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Salvemini e Destrée
15 gennaio 2016

Eccovi il n.° 2 del CICLO…. NE». Con questa briosa didascalia del febbraio 1916 l’impareggiabile caricaturista barese Menotti Bianchi, in arte Frate Menotti, pennellò il geografo salveminiano Carlo Maranelli nell’atto di presentare un gigantesco ospite in bombetta e cappotto col bavero impellicciato, l’on. Destrée. Ma chi era Destrée? Jules Destrée era un amico di Gaetano Salvemini, anche se nelle biografie salveminiane di Massimo Salvadori, Gaspare De Caro e compagni non vi è neanche la più piccola menzione del personaggio. Nato in Belgio a Marcinelle il 21 agosto 1864, Jules Destrée era di nove anni più vecchio di Salvemini. Passato dal partito liberale progressista a quello operaio, nel 1894 era diventato deputato socialista, venendo rieletto anche in séguito. Alla professione di avvocato, esercitata nel collegio elettorale di Charleroi, affiancava l’attività di critico d’arte, con forti interessi per i pittori primitivi italiani, a cui aveva dedicato tre notevoli volumi di Notes sur les primitifs italiens, usciti a Bruxelles tra il 1899 e il 1904. Destrée aveva partecipato alle lotte in favore del movimento vallone. Nel 1912 aveva pubblicato una Lettera al re Alberto I per la separazione della Vallonia francofona dalle Fiandre fiamminghe. In essa il deputato rivendicava la separazione amministrativa delle due regioni dietro il pretesto che un Belgio formato dall’unione di due popoli «indipendenti e liberi» avrebbe creato uno Stato decisamente più solido di «un Belgio di cui la metà» si credeva «oppressa dall’altra metà». In realtà la borghesia belga, all’epoca prevalentemente francofona anche nelle Fiandre, prevaricava una popolazione fiamminga assai povera. Quando scoppiò la prima guerra mondiale e agli inizi di agosto del ’14 il Belgio fu invaso dai tedeschi, Destrée, insieme al deputato Georges Lorand, diventò uno dei più solerti difensori delle sorti del suo paese aggredito. Dal momento che l’Italia proprio allora aveva dichiarato ufficialmente la sua neutralità, le opposte diplomazie dell’Intesa e degli Imperi centrali iniziarono a tessere i propri intrighi per attirare il Bel Paese ciascuna dalla sua parte. Dal 4 agosto al settembre 1914 i tedeschi commisero in Belgio numerosi crimini di guerra. Colpiti da franchi tiratori o suggestionati da presunte storie di commilitoni pugnalati alle spalle o torturati o finiti mentre erano feriti, i soldati germanici stroncarono ferocemente ogni atto da loro ritenuto ostile o “illegale” e distrussero molti edifici e abitazioni. Civili belgi, a volte anche donne e bambini, furono uccisi a centinaia a Lovanio, Dinant, Tamines, Sambreville, Seilles, Andenne, Aarschot, Blegny e altrove. Nella sola Lovanio i tedeschi passarono per le armi 248 civili e nella notte tra il 25 e il 26 agosto incendiarono di proposito la biblioteca dell’Università Cattolica, che custodiva un migliaio di preziosi manoscritti medievali, 800 incunaboli e circa 300 mila libri più recenti. Questi crimini, diffusi dalla propaganda antigermanica insieme a notizie false e inverosimili, suscitarono l’indignazione internazionale. Destrée cercò di documentare diversi di questi misfatti e nel 1914 in Italia la Società Editoriale Italiana di Milano pubblicò un suo opuscolo di 47 pagine intitolato Le atrocità tedesche. Documenti ufficiali, con la di-citura «Pro Belgio». Con tale scopo e per sostenere la causa dell’Intesa, Destrée, Lorand e altri politici e letterati belgi vennero in Italia in novembre. Destrée, in particolare, collaborò con Il Secolo di Milano ed ebbe contatti con diverse personalità italiane, come Luigi Luzzatti, Filippo Turati, Umberto Zanotti Bianchi, Mussolini e Salvemini. Abbandonando il neutralismo del Partito Socialista Italiano, nell’ottobre del 1914 Mussolini si dimise dalla direzione dell’Avanti!, meditando di varare un suo quotidiano. Corse allora voce a Milano che presto sarebbe uscito un giornale per iniziativa di Mussolini, Salvemini e Prezzolini. Addirittura Ugo Guido Mondolfo, socialista riformista e compagno di Salvemini sin dai tempi universitari, allarmato dalla notizia, in attesa di una smentita da parte dell’amico, il 10 novembre 1914 gli comunicò da Milano che una «persona serissima» impiegata presso il Corriere della Sera gli aveva confidato «di aver saputo che il capitale» per il nuovo giornale sarebbe stato fornito a Mussolini, Salvemini e Prezzolini «dal Belgio, per iniziativa di Destrée e Vandervelde!». Il socialista belga Émile Vandervelde era ministro di Stato e presidente della Seconda Internazionale. Salvemini, in realtà, rimase estraneo alla faccenda, ma Mussolini, finanziato dalla Francia e da alcuni industriali italiani, il 15 novembre fondò a Milano Il Popolo d’Italia, caldeggiando l’intervento dell’Italia contro la Germania e l’Austria e sostenendo che il conflitto potesse avere uno sbocco rivoluzionario. Giuseppe Prezzolini, comunque, partecipò all’impresa come corrispondente da Roma del nuovo quotidiano mussoliniano. A sua volta Destrée il 6 dicembre 1914 fece uscire sul diffuso quotidiano Le Petit Parisien un articolo sull’affaire Mussolini, in cui, tra l’altro, scrisse: «da quindici giorni non si parla che del caso Mussolini e il pubblico vi si appassiona più che non agli avvenimenti di guerra. […] Mussolini fonda un giornale, Il Popolo d’Italia. Fra i quotidiani socialisti allora la collera e le polemiche raddoppiano e si ingrossano. Si chiede donde vengano i denari, si minaccia, si condanna, si espelle solennemente il refrattario, non si vede più che lo scisma, le querele tra i fratelli della vigilia, e soprattutto la concorrenza del Popolo d’Italia con l’Avanti!». Senza nascondere la sua simpatia per il massimalista romagnolo, Destrée concluse così il suo pezzo: «Se aveste visto il più che modesto, povero impianto di quel Popolo d’Italia, gli occhi luccicanti, l’anima appassionata del suo direttore, non avreste potuto conservare il minimo dubbio sulla sincerità sua. Ma è Mussolini un precursore o un ribelle? Chi lo sa!» In nome della causa belga e dell’Intesa, Destrée tenne numerose conferenze in Italia. Lasciata Milano, nella sera del 13 marzo 1915 fu a Roma presso l’Associazione della Stampa, presieduta dal deputato repubblicano e irredentista Salvatore Barzilai. In quella sede parlò con disinvoltura insieme al più impacciato Premio Nobel Maurice Maeterlinck sul «doloroso argomento dell’infelice e gloriosa» patria belga aggredita dalla ferocia dei tedeschi. A Roma, promosso dalla direzione del Partito Socialista Riformista, vi fu anche un ricevimento in onore di Destrée e Lorand, cui aderirono democratici e repubblicani. I due poi, accompagnati e presentati da Orazio Raimondo, da Giuseppe Canepa, da Cesare Battisti e da altri, parlarono a Venezia, Vicenza, Verona, Udine e Padova, ma discesero anche a Genova, Firenze, Napoli e Palermo. Poco dopo la conferenza romana, Maeterlinck redasse la prefazione al volume di Destrée Un belga in Italia avanti la guerra, un gruzzolo di corrispondenze, resoconto del viaggio propagandistico compiuto nel periodo precedente all’entrata in guerra dell’Italia, pubblicato in francese presso l’editore Gérard Van Oest di Bruxelles-Paris e in italiano dagli editori Ravà & Compagni di Milano. Con Ravà, in una collana diretta dal comune amico Ugo Ojetti, Salvemini pubblicò agli inizi del 1915 l’opuscoletto Guerra o neutralità?, che si chiude con questa frase: «L’amicizia anglo-germanica è finita; la potenza austriaca barcolla. Liberiamoci oggi dalla servitù passata [della Triplice Alleanza]. Se non ci liberiamo oggi, non saremo liberi più». Con lo stesso editore milanese Destrée fece uscire un forte atto di accusa contro l’invasore tedesco, rappresentato in copertina come un feroce lupo nero che addenta sanguinosamente un bianco agnello indifeso, simboleggiante il popolo belga. Il libro, contenente anche «documenti ufficiali», s’intitola Germania e Belgio. Arricchito da una prefazione del deputato radicale italiano Arnaldo Agnelli, ebbe una seconda edizione nello stesso 1915. In merito a questo alone di forte emotività, lo storico Gioacchino Volpe rilevò che i propagandisti stranieri e italiani «usarono e abusarono delle “vergini violate” e dei “bimbi dalle mani mozze”». Il 24 maggio 1915 l’Italia iniziò le ostilità contro l’Austria-Ungheria. In considerazione di questo evento, Destrée avrebbe voluto partecipare a un dibattito pubblico sulla guerra con Turati, con cui si era già incontrato a Milano l’anno prima. Ma la manifestazione sfumò per l’antibellicismo del Partito Socialista Italiano, tanto che Tura-ti il 3 luglio 1915 gli scrisse una lettera esprimendo il suo dispiacere per l’opposizione della direzione del PSI al dibattito, ma ribadì il suo più pieno appoggio alla «santità della causa belga». Maturava intanto l’amicizia tra Salvemini e Destrée. Infatti, tra la fine di luglio e il 1° agosto 1915 lo storico pugliese partecipò a Perugia e ad Assisi a due serate di gran successo basate su conferenze e proiezioni, in compagnia dello stesso Destrée e dello storico francese Julien Luchaire, fondatore dell’Istituto Francese di Firenze e attivo propagandista per il consolidamento dell’intesa italo-francese. Detto en passant, il prof. Luchaire era allora separato da Fernande Dauriac, la futura seconda moglie di Salvemini. Particolarmente riuscita fu la serata dedicata al tema “Belgio, Francia e Italia”. Il Teatro “Metastasio” di Assisi era gremito di gente e l’accoglienza riservata ai tre oratori fu entusiastica, riempiendo di somma soddisfazione il professore di Molfetta. In riferimento a quella soirée assisiate, Destrée ci ha lasciato un vivida descrizione dell’oratoria di Salvemini: «La sua eloquenza ha qualcosa d’impetuoso e di violento, in cui si sente tutta la tensione dell’essere: non si preoccupa della frase né dell’immagine, non adorna affatto il pensiero di tenui ghirlande verbali, ma lascia scaturire senza ritegno la sua emozione, con la possanza di coloro che non si dominano e sono trascinati dalla passione invece di costringerla. Quanta forza di persuasione in questa parola un po’ dura, splendente di sincerità e di fede, che sembra l’espressione stessa della lealtà e della generosità popolare! E quanto era lungi da ogni machiavellismo quest’uomo che, dopo aver parlato, ricadeva sfinito come coloro che sono abbattuti da una grande collera o da una grande sventura!». Nel suo giro di conferenze nelle principali città d’Italia, Destrée si recò anche a Bari, dove il 13 febbraio 1916, di domenica, pronunciò il suo discorso in francese nell’affollatissimo foyer del Teatro “Petruzzelli”. La manifestazione fu organizzata dal Circolo Filologico Barese, presieduto dal campobassano Carlo Maranelli, amico di Salvemini e professore universitario di geografia economica, che presentò l’incontro col deputato belga come il secondo del ciclo di conferenze programmate. Destrée sottolineò lo sdegno del popolo italiano per gli orrori compiuti dai tedeschi in Belgio e il peso dell’entrata dell’Italia in guerra. Per suggestionare l’uditorio, ricordò poi l’episodio della popolana di Reggio Calabria, che, apprendendo la notizia della morte di uno dei due figli combattenti, dichiarò di non lamentarsi per quella sventura, poiché il sacrificio serviva a vendicare i poveri bambini del Belgio a cui i tedeschi avevano brutalmente mozzato le mani. Il facondo oratore concluse il discorso incitando alla concordia fra gli Alleati e all’animazione più instancabile: «Vicini o lontani dal fuoco nemico, formiamoci una medesima anima eroica: siamo, ovunque e sempre si presentino i dubbi, le incertezze, la stanchezza e la disperazione, gli animatori. Solo così sperando otterremo la vittoria». Come accennato all’inizio, l’evento fu poi immortalato da una magnifica tavola a colori di Frate Menotti. Destrée entrò in contatto pure con Umberto Zanotti Bianco, amico di Salvemini e direttore della collana editoriale “Giovine Europa”, il quale, dopo aver in essa pubblicato nel 1914 Albania che nasce di Eugenio Vaina e nel 1915 la 2a edizione del Mazzini di Salvemini, prefazionò con lo pseudonimo di Giorgio D’Acandia e stampò nel 1916 con l’editore Battiato di Catania Il principio delle nazionalità e il Belgio di Destrée. In quest’opera il deputato belga si rifaceva all’interpretazione della guerra data dall’Intesa come scontro per il principio di nazionalità, ma riprendeva anche il concetto “volontarista” di nazione di Ernest Renan. Inoltre, con un taglio che rammentava il problemismo salveminiano, affrontava la questione del conflitto fra valloni e fiamminghi, conflitto complicato dalla questione sociale e dall’ascesa delle classi subalterne, in prevalenza fiamminghe. La questione era stata strumentalizzata dal governo tedesco, che interpretava la sua invasione del Belgio anche come un intervento in difesa dei fiamminghi. Destrée ribaltava l’interpretazione, affermando che proprio la resistenza dei belgi all’invasione tedesca rafforzava la nazione belga col testimoniare quella volontà di vivere insieme, che era premessa ineludibile dell’essere nazione, coerentemente con il pensiero di Renan. A proposito della conoscenza fra Destrée e Zanotti Bianco e di un loro comune viaggio, c’è un simpatico episodio riportato in una lettera di Salvemini a Zanotti stilata a Viareggio il 4 marzo 1916: «Vidi Destrée a Roma poco dopo il vostro viaggio. Era incantato di averti conosciuto. Solamente, era desolato di non riescire a scoprire in te nessundifetto. [Antonio] De Viti [De Marco] gli suggerì che sei… troppo magro. Ma egli non sembrò convinto neanche di questo». Intanto la Grande Guerra proseguiva in tutta la sua spietata terribilità. Siccome il blocco navale organizzato dall’Inghilterra metteva la Germania in condizioni di grande inferiorità rispetto ai suoi nemici per le materie prime, le attrezzature e i viveri, l’esercito tedesco nel 1916 e nel 1917 dai territori occupati deportò in Germania, Ungheria e Bulgaria centinaia di migliaia di uomini non arruolati e ragazzi belgi, francesi, serbi, lituani e polacchi, costringendoli ai lavori forzati e lasciandoli morire a migliaia per la fame, i maltrattamenti, gli stenti e le malattie. Destrée dopo il novembre del 1916 denunciò la deportazione di un primo contingente di 50 mila operai belgi nell’opuscolo La barbarie suprema, uscito nello stesso anno a Roma e Milano. Per contro, l’atteggiamento e la mobilitazione dell’Italia per la causa belga sono riferiti nel volume L’Italia per il Belgio, edito nel 1916 dai Fratelli Treves di Milano. Il 30 settembre 1917 l’Avanti! riesumò un articolo di Destrée del 1912 per sostenere l’autonomia amministrativa dei valloni e dei fiamminghi nel Belgio. Di rimando L’Unità del 4 ottobre seguente, all’epoca diretta da De Viti De Marco e Salvemini, accusò l’Avanti! di funzionare «da battistrada alle manovre diplomatiche tedesche», mentre ignorava i problemi dell’Intesa o li declassava a «escogitazioni della borghesia capitalistica». Destrée non poté intervenire nella polemica, perché nell’ottobre del 1917 fu inviato in Russia come ministro del Belgio, anche se poi il suo incarico verrà meno con lo scoppio della rivoluzione bolscevica. Intervenne allora Zanotti Bianco su L’Unità del 18 ottobre dichiarando che se Destrée fosse stato ancora in Italia, pur non dissimulando la dualità fiammingo-vallone, avrebbe ribadito l’unità spirituale della popolazione belga. In sua assenza, Zanotti volle rispondere con alcuni brani tratti dal volumetto Il principio delle nazionalità e il Belgio. Un passo saliente esalta il rinvigorito sentimento nazionale dei belgi di fronte all’invasione tedesca: «In pochi giorni, anzi in poche ore, senza discussione, senza dispute, con uno slancio unanime, la Nazione si strinse attorno al suo Re. Non esisterono più né partiti né contese; cattolici, liberali, socialisti, fiamminghi o walloni, non ebbero che un sol pensiero, che una medesima risoluzione: salvare l’onore, ed insorgere contro il nemico. […] Così il Belgio è indistruttibilmente una nazione. Il battesimo di fuoco e di sangue l’ha consacrata». Destrée, che si spegnerà a Bruxelles agli inizi del 1936, fu anche biografo di Salvemini per il periodo che va dal 1894 al 1917. Scrisse infatti l’opuscolo propagandistico Gaetano Salvemini, uscito nel 1919 dai torchi dello Stabilimento Tipografico Fratelli Portoghese di Altamura in traduzione italiana dal francese. Ne curò la pubblicazione Tommaso Fiore per la candidatura di Salvemini al Parlamento nella lista dei Combattenti. Il libriccino di Destrée su Salvemini è decisamente raro. A suo tempo Enzo Tagliacozzo in America riuscì a consultarlo soltanto nella Widener Library dell’Università di Harvard, dove abitualmente studiava lo storico molfettese. La Biblioteca comunale “Giovanni Panunzio” di Molfetta, che pure conserva molte opere salveminiane, non possiede l’opuscolo di Destrée. Attualmente in Italia l’operetta è posseduta solo dalla Biblioteca di Studi meridionali “Giustino Fortunato” di Roma, dalla Biblioteca provinciale “De Gemmis – Santa Teresa dei Maschi” di Bari e dalla Biblioteca comunale “Giovanni Bovio” di Trani. Con agile sintesi, Destrée presenta il Salvemini mazziniano; lo storico di Firenze, della Rivoluzione francese e della Triplice Alleanza; il riformatore dell’insegnamento secondario; il giornalista brillante e appassionato; il direttore dell’Unità; il politico meridionalista e antigiolittiano; il propugnatore del suffragio universale; il volontario della Grande Guerra e lo studioso della questione italo-serba nella prospettiva dell’amicizia italo-jugoslava. Purtroppo fioccavano già le più calunniose accuse di rinunciatarismo e filoslavismo da parte dei nazionalisti italiani. Per costoro Salvémini ormai era diventato Slavémini. 

Autore: Marco I. de Santis
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