita alla breve pièce “Camera oscura”. Il gioco scenico, commentato dalla musica di Guccini (“Auschwitz”) e da arie di Tosca (“Vissi d'arte” ed “E lucean le stelle”, il disperato inno alla vita di Mario Cavaradossi), si snoda tra i silenzi di un corpo in progressivo smarrimento delle insegne dell'umanità e l'eccesso verbale, a tratti rasentante però l'afasia, di un'anima che gradatamente prende a sentirsi corresponsabile delle sofferenze dei propri simili e giunge a identificarsi in loro. La performance appare molto interessante, ma l'avvio pecca forse di affettazione e desta qualche perplessità per l'eccesso di intellettualismo.
A conclusione della serata il concerto dell'Ensemble Calixtinus, composto da Giovannangelo de Gennaro (viella, kaval), limpida e gradevolissima voce della formazione, Nicola Nesta (oud, saze) e Pippo “ark” D'Ambrosio (percussioni). Nel florilegio di canti rivive la tradizione sefardita: la triste diaspora del 1492, la dispersione di una comunità che ha subito gli influssi in campo musicale dei popoli con cui è venuta a contatto... Questi canti, distinti in cople, ninne nanne, romanze ecc., accompagnavano l'uomo dalla nascita alle nozze alla morte. Lenivano il dolore dell'esilio, salutavano il fiorire della rosa. Ne addolcivano, con grazia, l'eterno sfiorire.
Gianni Antonio Palumbo
gianni.palumbo@quindici-molfetta.it