MOLFETTA - Come i piccioni che si beccano di fronte a una mollica di pane. Il senatore Antonio Azzollini si dimette e il centrosinistra litiga non tanto sui punti programmatici, quanto sulle primarie, sulla carta degli intenti e sul candidato. Il solito ragù misto domenicale alla molfettese, cotto poco, però e servito male.
La partita sembra ancora affogare tra familismi e personalismi accentuati che, piantati nel 1994, sono stati trascinati fino ad oggi, bruciando gran parte dell’indotto politico locale: non è semplice casualità l’assenza di una reale personalità politica che sappia cucire i partiti e riannodare i fili con la società civile, che sembra essersi rinchiusa nella sua torre d’avorio senza mai (o quasi mai) dismettere i panni. Per di più, le briglie sciolte della protesta sembrano dipanarsi in modo confusionario e personalistico, consumandosi come un cerino appena acceso.
La candidatura piddina di Giovanni Abbattista, ingoiata da molti militanti come un pistolotto amaro, ha sconquassato non solo gli equilibri del PD, soprattutto nella sua frangia più a sinistra, ma anche gli asset della coalizione. Di sicuro, l’estenuante «caccia al tesoro» piddina si è rivelata infruttuosa e l’indice è ricaduto proprio sull’ex segretario politico in standby da mesi: secondo alcuni (a parlare male si fa peccato, ma si azzecca, come diceva Andreotti), il PD non avrebbe individuato un nominativo extrapartitico da proporre alla coalizione e alle primarie a tal punto da ripiegare al suo interno e infrangere una sorta di «patto d’onore» tra i partiti della coalizione.
Infatti, secondo quanto fissato dalla «carta degli intenti», alle primarie si sarebbero dovuti presentare solo candidati della cosiddetta «società civile» e non militanti politici o partitici (o, addirittura, segretari) per evitare le solite beghe politiche e richiamare all’appello una città assopita e disinteressata. Allo stesso tempo, la consultazione sarebbe dovuta essere proposta da un comitato formato da cittadini e non dai 4 partiti del centrosinistra locale. La decisione piddina ha, però, terremotato la coalizione. In realtà, però, non è stata trovata la disponibilità di nessun candidato della società civile: tutti gli interpellati si sono rifiutati e non è venuta fuori alcuna candidatura spontanea.
In questi giorni sono previsti direttivi vari per decidere. L’UDC avrebbe optato per il ritiro della candidatura di Manlio Massari, su cui non intende confluire la Lista Emiliano che, di contro, non vuole mollare Maurizio Altomare. SEL, che non dovrebbe convergere sul candidato piddino, continuerà a cercare un candidato apartitico nei meandri della società civile fino all’ultimo momento utile per le primarie, che pare siano state ancora rimandante sine die (forse a fine gennaio). Se la casella di SEL dovesse restare vuota, sarà comunque riempita con un candidato politico: il nome più gettonato è quello di Tommaso Minervini, che, a quanto pare, manterrebbe ferma la decisione di non candidarsi.
Insomma, il centro del centrosinistra (Lista Emiliano, UDC, PRI e forse SEL) starebbe per coalizzarsi intorno a una figura comunque appartenente alla società civile e apartitica da contrapporre al candidato piddino per le primarie.
Tutto troppo poco per Molfetta. Con candidati «politici» le primarie si ridurrebbero alla conta di apparati o a una vera e propria parata: avrebbero la stessa funzione di un depuratore malfunzionante, che versa in mare acque reflue inquinanti. I cittadini innescherebbero i propri corrosivi anticorpi, stretti nella morsa delle difficoltà quotidiane e ormai animati dal disprezzo verso la politica italiana, prostituita agli interessi di apparato e/o al singolo potentato di turno.
Tra l’altro, l’architrave politico sembra proprio quello di un «gioco a perdere»: perché, se perdesse, vincerebbe lo stesso, preservando gli stessi interessi patrimoniali e familiari che abbracciano tutto l’arco costituzionale. I cittadini hanno intuito la presenza di un’area grigia, a metà strada tra il (presunto o strumentale) rinnovamento e l’appiattimento sul sistema azzolliniano. Questo, però, sarebbe l’humus ideale per una rivoluzione politico-popolare (e non populista) che demolisca definitivamente l’unico e attuale piatto della politica locale, la torta pasticcio.
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