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Senza sede la “Casa per la pace” Per i lavori al convento dei cappuccini sfrattata la storica associazione pacifista
15 luglio 2002

Una città, anche piccola e in fondo insignificante come Molfetta, è tante cose, negozi, studi professionali, strade affollate di gente sempre di fretta, luoghi del potere e del divertimento, piazze e case nelle quali asserragliarsi. E' anche spazi che sembrano sfuggire alle logiche imperanti, un po' altri, di cui forse non tutti sono a conoscenza. Come quello della “Casa per la pace”. Spazio reale per venti anni, un paio di stanzette un po' fatiscenti in via Massimo d'Azeglio, all'interno del convento dei Cappuccini, solo virtuale ora, visto che, a causa dei lavori di ristrutturazione del complesso, i volontari per la pace si trovano senza sede. Il nome “Casa per la pace” forse sarà noto ai nostri lettori, ma chissà in quanti ne conosceranno la ricchezza di attività di questi venti anni, il patrimonio di esperienze, conoscenze, materiale, che rischia di andare perduto. L'associazione di volontariato, iscritta all'albo regionale, nacque da un'utopia, quella che la pace potesse essere pratica quotidiana, anche all'interno di una città pigra e sazia come la nostra, e dalla volontà di dare continuità all'esperienza di obiettori di coscienza fatta da Guglielmo Minervini e Francesco De Palo nella città vecchia. Don Tonino aiutò ad individuare nei locali di via Massimo d'Azeglio un luogo dove questi primi obiettori, e poi mano a mano altri, potessero fare vita comunitaria ed avviare le prime di una lunga serie di iniziative. Nell'anno successivo, l'83, vi fu la costituzione ufficiale dell'associazione. “La pace è prassi”, questo per Margherita Bufi, che ne è stata presidente, fu da subito il principio guida, a indicare la necessità di diffondere la cultura della pace nell'azione quotidiana, non solo attraverso la riflessione teorica. Quindi convegni e giornate di studio, ma anche tanto e tanto volontariato, soprattutto con i più piccoli. I bambini che non hanno genitori amorevoli ad accompagnarli alla palestra o alla scuola di danza e che hanno trovato, a Molfetta vecchia prima e nella sede di via Massimo d'Azeglio dopo, un luogo dove studiare, essere seguiti, giocare. A Margherita si affianca la voce di Norina Cirillo, socia fondatrice e attuale presidente: “Attraverso i bambini siano riusciti anche a raggiungere le famiglie, che ci hanno visto come un punto di riferimento e per le quali abbiamo organizzato corsi di formazione”. Anche Franca Carlucci c'era dall'inizio e non vuole si dimentichi il centro di documentazione e la biblioteca specifica sulla pace, i diritti umani, la non violenza, la cooperazione internazionale, cui ha attinto chiunque abbia fatto ricerche sull'argomento. Le voci si accavallano, nessuna attività deve essere dimenticata e le cose fatte in questi anni sono molte. Si stenta a credere a queste signore come tante, lavoro, famiglia, i problemi di tutti, che invece di dedicare il tempo libero, se mai ne hanno avuto di tempo davvero libero, alle compere, al parrucchiere, a lamentarsi e dichiararsi depresse, si sono tassate, sì, tutte queste attività le hanno realizzate con loro i soldi, e lavorato per gli altri, per questa città, senza averne grandi riconoscimenti, probabilmente senza che in molti sapessero del loro impegno. E che, prima di lavorare con i bambini e gli insegnanti da educare ad educare alla pace, si sono a loro volta formate. Rosaria Carlucci salta su a ricordare la galleria di personaggi che hanno incontrato e da cui hanno attinto idee e forza: “Lo ricordate il segretario di Gandhi? Ed Alex Langer e Jean Goss, teorico della non violenza?”. Qualche nome sfugge, ma quel che hanno insegnato è rimasto, al punto tale che da anni la “Casa per la pace” stessa propone corsi di formazione, alle scuole, ad altre associazioni, agli educatori. A tutto questo da aggiungere convegni, partecipazione a momenti di riflessione e di protesta durante la guerra nella ex Iugoslavia, in Kossovo e durante gli altri conflitti che in questi venti anni hanno reso drammaticamente attuale il dibattito sul pacifismo. Per quanto possa sembrare impossibile la sede in via Massimo d'Azeglio, proprio piccole quelle due stanzette, è stata altro ancora, luogo di pace, ma anche crocevia, luogo d'incontro di esperienze e persone, che condividevano un pezzo di strada e utilizzavano quanto appreso per far nascere nuovi soggetti, associazioni, progetti. E' stato il caso della casa editrice “la meridiana”, fino ad un mese fa ancora ospitata al primo piano dello stesso complesso, e di altro ancora. Proprio in quelle stanzette si sono tenute le riunioni dell'”Osservatorio 7 Luglio”, di “Insieme per la città”, del “Percorso”, anche del gruppo degli anarchici, di Legambiente recentemente e tante altre realtà associative e politiche che hanno trovato lì il posto dove essere assieme al di là delle etichette, in pace, appunto. E pensare che un vero contratto che ufficializzasse la loro permanenza lì, quelli della “Casa per la pace” non l'hanno mai avuto, per anni è bastato un contributo per le spese di acqua e luce alla “la meridiana” e la serena consapevolezza che quello fosse il luogo giusto. Franca è la più tranquilla: “Continueremo ad esistere e a lavorare”. A Margherita, invece, l'emozione del trasloco fa ancora luccicare gli occhi: “Sui quei muri c'era la nostra storia. Ora disegni, oggetti, manifesti, sono tutti accatastati un po' qui e un po' lì, dispersi, e mi sento un po' smarrita anch'io”. Norina cerca di essere lucida: “Abbiamo avuto contatti con il vescovo e l'assicurazione che al termine dei lavori di ristrutturazione torneremo ad utilizzare i locali, per noi è importante conservare la presenza nel quartiere”. “Sì - s'inserisce Rosaria – ma nel frattempo dove svolgeremo le nostre attività? La lettera con cui chiediamo all'amministrazione provinciale di concederci provvisoriamente un paio di locali dell'istituto Apicella non ha avuto risposta e noi, che già ci autotassiamo per le varie iniziative, non possiamo permetterci anche di pagare un locale”. Guardano l'orologio e scattano affannate, Margherita ha la riunione del Molfetta Social forum, cui la “Casa per la pace” aderisce, ci sono da programmare le nuove attività, Franca quella di una consulta, Norina è chiamata a risolvere un problema al centro “Liberi tutti”. Si fermano solo un attimo ancora per chiedersi: “Ma perché siamo rimaste solo donne?”. E poi vanno via di corsa. Solo Margherita si gira ancora precisare: “In via Massimo d'Azeglio ci dispiacerebbe non poter ritornare”. Due stanzette, ma così importanti, per loro e per la città, che nel frattempo formicola indifferente. Lella Salvemini L'INTERVISTA Ricordo di Guglielmo Minervini, obiettore di coscienza e promotore del Centro “Tante notti passate a discutere di pace” “Ricordo soprattutto le notti. Quelle del venerdì erano di digiuno e le passavamo con Franco De palo ed in un secondo momento Antonio Campo, a discutere di temi come il divario Nord Sud e la mondializzazione”. Esordisce con queste parole Guglielmo Minervini, cui abbiamo chiesto di richiamare alla memoria la sua esperienza di obiettore di coscienza, da cui è nata poi la “Casa per la pace”. “Era l'82, credo. Don Tonino si era insediato solo da qualche mese, Franco De Palo ed io lo andammo a trovare, dopo aver fatto domanda di obiettori di coscienza per Pax Christi - continua Guglielmo Minervini - con il progetto di un luogo di vita comunitaria, dove insediare un centro di documentazione sui temi della non violenza e da cui far partire un laboratorio a Molfetta vecchia, doposcuola e animazione per i piccoli e scuola popolare per le donne, affinché conseguissero la licenza media”. E' in questa maniera che don Tonino arrivò a Pax Christi, di cui diventò poi presidente. “Dopo mezz'ora eravamo già in giro con la sua Cinquecento - ricorda ancora Guglielmo Minervini – bussando alle varie parrocchie alla ricerca di un luogo adatto. Non si può dire che fummo bene accolti. Solo dopo molte insistenze i Cappuccini si decisero a concederci i locali in via Massimo d'Azeglio, distilleria in abbandono, perché un frate vi preparava un liquore che aveva il suo nome, “l'amaro Silvestro”. Locali chiaramente fatiscenti, riadattati grazie alla collaborazione di molti, don Tonino fra questi, che vi dedicarono lavoro e denaro. “Fu un progetto caratterizzato da forte radicalità. Per sfatare l'idea che quella di obiettore fosse una scelta di comodo, decidemmo di alloggiare e mangiare lì, tranne che nei fine settimana – prosegue nel suo racconto Guglielmo Minervini – e non è stato sempre facile, soprattutto d'inverno, con una stufa fumosa come unica fonte di calore. Eppure vi abbiamo ospitato anche i relatori dei vari convegni che organizzammo sui temi della pace, come Alex Langer e Eugenio Meandri, ed anche con loro ci sono state lunghe notti di discussione. Per non parlare degli ospiti che ci inviava don Tonino, quelli che non riusciva ad accogliere nell'episcopato. Per me questa vita è durata 21 mesi, ma a poco a poco si aggregarono anche altri obiettori”. Sembra una storia da un passato lontano o da folli che non può essere scivolata addosso a coloro che la vissero e non ha potuto che lasciare segni nella città. “E' un'esperienza che mi porto dentro – conclude Guglielmo Minervini – mi ha fatto diventare incapace di voltare la testa rispetto ai problemi, anche quando l'avrei voluto, anche quando mi avrebbe fatto comodo” Lel. Salv.
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