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Scuola e teatro per rimettere in circolo l'energia
14 settembre 2008

Non sono un'attrice. Sono un'insegnante e sono un'appassionata di teatro. Perché? Non sono un'attrice perché per diventarlo bisogna guardare dentro se stessi, e farlo prima possibile e soprattutto incontrare qualcuno o qualcosa che ti indichi la via. Sono appassionata di teatro perché in esso vedo l'unica forma di liberazione dell'uomo da... se stesso. Il teatro è uscire da sé, per poi rientrarvi. E' vivere il gruppo. Sentirsi capaci di avere gesti, suoni, movimenti, nuovi, diversi, liberatori, infatti. Dico questo alla luce delle esperienze che si vivono nella scuola, media, nel mio caso. Ebbene, in molti casi la scuola è proprio l'antitesi di tutto questo. La scuola è banchi a file serrate, immobilità del corpo e immobilismo della mente, azioni rigide (e autodifensive), energia repressa, appunto. E' stare cinque ore “a forma di sedia”, è guardare fuori dalla finestra e chiedersi “ma che ci sto a fare”. Si pretende che i ragazzi recepiscano gli stimoli (ma sono obbligati a farlo!!!) e non si comprende che il percorso dovrebbe essere inverso. Si acquistano mille sussidi coloratissimi che si aggiungono, incapaci di competere, alle centinaia di immagini in cui già nuotano i ragazzi a quell'età. Il percorso deve essere contrario. Quando si tenta di farlo, si legge negli alunni una sorta di incredula, piacevole apertura, timida, diffidente, poi liberatoria, appunto. E' solo una questione di energia. Che deve essere messa in circolo, deve trasformarsi, andare, venire... l'insegnante deve stare in mezzo a questo gioco di rimando e soltanto, quando ce n'è bisogno, “rilanciare la palla al centro”. La scuola del “teatro povero” di Grotowski o quella della primavera “riorganizzata” di Alschitz. Prendiamo una poesia, nota, arcinota, straletta e memorizzata. L'«Aquilone», per esempio. Anzi, solo pochi versi di essa o anche solo il titolo, messo in un cerchio di allievi, echeggiato, ripetuto “come viene”, arricchito con un gesto, un movimento, esplorato nelle vocali, in tutti le possibilità di toni, suoni, accenti... è una lezione di poesia. Ognuno passa all'altro il suo modo di vivere quella parola, l'altro lo prende, lo fa suo, lo cambia, ma non sarà più lo stesso... come in certi paesi indiani dove quando si riceve un regalo deve necessariamente passare dalle mani di tutti i presenti, essere toccato, esplorato, annusato... per poi ritornare a chi l'ha ricevuto, arricchito della presenza e dell'esperienza degli altri. E' finalmente un altro modo di “fare”, che non sia il solito noioso avvilente leggere-comprendere-scrivere quante nozioni hai mandato a mente. E' vivere le parole scritte. E' proprio “riorganizzare la primavera”.
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