Sacra Sindone, il libro di De Matteis-Bramanti anche a Moletta
Autentica o manufatto fabbricato a arte? Enigma imbarazzante per l’intelletto, nessuna dichiarazione ufficiale della Chiesa sulla Sacra Sindone, continua il dibattito tra detrattori e sostenitori. Breve escursione sulla Sindone, il libro «Sacra Sindone. Un mistero tra scienza e fede» (ed. Servi della Sofferenza) dell’avv. Daniele De Matteis e dell’ingegnere elettronico e fisico Alessandro Bramanti. Lettura scorrevole, incalzanti argomentazioni, dati accurati accessibili a tutti, senza note ridondanti e ragionamenti scontati: «noi crediamo all’autenticità della Sindone», dichiarano nelle prime pagine i due autori, che smontano a colpi di logica e scienza, con un approccio familiare, tutti gli stereotipi avversari. La Sindone, telo eloquente. Medio Oriente, la provenienza. I due autori si soffermano sulla torsione a «Z» delle fibre di lino e sulle tracce di polline di piante primaverili, originarie soprattutto di Gerusalemme. Indicativa l’aragonite rinvenuta su piedi e volto (elemento di alcune tombe del sec. I d.C. a Gerusalemme), che svela anche ripetute cadute: è possibile che le braccia fossero legate al “patibulum” (causa delle lesioni su scapola sinistra e zona soprascapolare destra). Palese l’abuso nella flagellazione per l’uomo della Sindone. Dalle macchie ematiche sul corpo, spiegano Bramanti e De Matteis, si possono contare ben 120 colpi di flagello. «Il Deuteronomio prevedeva un numero di colpi proporzionale al torto commesso, senza superare i quaranta colpi - ha spiegato l’avv. De Matteis nella presentazione del libro a San Bernardino - probabilmente una ventina per il diritto romano, che sottraeva alla flagellazione il torace per evitare la morte del condannato». Come mai una flagellazione così atroce e umiliante? «Nel Vangelo, la flagellazione è la prima intenzione di Pilato per sedare la violenta aggressività del popolo - ha aggiunto - ma fu costretto a cedere alle pressioni dei presenti e condannare Gesù alla morte per crocifissione». Il racconto di una cieca violenza. Con rapidità e rigore scientifico, gli autori elencano una serie di “indizi” che assocerebbero l’uomo della Sindone a Gesù Cristo. Dai coaguli ematici sul cranio, provocati dalla coronazione di circa 50 spine (non prevista dalla prassi romana), alle colate di sangue sulla fronte: un rivolo venoso (quasi al centro della fronte) e alcuni fiotti arteriosi a destra. Difficile immaginare che il presunto falsario medievale potesse riprodurre caratteristiche ematiche ignote, secondo i due autori (la differenza tra sangue venoso e arterioso fu scoperta tra i secc. XVI e XVII). Combacerebbe con il Vangelo la ferita post mortem al costato, perché il sangue raggrumato è separato dal siero (incompatibile con una colata vitale). L’immagine, il lampo di luce. Smentita l’ipotesi di Walter McCrone (telo dipinto), quella dell’autoritratto di Leonardo da Vinci e della bruciatura, non si conosce l’origine dell’immagine. Bramanti e De Matteis spiegano pagina dopo pagina gli esperimenti compiuti, ma nessuno ha mai raggiunto un risultato similare. Come si è prodotta un’immagine unica? Forse un violento lampo di luce, sprigionato dal corpo, che non presenta tracce di decomposizione. Le macchie di sangue non sono rotte: il lino non è stato distaccato dalla pelle, ma il corpo sarebbe svanito. Questione ancora aperta. I misteri del C14. Solo con la Sindone i numeri del radiocarbonio devono essere accettati senza discussione anche quando stridono con altri riscontri storici e scientifici? Questa la domanda dei due autori, se la stessa comunità scientifica riconosce la fallibilità del metodo e consiglia valutazioni critiche e confronti con le ipotesi anche storiche. Diversi i misteri rilevati da De Matteis e Bramanti nell’esame del 1988, che ha datato il Telo tra il 1290 e il 1360 d.C. Innanzitutto, la selezione dei laboratori (7, ridotti a 3) e il metodo di datazione (la spettrometria di massa, la meno ideale per l’analisi di un tessuto rispetto al conteggio proporzionale). La scelta dei campioni, prelevati da un angolo, la comparsa di un quarto campione di controllo (il mantello di San Luigi, datato tra il 1290 e il 1310 d.C.), oltre alle modalità del prelievo (mani nude) e alle operazione di imballaggio, mai fotografate o filmate. Un vortice d’interrogativi pervade le ultime pagine del libro, con una speranza: condizioni di maggior controllo e rigore, se l’esame dovesse essere ripetuto.
Autore: Marcello la Forgia