Serve una confederazione della sinistra
I Comunisti Italiani: no a un nuovo centro egemone
Il calo consistente di popolazione della nostra città è tanto più grave perché in controtendenza rispetto alla crescita che si registra nella provincia. Un trend tendenziale negativo che si trascina da ormai cinquant'anni. La cittadina costiera dinamica e imprenditoriale di un tempo è da troppo lungo tempo alla ricerca della sua nuova identità.
Non si è disgregato solo il vecchio apparato industriale. E' a rischio, con la crisi della pesca, il naturale rapporto della città con il mare, il naturale “agro” dei molfettesi.
Le opportunità di lavoro sono altrove, per gran parte dei nostri operai e quadri: marittimi, carpentieri, addetti ai servizi alberghieri, pubblico impiego.
Il pendolarismo di lunga durata ha effetti devastanti sulla partecipazione democratica e sull'interesse dei cittadini alle sorti della comunità locale. Una rappresentanza politica elitaria e senza radici, a volte camaleontica, sottratta a costante controllo sociale, (che è altro dal solo momento elettorale), assume in modo abnorme nelle sua mani il controllo della città, spesso arrogandosi vocazioni profetiche o efficentistiche. Tra i residenti, si acuisce il divario tra abbienti e non. Si consolida una terziarizzazione di ripiego.
La modernizzazione della città vantata da Di Gioia non si è per niente connotata in riconversione produttiva e in sviluppo endogeno. La camicia di forza della rendita parassitaria ha oppresso la città e ne ha condizionato lo sviluppo.
Nell'epoca della cosiddetta prima repubblica le comunità viciniori hanno adeguato le loro vocazioni, o riqualificando il comparto agricolo, o addirittura “inventandosi” una vocazione industriale (penso all'area dei salotti). La nostra città, invece, ha declinato lentamente verso la perdita di identità.
Quale futuro può avere una città che nega a una parte della popolazione il diritto a vivere nel proprio territorio di origine, una casa a costo accessibile, una opportunità di lavoro e di intrapresa?
Serviva e serve “restituire la città ai cittadini”. Sulle rimesse e sui redditi (anche giustamente cospicui per il sacrificio richiesto), a discapito dei lavoratori costretti a lunghe assenze dalla città, si alimenta la stortura delle rendite, dei profitti e degli appannaggi in favore di ristretti ceti sociali. A quei lavoratori vano restituiti i diritti sulla città. E' prioritario comporre un nuovo patto tra le classi sociali per la gestione delle risorse e per ridistribuzione delle utilità. Questa è la condizione per modernizzare alla città. Progetto solo avviato dal centrosinistra, ma non portato a termine, a causa della sua implosione.
Dopo tre anni di governo di centro destra “la cera si squaglia ma la processione non cammina”. Il centro destra stancamente tenta di riproporre un illusorio e nefasto ciclo di effimera effervescenza economica legata alla ripresa edilizia a costi stellari, alle varianti ed alle privatizzazioni (pure delle spiagge): una idrovora che prosciuga i risparmi dei ceti medio bassi, sottraendoli agli investimenti produttivi, e dilata i debiti delle casse comunali, penalizzando la spesa sociale.
Intanto, tranne che i comunisti italiani, nessuna voce si è ancora levata per contestare il costo elevato di esproprio dei suoli praticato dal centro destra (mediamente 40 euro a mq.); e per pretendere un prezzo controllato “chiavi in mano” del costo finale della casa, in edilizia convenzionata o in cooperativa. Nessuno, tranne che i comunisti italiani, chiarisce che il costo della casa dell'art. 51 e della 167 non può comunque essere superiore a un tetto massimo secondo parametri prefissati per convenzione e per legge, circa 120.000 euro per abitazione.
Come riaprire il percorso della modernizzazione?
Non basta la cultura di governo invocata da Guglielmo Minervini. Il centro sinistra ha bisogno di una cultura condivisa del cambiamento nel segno di un nuovo patto sociale tra i cittadini. E servono forze politiche affidabili e solide. Di centro e di sinistra. Con pari dignità. Con rinuncia ad egemonie, al leaderismo e al settarismo.
Solo dopo la caduta del centro sinistra, e dopo averlo avversato, autorevoli uomini politici rappresentativi di altre stagioni, democristiani e socialisti, hanno rivisto i loro giudizi, e si sono nettamente distanziati dal centro destra. Noi che non abbiamo ceduto al loro canto ammaliatore quando imperavano, non ci ritraiamo, ora, dall'ascolto e dal confronto.
Non abbiamo pregiudizi verso le prove di ricomposizione delle aree del centro e del riformismo moderato, se funzionali a un progetto condiviso. Ma, nessuno pensi ad un ulivo con un grande centro egemone ed una sinistra minoritaria ed ancillare.
Serve una sinistra unita e radicata, l'altra gamba per l'ulivo. Non serve né l'arroccamento di Rifondazione, né la rincorsa al centro dei DS.E' necessario ricercare la ricomposizione possibile tra i partiti ed i movimenti della sinistra, se davvero si vogliono esercitare funzioni di rappresentanza sociale e sorreggere progetti di cambiamento. L'alternativa è la vacua testimonianza di appartenenza e di protesta, oppure l'omologazione. I comunisti italiani hanno da tempo avanzato a tutte le forze politiche della sinistra molfettese una proposta di confederazione della sinistra, senza però ricevere risposte. Noi questa proposta la rilanciamo, per realizzarla con chi ci sta.
Franco Cives
Comunisti Italiani